La testata milanese ha fatto approfondimenti sulle due realtà dietro la vicenda del Daily Tampon: l’azienda di Lecco che produce sistemi di illuminazione e una startup innovativa di Benevento
Probabilmente ricorderete la notizia dell’azienda di Lecco che comunicò di avere messo a punto un tampone super rapido, dal bizzarro nome «Daily Tampon». Ne parlammo anche noi, sottolineando il curioso caso del mistero della certificazione ministeriale. Le agenzie infatti uscirono pubblicando che la realtà di Merate l’avesse ottenuta e potesse dunque avviare la produzione del tampone in grado di dare il responso in soli 3 minuti. Il ministero della Salute, però, dopo qualche ora, aveva diramato la nota seguente: «non c’è ancora stata alcuna validazione». Questa puntualizzazione, unita al fatto che si stesse parlando di una impresa, la Allum, che produce sistemi di illuminazione, ha fatto sorgere i primi dubbi sulla veridicità della storia che il Corriere della Sera ha voluto approfondire.
I dubbi sulla realtà del tampone rapido
Il Corriere sottolinea anzitutto che «la Allum di Merate è una piccola azienda in difficoltà: 120 mila euro di fatturato e 121 mila di perdita». Dall’Api di Lecco «associazione di 540 aziende e 12.500 dipendenti rappresentati», che avevano veicolato con toni trionfalistici la vicenda alla stampa, sentiti dal collega della testata meneghina ora puntualizzano: «la responsabilità legale di questo progetto è dello spin-off», cioè della «società Genus Biotech di Benevento», startup innovativa, mentre la titolare della Allum, Stefania Magni, avrebbe avuto «solo l’idea del tampone veloce».
La testata ha sentito comunque la Magni, che però ha ridimensionato notevolmente quanto annunciato per mezzo di comunicato stampa: «Non ho mai detto che c’era l’ok, è il comunicato che ha scritto l’Api. Io ho solo chiesto di avere visibilità. È un’iniziativa a livello personale». Quindi l’ammissione (e probabilmente un maldestro tentativo di tirarsi fuori dalla vicenda): «La Allum non farà mai la produzione di questi tamponi e non c’entra nulla in tutto questo».
Insomma, se la Allum si tira indietro, il cerino resta nelle mani della Genus Biotech, startup innovativa che, scrive il Corriere, «riceve contributi pubblici. L’Unisannio non ha nemmeno un’azione mentre il professor Pasquale Vito ne possiede il 61% e il resto (39%) è in mano alla famiglia di Piero Porcaro, imprenditore di Ceppaloni». Sentito sempre dal Corriere, il professor Vito avrebbe smentito tanto la certificazione ministeriale («Io non c’entro, è il fabbricante (cioè l’azienda di Merate, ndr) che ha dichiarato questa cosa»), quanto la produzione di 20 milioni di tamponi («Ma questo l’ha detto il fabbricante io non l’ho mai detto»), rimpallando dunque tutta la responsabilità sull’azienda di Lecco. Sui test fatti finora sul tampone rapido, appena 100, il professore è costretto ad ammettere «Con quei numeri non si va da nessuna parte, non sono sufficienti». Insomma, il tampone rapido dell’azienda di illuminazione non esiste e se esiste non ha ancora superato alcun test serio e indipendente. In compenso il nome dell’azienda è circolato per più di un giorno, dando forse speranza a una realtà che il Corriere ha definito «decotta» di risollevarsi economicamente. Non aveva però fatto i conti con le conseguenze di una possibile pubblicità negativa…