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Con il Memorandum di intesa siglato dal nostro governo con quello cinese, in occasione della visita dello scorso anno del Presidente Xi Jinping, l’espressione Via della Seta è entrata a tal punto nel gergo popolare da finire nei contesti più disparati, evocando, non di rado, itinerari millenari di mercanti ed esploratori. Che rapporti e frequentazioni tra i due paesi abbiano origini antichissime è noto, a maggior ragione oggi, però, in un contesto globalizzato, oltre che utile, è inevitabile dialogare e cooperare con la seconda potenza economica e scientifica del mondo. O, più correttamente, con la seconda potenza economico-scientifica.

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La Cina, infatti, già prima della scelta di aprirsi all’economia di mercato e delle riforme attuate prima da Deng Xiaoping e, poi, da Jang Zemin negli anni ’90, aveva strategicamente sposato la causa di ricerca e innovazione, partendo dalla rete di università e centri di ricerca, dall’apparato militare e burocratico, dal sistema di imprese e mettendo a sistema competenze e risorse. Il tutto con la supervisione di un’impostazione centralistica. Fin dagli anni ’80, lo stato cinese ha fortemente valorizzato l’alta formazione, formando schiere di tecnici e ingegneri, foraggiando massicciamente, perfino per la ricerca di base, Accademie, istituti scientifici e startup tecnologiche, ben prima che il termine startup sbarcasse da questa parte di mondo.

Mondo che mai prima d’ora aveva tanto investito in R&S (Dati R&D Magazine 2017): i 2000 miliardi di dollari, pari all’1,67% del PIL planetario, destinati ogni anno a finanziare questo comparto, dimostrano che siamo nel pieno della Società della Conoscenza. Ma, mentre un secolo fa l’Europa deteneva il monopolio assoluto di R&S, oggi circa il 43% degli investimenti ha luogo in Asia, il 28% in Nord America e un misero 21% nel vecchio continente. Scorporando i dati per nazioni, con 538 miliardi di dollari investiti a guidare la classifica sono gli USA, tallonati dalla Cina con 445, mentre il nostro Bel Paese è tredicesimo con 26 miliardi. Non solo: “Anche altri indicatori come il numero di pubblicazioni scientifiche o il numero di ricercatori mostrano chiaramente come la Cina sia ormai la seconda potenza mondiale in questo campo e potrebbe addirittura superare gli Stati Uniti nel giro di qualche anno” esordisce Lucia Votano, prima e unica donna a dirigere i laboratori del Gran Sasso, autrice nel 2017 del libro La via della seta-La fisica da Enrico Fermi alla Cina, attualmente impegnata nella realizzazione in Cina dell’esperimento JUNO, dedicato allo studio dei neutrini.

 

Che conseguenze ha avuto sul vostro lavoro l’emergenza dovuta alla diffusione del Covid-19?

I nostri colleghi cinesi provengono da università sparse sul vastissimo territorio della Repubblica Popolare in cui le restrizioni hanno pesato in modo differente; sappiamo che comunque quasi tutti hanno potuto continuare a lavorare da casa o, con precauzioni, nelle università. Invece, molte industrie impegnate nella costruzione di componenti dell’apparato sperimentale hanno cessato o rallentato la produzione. Nell’ultima delle regolari video conferenze di aggiornamento sullo stato dei lavori, ci hanno informato che la situazione sta tornando progressivamente alla normalità.

 

Come è maturata nella governance, nella cultura e nella società cinese la convinzione che occorreva puntare su ricerca e innovazione per crescere a ritmi esponenziali?

La Cina ha dimostrato di essere perfettamente consapevole che, nell’attuale scenario globale, l’obiettivo prioritario della strategia di sviluppo di un paese è la promozione di nuova conoscenza. È lo stesso motivo, ma all’opposto, ovvero la mancanza di questa piena consapevolezza, o di volontà di tradurla in azione di governo, che determina il declino socio-economico dell’Italia. Il nostro Paese è uno dei paesi sviluppati con il minor numero di ricercatori al mondo e investiamo in Ricerca e Sviluppo (R&S) intorno all’1% rispetto al PIL, contro il 2.9% della Germania, il 3.4% della Svezia o il 4% della Corea, uno dei più bassi valori in Europa e rispetto ai Paesi OCSE.

 

Cosa rischiamo?

Se l’Italia va male, anche l’Europa arretra. I dati sugli investimenti in R&S mostrano che nel mezzo della sfida USA-Asia, l’Europa rischia di finire compressa tra due giganti, ridotta ad un ruolo di marginalità, anche economica e politica.

 

Nell’era dell’economia della Conoscenza i Paesi asiatici giocano la partita?

È fuori dubbio che la produzione di nuovo sapere stia scivolando sempre più ad est e che l’Europa sia in affanno rispetto al colosso statunitense e al gigante cinese. Tuttavia, se i paesi europei uniti intendono recuperare terreno -e lo possono, solo facendo squadra- devono pianificare con maggiore efficacia un rilancio dell’Unione europea basata sulla Conoscenza e la cooperazione, perché nessun singolo Paese potrà competere con le superpotenze dell’est e ovest. Nel campo della fisica, in particolare, l’Europa e l’Italia vantano primati scientifici, come il CERN e il Laboratorio del Gran Sasso, che meritano di essere difesi.

Come dire: abbiamo talenti e strutture, menti raffinatissime e mezzi di primo ordine. Occorre non perdere altro tempo, se non vogliamo perdere le future generazioni.