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Dalle parole del fondatore alla sfida al mercato globale. Da dove arriva e dove vuole andare l’azienda cinese più celebre in Occidente, che guarda all’Europa e all’Italia per 5G e intelligenza artificiale
Una combinazione di determinazione, fortuna e avvenimenti storici che hanno trovato Ren Zhengfei al posto giusto nel momento giusto: il fondatore di Huawei era a Shenzhen nel 1987 quando l’allora leader del Partito Comunista Cinese Deng Xiaoping compiva il passo che avrebbe aperto il Paese all’economia del libero mercato, dando vita anche a quella zona economica speciale alle porte di Hong Kong che avrebbe permesso la nascita di quello che oggi è il più grande polo produttivo dell’elettronica di tutto il mondo. Posto giusto, momento giusto e una serie di scelte azzeccate: è così che Huawei è riuscita a mettere insieme un fatturato che nell’ultimo trimestre ha raggiunto i 23 miliardi di dollari. Ed è anche per questo che le ambizioni dell’azienda cinese non cambiano, nonostante il quadro politico in perenne agitazione nell’ultimo periodo.
In principio era l’appartamento
Quando Ren Zhengfei fondò Huawei a Shenzhen, in un appartamento, era il 1987: avrebbe dovuto aspettare un anno per costituire formalmente la società, visto che solo nel 1998 la Cina diede ufficialmente il via a questo tipo di iniziativa privata che fino a quel punto era di fatto proibita. Ren ricorda che aveva 44 anni all’epoca, non aveva alcuna idea di come si dovesse costruire e strutturare un’impresa e al principio Huawei non era molto di più che un semplice rivenditore di apparati che venivano costruiti ad Hong Kong: già nel 1990 era nato però il reparto di ricerca&sviluppo (R&D), lo strumento che avrebbe permesso a Huawei di progettare e vendere i propri apparati.
Era un’altra epoca: visitando il quartier generale di Huawei oggi a Shenzhen si fa fatica a pensare a quell’appartamento degli inizi, eppure è lì che è cominciato tutto. Un ruolo importante l’ha giocato anche la determinazione di Ren Zhengfei: i più vecchi dipendenti, oggi tutti in posizione di vertice nel management di Huawei, ricordano ancora di quando il fondatore preconizzava un futuro in cui l’azienda sarebbe stata tra le tre più importanti del settore – profezia a cui all’epoca nessuno dava peso, ma che nel tempo ha costituito lo stimolo giusto per andare avanti e costruire ciò che conosciamo oggi.
R&D come chiave del successo, dicevamo: i primi utili vennero reinvestiti nello sviluppo di apparati telefonici costruiti su misura dell’esigenze delle amplissime aree rurali della Cina continentale, territori inesplorati dove i grandi marchi non avevano interesse ad andare perché ritenuti troppo complessi da gestire. La scommessa Huawei invece avrebbe ripagato: l’attenzione maniacale alla soddisfazione del cliente, un tratto comune a un certo modo di fare affari in Cina, avrebbe dato vita a rapporti di fiducia che durano ancora oggi e che sono diventati uno dei marchi di fabbrica dell’azienda.
Anni 2000, l’incontro con IBM
Qualcosa mancava, Ren non si rassegnava: per la sua azienda aveva sempre ambizioni da prima della classe, ma ad appena 10 anni dall’apertura della Cina alla libera impresa non si era ancora formata quella cultura manageriale che è indispensabile a far scalare il business e magari anche trasformare un’azienda in una multinazionale. L’idea venuta al fondatore di Huawei fu di rivolgersi a chi all’epoca rappresentava lo stato dell’arte dell’organizzazione aziendale: IBM. Ancora oggi alcune strutture interne di Huawei seguono la metodologia cross-funzionale appresa in quegli anni, anni in cui sarebbe nato anche l’approccio che oggi domina pure il design degli smartphone e che mette insieme funzionalità e bellezza.
Giuseppe Pignari (CSO Huawei Italia)
Oggi, poi, visitando il campus di Shenzhen si scopre che Huawei ha dato vita alla sua University: un luogo dove i dirigenti e gli impiegati possono essere formati per apprendere il metodo Huawei, dove persino altre aziende possono inviare i propri dipendenti per conoscere di più e scoprire qualcuno dei segreti di questa che è ormai stabilmente una multinazionale ai vertici di diversi mercati. Di nuovo, però, un passaggio importante di questa crescita fu dettato dalla fortuna: gli investimenti nella tecnologia GSM e CDMA non avevano ripagato in madrepatria, spingendo Huawei a guardare oltre i confini nazionali.
All’inizio degli anni 2000, proprio quando in Occidente scoppiava la bolla del dotcom, Huawei si affacciava al mercato europeo e nordamericano: in quest’ultimo avrebbe replicato lo stesso approccio seguito in Cina, puntando a soddisfare le esigenze delle aree rurali fino a quel punto neglette dai grandi marchi, e costruendo lo stesso tipo di rapporto di fiducia che già la legava ai clienti cinesi. Un rapporto, anche questo, che dura ancora oggi e che è legato all’attenzione di Huawei per le richieste degli operatori radicate nel mondo reale: negli anni si è impegnata a fornire ciò che serviva per migliorare la copertura, la capacità del network, a semplificare l’infrastruttura con prodotti frutto della sua R&D.
L’inizio dell’avventura smartphone
La Huawei come la conosciamo oggi è frutto di tante scelte, come quelle che abbiamo appena descritto, che l’hanno vista scommettere su una tecnologia che potesse garantire un vantaggio pratico e significativo per l’utente finale. Un tempo il cliente erano soltanto gli operatori, oggi è anche il consumatore finale che acquista i telefoni cellulari marchiati Huawei o un service provider che investe nel cloud Huawei. La frontiera oggi si chiama 5G: ed è anche in questa prospettiva che l’R&D cinese si è concentrata nello sviluppo e nella realizzazione di chip capaci di dare vita a un intenso utilizzo dell’intelligenza artificiale in tanti aspetti della nostra vita digitale.
Enrica Banti (Head of External Relations Huawei Italia) e Giuseppe Pignari (CSO Huawei Italia)
Una AI pervasiva significa avere un intero ecosistema che lavora dietro le quinte per fornire all’utente le risposte giuste al momento giusto: è ciò che oggi costituisce la base dell’impegno nel progettare chip destinati a equipaggiare smartphone e altri device che formeranno la presente e futura Internet of Things, e che costituiscono il cuore di quanto oggi e domani vuole fare Huawei anche nel software con lo sviluppo del del sistema operativo Harmony OS. Restando in Europa, e in Italia, per continuare a fare affari e per contribuire alla crescita di questa tecnologia: proprio l’Italia è particolarmente legata ai temi della manifattura intelligente e dei servizi che possono giovarsi dell’avvento del 5G, ma più in generale l’Europa non può permettersi di non salire a bordo del treno che vede l’Asia già correre in avanti verso l’adozione di questa tecnologia.