Si va costituendo la più grande e importante zona di scambio commerciale del mondo. Ed è stata costruita proprio a difesa dei dazi di Trump
Regional Comprehensive Economic Partnership, abbreviato RCEP. Quest’oggi questo nome e questo acronimo non vi dicono nulla, sebbene se ne sia iniziato a parlare nel 2012, ma probabilmente diverranno molto famigliari nei prossimi anni, perché identificano il più grande accordo commerciale mai stipulato, sia per importanza sia per numero di Stati – e dunque di popoli – coinvolti. L’accordo include Cina, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Giappone più i dieci Paesi ASEAN: Brunei, Laos, Myanmar, Malesia, Vietnam, Cambogia, Thailandia, Singapore, Filippine e Indonesia. Un accordo a valenza storica non solo per la sua portata, ma anche perché è il primo trattato di libero scambio a mettere in contatto due potenze storicamente rivali: la Cina e il Giappone, rispettivamente prima e seconda economia asiatica.
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RCEP, tutto merito di Trump?
Il RCEP, siglato dalle 10 economie dell’area ASEAN insieme a Cina, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Australia, arriva di fatto a rappresentare il 30% circa del PIL globale. Resta fuori, a sorpresa, l’India. La potenza economica emergente non ha firmato per i timori di un aumento del suo deficit commerciale con la Cina, ma gli analisti ritengono plausibile che possa aderire in un secondo momento. L’accordo comprende 20 capitoli di norme che regolamentano una nuova area di libero scambio: dal commercio di beni, agli investimenti e commercio elettronico passando per la proprietà intellettuale e agli appalti pubblici.
Come già si anticipava, del RCEP si parla da tempo, dal 2012, ma le trattative hanno subito una nuova accelerazione negli ultimi quattro anni, quando il mondo, e in particolare le economie asiatiche, hanno dovuto subire i dazi protezionistici dell’ormai ex presidente USA Donald Trump, che ha peraltro contemporaneamente ritirato gli Stati Uniti dall’equivalente Occidentale del RCEP, il TPP. E proprio questo nuovo accordo potrebbe sancire definitivamente il sorpasso dell’economia cinese su quella statunitense proprio mentre Joe Biden, neo inquilino della Casa Bianca, eredita un Paese sempre più solo e marginale nell’ottica delle grandi alleanze commerciali.
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