Si fa presto a dire Satoshi Nakamoto. Bhagwan Chowdhry, professore di finanza della University of California ha avanzato la candidatura del creatore dei Bitcoin al premio Nobel per l’Economia. Una provocazione, ma solo in parte. Perché Chowdhry è uno degli specialisti chiamati a definire la rosa del futuro vincitore. Il Nobel per l’Economia funziona così: l’Accademia reale delle Scienze svedese individua alte personalità del settore e chiede loro di fare un nome. Uno solo. È il primo passo sulla strada che porta a Stoccolma.
Il padre ignoto del Bitcoin
«Avrei potuto indicare Paul Romer ella New York University, Doug Diamond della University of Chicago o Steve Ross del Mit». Invece ha scelto Nakamoto. E qui iniziano i problemi. Perché per premiare qualcuno bisognerebbe conoscerlo. Di Satoshi Nakamoto si sa solo una cosa con certezza: nel 2008 ha creato il protocollo alla base dei Bitcoin. Nel 2014 sembrava che Newsweek avesse risolto il mistero, individuando il milionario re della moneta digitale nel placido informatico americano di origini giapponesi Dorian Satoshi Nakamoto. Che però ha sempre negato.
Non si sa neppure se Nakamoto sia un nome reale o uno pseudonimo. Dietro il quale si potrebbe nascondere una sola persona, una coppia (tra gli indiziati ci sono anche Nick Szabo e Hal Finney, anche se il primo nega e il secondo è morto) o un collettivo.
Perché la premiazione di Satoshi Nakamoto è impossibile
Chowdhry si è divertito a immaginare come sarebbe premiare Nakamoto. Non poter ritirare il Nobel di persona è solo uno degli inconvenienti. La procedura prevede che, dopo aver identificato il vincitore, l’Accademia rintracci il suo numero di telefono e annunci a voce la buona nuova. Nakamoto non ha un numero di telefono. Ma esiste online, come dimostrano le interazioni avute in passato attraverso la mail [email protected]. Stoccolma dovrebbe rinunciare al telefono e scegliere il web.
Ma gli inconvenienti non sono finiti. Il Nobel prevede anche un premio in denaro. Niente conti correnti, bonifici o assegni. Nakamoto non ha un Iban: l’unica possibilità sarebbe un trasferimento in Bitcoin. Una delle prime transazioni suggerisce che il suo indirizzo potrebbe essere questo: 1HLoD9E4SDFFPDiYfNYnkBLQ85Y51J3Zb1.
E poi l’Accademia dovrebbe premiare il meno accademico dei Nobel. Nakamoto conquisterebbe il riconoscimento con una sola pubblicazione: le nove pagine di Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System.
Ma la rivoluzione di Bitcoin il Nobel lo merita
Ora, al di là della componente grottesca, la domanda è: Satoshi Nakamoto (chiunque o qualsiasi cosa sia) meriterebbe il premio? Chowdhry si è chiesto la stessa cosa: «Ho iniziato a pensare quale idea avrà un impatto dirompente sul 21esimo secolo. Così mi è saltato in mente il nome di chi ha inventato i Bitcoin». Ragionamento lineare e disarmante. «L’invenzione dei Bitcoin – continua il professore americano – è quantomeno rivoluzionaria. È una moneta che esiste solo come oggetto matematico. È sicura e trasferibile via web istantaneamente e senza passare da governi, banche centrali e intermediari finanziari».
Ma questa è solo una parte dell’impatto di una valuta digitale affidabile. Il protocollo elaborato da Nakamoto ha «implicazioni immense» perché «ha fatto capire quante operazioni finanziarie possono essere digitalizzate, verificate, immagazzinate e inviate all’istante». Senza fogli da firmare e copie da allegare.
Chi ne beneficerà? Secondo Chowdhry, «prima di tutto i consumatori», grazie a una maggiore «inclusione finanziaria e sociale». Parole che sembrano replicare il testamento di Alfred Nobel: il premio istituito a suo nome era destinato a chi «più abbia contribuito al benessere dell’umanità».
Ci sono e ci saranno degenerazioni? Sarebbe sorprendente il contrario: niente è il bene assoluto, neppure i Bitcoin. Lo stesso Alfred Nobel ha fatto fortuna inventando la dinamite. E non è colpa sua se qualcuno ha deciso di utilizzarla per far saltare un caveau e non per sgretolare una cava.