Presentato a Roma il lavoro del Centro Economia Digitale presieduto da Rosario Cerra. Contiene la proposta di investire in alta tecnologia l’1% del PIL per i prossimi tre anni
L’emergenza sanitaria come volano per il rilancio dell’economia: puntando però su una ricetta nuova, una ricetta digitale, capace di fornire nuove opportunità all’Italia e pure di fornire risorse utili ad ammodernare le infrastrutture per far fronte a sfide come quelle che abbiamo vissuto nel lockdown e che in generale ci attendono d’ora in avanti. Il Libro Bianco presentato dal Centro Economia Digitale, presieduto da Rosario Cerra, punta a trasformare questa occasione in un’opportunità da cogliere: introducendo 85 proposte in tre diversi ambiti per cercare di costruire una guida unica, e coerente, per la trasformazione in chiave tecnologica del Paese.
Fattori abilitanti, ritardi da colmare
“Siamo partiti dall’analisi dei cosiddetti fattori abilitanti – ha spiegato lo stesso Cerra – senza i quali non si può parlare di trasformazione digitale. Mi riferisco a concetti e fenomeni sempre più presenti nella nostra società e con cui dobbiamo, tutti, acquisire confidenza perché sono già parte dello sviluppo in atto, sebbene appaiano ancora elitari: le reti 5G, la cybersecurity, l’intelligenza artificiale, la blockchain, l’analisi dei big data, l’Internet of Thing”. Un processo che, sottolinea Cerra, non può non procedere di pari passo con l’alfabetizzazione digitale: dei cittadini, evidentemente, ma pure della Pubblica Amministrazione che può porsi come uno dei vettori di spinta di questa trasformazione.
A cosa servono, dunque, i fattori abilitanti citati? A collegare i cittadini alla Rete per consentire di svolgere l’home working, dunque essere produttivi ed efficienti in modo diverso da quanto abbiamo sperimentato fino a oggi. A costruire un’economia, europea, basata su nuovi business: quelli legati all’intelligenza artificiale, all’high performance computing (HPC), alla blockchain e in generale al cloud. Il tutto in sicurezza, grazie agli investimenti e alle competenze sviluppate nella cybersecurity. Allo stesso tempo occorre anche colmare un gap digitale che ancora affligge il cittadino: ancora oggi ci sono 1 famiglia italiana su 3 totalmente prive di computer o tablet per la connessione da casa, senza contare il ritardo nello sviluppo della rete ad alte performance (fibra e ora anche 5G) con cui stiamo ancora facendo i conti nel 2020.
Come ha dimostrato l’esperienza di questi ultimi mesi, tuttavia, si tratta di un ritardo che non è ancora incolmabile ma che va al più presto colmato: non a caso il Ministro Patuanelli (MISE) ha proprio posto l’accento su uno degli obiettivi del Governo, ovvero la realizzazione della cosiddetta “rete unica” che costituisca la base di un’Italia digitale. Rete su cui poi far transitare i dati indispensabili alle imprese, così come i servizi della PA che sempre di più si stanno spostando sul digitale: e dunque, in un circolo virtuoso, potranno raggiungere sempre più cittadini in modo capillare e accessibile. “L’Italia ha un grave ritardo in termini di digitalizzazione. Stiamo lavorando per fissare degli obiettivi che ci consentano di ridurre questo ritardo, e la realizzazione della rete unica è uno di questi – ha detto il ministro dello Sviluppo Economico, a margine della presentazione – Come ci arriveremo poi lo vedremo. L’accesso alla rete è anche un modo di dare democrazia ai cittadini”.
PMI e PA le priorità per la ripresa
Promuovere la digitalizzazione significa molte cose: significa ad esempio spingere per la digitalizzazione delle Piccole e Medie Imprese che da sempre costituiscono il cuore della produzione industriale italiana, mediante l’introduzione di nuovi modelli di business e di nuovi strumenti (come quelli robotici) che garantiscano competitività a lungo termine. Al contempo i programmi del Governo in materia di trasferimento tecnologico, già contenuti nel cosiddetto Decreto Rilancio, possono spingere alla collaborazione tra mondo accademico e mondo dell’impresa con benefici per entrambi.
Un ruolo determinante nello spingere a questo cambiamento può svolgerlo proprio la Pubblica Amministrazione: il varo e la spinta verso servizi pubblici digitali e interoperabili, oggetto del lavoro del Ministro Pisano e del suo staff, che semplificano la vita al cittadino e all’imprenditore e costituiscono non solo un esempio in positivo ma pure un driver che abilita la crescita organica del settore promuovendo lo sviluppo dell’industria tecnologica e la formazione di competenze tecniche in sede di Università, nelle organizzazioni private e ovviamente in quelle pubbliche.
La proposta finale contenuta nel Libro Bianco del CED è la seguente: “Il ritardo può essere recuperato se scegliamo di cogliere l’opportunità delle risorse messe in campo dall’Unione Europea – ha spiegato il Presidente Cerra nel corso della presentazione del volume – La Commissione Europea ha già indicato i pilastri della crescita nei prossimi anni: lo “Europe Fit for the Digital Age” e il “Green Deal” rappresentano gli strumenti attraverso cui realizzare una trasformazione digitale inclusiva a beneficio di cittadini, imprese e governi e una transizione energetica sostenibile entro il 2050. Si tratta adesso di scegliere di allocare una parte significativa delle risorse previste dal Recovery Fund a favore di investimenti nell’alta tecnologia e in innovazioni digitali. La nostra proposta è quella di destinare a tale scopo annualmente per il periodo 2021-2024 una quota di tali risorse pari all’1% del PIL, circa 17 miliardi all’anno per un totale di 68 miliardi di euro”.
Secondo le stime del CED, ciò produrrebbe un effetto moltiplicatore che produrrebbe un impatto complessivo sul PIL pari a più di 160 miliardi di euro. I dettagli sulla proposta sono contenuti nel Libro Bianco – sostenuto tra gli altri da imprese come ENEL, ENI, I CAPITAL, Leonardo, Open Fiber, RAI, TIM e Tinexta – disponibile per il download a questo indirizzo.