Dal palco dell’evento organizzato da TechCrunch a Shenzen, Ted Livingston, Ceo di Kik, app di messaggistica, ha spiegato perché ha deciso di chiudere le porte ai venture capital per aprirle alla forma di finanziamento del futuro che avviene tramite criptomoneta: le ICO, acronimo di Initial Coin Offering. Linvigston non avrebbe alcun bisogno di trovare fonti alternative per raccogliere capitale, la sua startup ha ottenuto finora 120 milioni da venture come Tencent Holding. Eppure, ha scelto di ricorrere all’ICO per “trasformare la sua app in un’occasione di guadagno per i milioni di utenti attivi che la utilizzano”.
Linvingstone non è l’unico a provare questa strada. Quella delle ICO sembra una vera e propria febbre in USA. Secondo una ricerca di Smith+Crown solo nel 2017 le startup hanno raccolto oltre 500 milioni di dollari con ICO. Ci sono casi di successo che hanno dell’incredibile, come Gnosis, software per analisi predittive di mercato che ha ottenuto 12 milioni di dollari in soli 15 minuti. Oppure Brave, browser ideato da Brendan Eich, il cofondatore di Mozilla che in soli 30 secondi ha portato in cassa 35 milioni.
Ma cosa sono e come funzionano le ICO? Per capire il fenomeno abbiamo chiesto man forte a Federico Tenga, 23enne cofounder di Chainside, una piattaforma per gestire pagamenti in bitcoin usata oggi da oltre 3.500 taxi a Roma (qui raccontiamo la sua storia). E a Giacomo Zucco, amministratore delegato di BLOCKCHAINLAB.
ICO, a metà tra Kickstarter e la Borsa
Quando si parla di ICO bisogna pensare a un modello a metà tra la raccolta fondi su Kickstarter e il mercato della Borsa. Come su Kickstarter i finanziatori scommettono su progetti che non hanno ancora avuto la validazione del mercato. Mentre, come in Borsa, chi investe acquista una quota dell’azienda che può crescere nel tempo. «Funziona così. Chi promuove l’ICO emette token digitali, concettualmente simili a bitcoin su una blockchain pubblica (la più usata è Ethereum). L’investitore paga con la moneta della blockchain scelta e acquista una parte dei token messi a disposizione, che possiamo paragonare alle azioni quando si è sul mercato borsistico. In alcune ICO vengono messi a disposizione dei sistemi di conversione, così che l’investitore può pagare in euro. In un secondo momento lo startupper e l’investitore possono convertire i token in valuta tradizionale sulle piattaforme di exchange tradizionali, oppure con transazioni private, come accede di solito nel mondo dei bitcoin».
ICO, dove informarsi e i vantaggi
Tenga ci spiega che esistono delle piattaforme dove gli investitori possono conoscere qual è la prossima ICO prevista, o gli startupper possono avere visibilità per la raccolta fondi. Token Market è uno di questi. «Uno startupper può avere diversi vantaggi da un ICO. Rispetto a un venture capital o business angel, il processo di raccolta è più veloce e non è soggetto a “frizioni” burocratiche. Inoltre, chi cerca fondi può rivolgersi a una platea molto più ampia, non solo professionisti del settore, ma anche piccoli investitori che vogliono finanziare un progetto con pochi euro. Trattandosi di progetti molto rischiosi, per gli investitori c’è la possibilità di avere ritorni importanti grazie alle fluttuazioni speculative, ma anche con il rischio di perdere gran parte del capitale investito in poco tempo. Poi c’è l’opportunità di raggiungere progetti in tutto il mondo. Chi vuole investire può farlo in Israele, come in USA, senza alcun ostacolo».
Giacomo Zucco getta luce su un altro aspetto di grande interesse, la possibilità delle ICO di spianare la strada a soggetti che sono esclusi dalle logiche finanziarie tradizionali: «La tecnologia blockchain per sua natura permette di aggirare molti ostacoli: legali, normativi, fiscali, regolatori, burocratici, barriere linguistiche e geografiche. In teoria le ICO potrebbero dare a tutti la possibilità di accedere a investimenti attivi e passivi: minorenni, migranti, persone del terzo mondo che non hanno accesso alle banche. La regolamentazione e la burocrazia rappresentano una barriera enorme sia per chi vuole investire, sia per chi cerca soldi. Le ICO aggirano potenzialmente questi vincoli».
Il nodo: la mancanza di tutela
I casi di successo, la stessa Ethereum è nata con un ICO, non mettono da parte quelli che sono i rischi di questo genere di investimenti. Innanzitutto, la mancanza di forme di tutela dell’investitore. Se qualcuno “prende i soldi e scappa” non c’è alcun modo di proteggersi. La US Securities and Exchange Commission, non ha ancora legiferato sulle ICO. C’è da dire che finora non si sono registrati casi giudiziari, ma c’è da dire che il fenomeno è ancora molto giovane: «Anche se si decidesse di introdurre una regolamentazione, probabilmente questa non può essere efficace. I promotori di un progetto posso facilmente spostarsi da Paesi dove ci sono leggi ad hoc verso altri dove vige ancora libertà d’azione. E allo stesso tempo, continuare a raccogliere fondi anche da investitori che vivono nelle nazioni dove le ICO sono state regolamentate. Le ICO non hanno la logica della raccolta fondi tradizionali dove cambiare la sede legale può limitare la capacità di attrarre capitali».
I rischi delle truffe sono dietro l’angolo secondo Zucco che evidenzia la necessità della tecnologia di maturare per limitare quelli che potrebbero essere seri pericoli oggi e in futuro. L’esperto vede soprattutto tre pericoli potenziali per chi vuole investire: «Il primo rischio riguarda la strutturazione economica dell’offerta. Non è ben chiaro ancora cosa gli investitori ottengono in cambio di queste “coin”, questi token digitali che ottengono. A cosa danno diritto? A dividendi del progetto? Altro? Oggi chi compra i “coin” lo fa perlopiù per rivenderli sul mercato secondario a un prezzo maggiore. Gli investitori non sanno bene cosa stanno comprando e questo li espone facilmente a delle truffe. Il secondo rischio è tecnologico: le modalità usate al momento per quasi tutte le ICO sono ancora inaffidabili, insicure, non scalabili, tecnicamente fragili o immature. Il terzo è di natura legale: molte società stanno lanciando ICO per aggirare, di fatto, tutte le normative sugli strumenti finanziari. Questo concede loro molta libertà, ma se lo fanno mettendoci faccia, nome, cognome e ragione sociale, prima o poi i regolatori si sveglieranno e andranno a chiedere il “conto”, temo».
In futuro più garanzie
La tecnologia non è quindi ancora matura e solo con il tempo potranno essere garantiti “diritti” ai possessori di questi token. Secondo Zucco le ICO saranno destinate ad attraversare bolle, truffe: «Ci saranno fallimenti e dolorose lezioni, e di certo non servirebbe a nulla l’intervento di un ente esterno che provi a “regolamentare” il fenomeno. Bitcoin, del resto, nasce proprio per bypassare le authority esterne e ha bisogno di trovare i suoi limiti al suo interno, con un mercato che sbaglia, impara e matura».