Continua la straordinaria crescita dell’economia indiana: nel primo trimestre del nuovo anno prodotto interno lordo segna un +7,9%. Un dato che supera le aspettative degli analisti, i quali stimavano un incremento del 7,5%. Ma i numeri non devono ingannare. Il Paese vive un momento delicato con le banche statali che hanno prestato troppi soldi (e male) e 3 miliardi di debiti che minacciano la stabilità dell’economia. Secondo un’analisi fatta dall’Economist.
Il problema dei prestiti alle imprese
Il magazine economico britannico sottolinea come molte delle banche di proprietà statale, un network di 27 istituti che con i suoi titoli controlla il 70% del sistema bancario, abbia prestato denaro in modo piuttosto “allegro”. Il boom del mini credito si è registrato nel 2011 e lì che sono stati offerti “prestiti non performanti” (crediti cioè per i quali la riscossione è incerta, ndr), gli stessi che pesano sul bilancio della banche indiane statali. Soldi che sono stati concessi per calcoli errati soprattutto nel campo dell’edilizia, dove la burocrazia elefantiaca è un ostacolo duro da superare. E per una ragione di opportunismo politico che ha visto diversi amministratori in cattiva fede fare più di una pressione sugli istituti di credito per dare soldi ai loro amici. Tra questi molti tycoon come Vijay Mallya, celebre imprenditore indiano nella produzione della birra e nel settore dei trasporti aerei, incapaci di ripagare i debiti contratti con le banche statali, come spiega il Financial Times.
L’ex numero 1 del Fmi per riformare le banche indiane
Arrivato al poter nel 2014, il primo ministro Narendra Modi ha provato a invertire la pericolosa tendenza degli istituti bancari. Per farlo ha chiesto il supporto Raghuram Rajan, l’ex presidente del Fondo Monetario Internazionale e attuale governatore della Banca Centrale Indiana, che è stato eletto quest’anno dal Time come una delle 100 persone più influenti al mondo. Rajan è stato molto critico in alcuni suoi interventi proprio verso i tycoon indiani, «responsabili di usare prestiti delle banche statali per attività troppo rischiose e di non ripagare i debiti». Insieme hanno realizzato una legge che offre alle banche il potere di pignorare e rilevare le attività dei debitori. Una misura che marca a suo modo una piccola rivoluzione, in quanto prima molti dei tycoon prosperavano sotto l’ala protettiva dei banchieri. Nella stessa proposta c’è anche l’idea di ridurre il numero di banche statali dalle 27 di oggi alla metà per un controllo maggiore sul loro operato. Un’idea che ha scatenato l’ira dei sindacati.
Ricapitalizzare e privatizzare
“Ma bisogna essere più audaci” secondo The Economist che vede l’India stretta tra i debiti, una ricapitalizzazione delle banche ancora troppo timida e insufficiente per ripulire il sistema dai bad loan e un sistema contradditorio che professa il liberismo sui mercati, ma continua a non abbandonare il “la convinzione che mettere le banche nelle mani dello Stato è il modo migliore di distribuire il credito”. La soluzione per la rivista americana per evitare il disastro segue 2 linee, una grossa ricapitalizzazione del sistema, come è successo negli Stati Uniti, e la privatizzazione del sistema creditizio: «Non è un caso che le banche private abbiano subito meno perdite rispetto a quelle statali».
I bad loan, una minaccia tutta europea
Dall’India all’Italia, il problema dei prestiti non performanti, è una minaccia per alcuni tra i principali sistemi bancari europei. Un report del Fondo Monetario (il Global Financial Stability Report) ha evidenziato che nel nostro Paese i prestiti non performanti sono l’11,2% del totale dei finanziamenti concessi dalle banche. Una media nettamente più alta di altri sistemi bancari europei, come la Spagna (6,7%), Il Regno Unito (4,3%) e la media dell’area euro del 4,3%. Un problema che l’Italia, secondo il quotidiano britannico, «è stata lenta a riconoscere».
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