Un segmento di mercato scoperto, un servizio efficiente e targettizzato, la scelta di basarsi solo su Facebook: questi fattori hanno portato la startup italiana AdEspresso ad essere acquisita dal colosso del social media management Hootsuite. Intervista al Ceo Massimo Chieruzzi e al Coo Armando Biondi
“Anche se alcuni potranno obiettare che il quartier generale di AdEspresso era a San Francisco, in realtà il suo cuore è sempre stato solo italiano”. E’ la prima cosa che dice il team di AdEspresso annunciando l’acquisizione da parte di Hootsuite, il gigante della gestione dei social media, per una cifra che la startup non rivela ma che indica semplicemente come “la più cospicua acquisizione avvenuta nel 2016 in Italia, e una delle 3 maggiori acquisizioni degli ultimi 5 anni”. AdEspresso è una startup che aiuta le piccole e medie imprese a fare campagne pubblicitarie efficaci su Facebook. Cresciuta in California, ma nata grazie a un team tutto italiano che tiene a sottolineare le sue origini. L’idea di AdEspresso viene ai founder Massimo Chieruzzi, Armando Biondi e Carlo Forghieri nel novembre 2011, ma il servizio viene sviluppato seriamente solo a partire dal 2013. Il 7 febbraio 2017 è stata annunciata l’acquisizione da parte di Hootsuite, che segna la direzione che intende seguire il colosso canadese del social media management: quello dei contenuti sponsorizzati. I contenuti a pagamento, sui social, hanno più visibilità, appaiono più in alto degli altri e pertanto hanno una diffusione maggiore. L’algoritmo che su Facebook “premia” i post sponsorizzati si è affinato negli ultimi anni, ma ormai tutti i social hanno filtri di questo tipo. Startupitalia! ha raggiunto Armando Biondi e Massimo Chieruzzi al telefono per farci raccontare il percorso che li ha portati all’exit.
Partiamo dall’inizio. Come nasce l’idea?
Massimo: «L’idea è nata nel novembre 2011: all’epoca eravamo una agenzia di sviluppo. Dovevamo ottimizzare la pubblicità su Facebook ma non trovavamo uno strumento giusto per il nostro target, solo tool molto costosi e inadatti alle nostre esigenze. Ci siamo accorti che questo segmento di mercato – quello delle campagne pubblicitarie per piccole e medie imprese – era scoperto e abbiamo avviato un piccolo progetto per colmare la lacuna. Le cose sono cambiate nel settembre 2013: ci siamo trasferiti in California, e siamo entrati nell’acceleratore 500Startups».
Poi sono arrivati anche gli italiani…
Armando: «Sì: c’era tutta una serie di investitori italiani che conoscevano già il nostro progetto e che ha investito su di noi dopo che siamo entrati in 500Startups. Paola Bonomo e Andrea Rota hanno investito 150K e anche Moshe Bar, un investitore italo-israeliano».
Quanto avete raccolto finora?
Massimo: «In tutto un paio di milioni. Mezzo milione appena siamo entrati in 500Startups, poi un altro mezzo milione nel demo day e altri investimenti».
Che differenza avete riscontrato tra investitori americani e italiani?
Armando: «C’è un mito da sfatare: quello dell’investitore americano più disponibile al rischio. Non è proprio così, nessuno rischia di perdere dei soldi.
Rispetto agli italiani, gli investitori americani staccano con più facilità assegni di 20 o 30K, mentre per l’Italia un range ragionevole è di 5-10K.
Ma non è una questione di rischio: hanno più disponibilità perché hanno un ecosistema più strutturato intorno a loro».
Massimo: «Però devo dire che gli investitori italiani sono più calorosi e la vivono in modo più personale. Con noi si è creato un rapporto molto stretto di amicizia, quando c’è una bella notizia, la vivono in modo personale, ci hanno anche invitato a cena per festeggiare»
Negli ultimi anni siete cresciuti molto.
Massimo: «Siamo cresciuti sempre: a marzo 2014 abbiamo messo il prodotto a pagamento e da lì siamo sempre cresciuti costantemente sia in fatturato sia in team, che ora è arrivato a circa 45 persone in tutto il mondo. Appena entrati in 500Startups gestivamo 90-100mila dollari al mese di campagne: il mese scorso abbiamo gestito 28 milioni di dollari».
Da che cosa deriva il nome della startup?
Massimo: «Inizialmente abbiamo pensato a tanti nomi orribili ma poi siamo atterrati su AdEspresso per delle ragioni molto semplici. Primo: beviamo tanto caffè, e la parola “espresso” rende l’idea della velocità e dell’italianità. Tutti lo conoscono e non devi impazzire a fare lo spelling per farlo capire agli stranieri. Poi comincia con la “a” e questo ci permette di essere in cima tutte le volte che nei giornali si fanno le liste alfabetiche».
Come siete entrati in contatto con Hootsuite?
Armando: «E’ successo un anno fa: ci hanno contattato loro! Eravamo in una conferenza e cercavano aziende con cui stringere partnership o da acquisire. A noi andava bene anche la partnership ma poi ci siamo accordati per una operazione di M&A vantaggiosa per entrambi».
Qual è stata la chiave del vostro successo?
Massimo: «Un elemento considerevole è stato quello del timing: siamo entrati in un mercato in forte crescita e non consolidato a sufficienza. Il mercato delle Pmi è a bassa marginalità quindi è importante essere efficiente nel metodo in cui uno si propone. Bisogna avere un’ottima strategia di distribuzione: un errore estremamente comune nelle startup che hanno founder molto tecnici è quello di concentrarsi solo sul prodotto. Ma il mercato spesso ha dimostrato che non vince il prodotto migliore, ma quello distribuito nel modo migliore».
Armando: «E poi ci sono delle scommesse che noi abbiamo fatto e che abbiamo vinto: per esempio una è che noi siamo stati sempre basati solo su Facebook. Ci chiedevano perché non allargassimo anche ad altri social, ma noi abbiamo guardato al mercato e dalle analisi che abbiamo fatto abbiamo capito che la nostra era la strategia migliore. Seconda scommessa: il mid-market. Tutto il segmento delle Pmi non era servito abbastanza, e così siamo arrivati noi. Le startup che funzionano, poi, sono sempre la combinazione di più cose: il successo è il risultato dell’unione tra il marketing e una strategia di go to market che sia allineata al tipo di clienti che vuoi servire, che sono più scoperti dal punto di vista del prodotto che effettivamente serve quel loro specifico bisogno».