Al via l’eurovertice tra i capi di Stato e di Governo del Vecchio continente. L’Italia ci arriva senza un piano. E la discussione rischia di allungarsi ancora…
È tutta in salita la strada dell’Italia per ottenere quel fondo europeo per la ricostruzione (Next Generation Eu o Recovery Fund che dir si voglia) in parte formato da finanziamenti a fondo perduto parecchio invisi ai Paesi del Nord e dell’Est. Alla fine lo ha dovuto ammettere anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, intervenendo ieri l’altro in Parlamento. Non una bella giornata per la nostra democrazia, quella del 17. Vilipesa da un lato dal premier che, all’antivigilia di una riunione tanto importante come quella odierna, ha silenziato le Camere, impedendo loro di votare e derubricando il suo intervento a semplice risoluzione per timore che la sua fragile maggioranza gli si sgretolasse tra le mani (l’ex presidente Mario Monti ha definito il gesto «contro la legge e contro l’Italia, perché la indebolisce davanti all’Ue»), dall’altro lato offesa dall’opposizione sguaiata e senza senso dei partiti di destra (la sola rimasta in aula, infatti, è stata Forza Italia), usciti platealmente dalle aule e rinunciando così a esercitare la loro funzione democratica.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte
L’Italia arriva al Consiglio fragile e divisa
L’Italia arriva insomma al Consiglio europeo fragile e divisa. Conte aveva voluto a tutti i costi gli Stati generali per posare oggi, sul tavolo comunitario, il corposo dossier del piano italiano della ricostruzione. Piano che, nelle sue intenzioni, sarebbe stato così convincente da spronare a votare per i grants comunitari anche i Paesi che temono che le sovvenzioni si traducano in sterile assistenzialismo. Invece palazzo Chigi si presenta all’appuntamento senza niente in mano, dopo aver subito attacchi dentro e fuori dalle aule parlamentari (su tutti, i sonori schiaffoni assestati all’esecutivo da Carlo Bonomi a villa Doria Pamphili). E oggi?
Oggi potremo allora dire ben poco, agli altri leader europei. Non siamo nelle condizioni di essere credibili, né tanto meno in quelle di essere convincenti. Probabilmente, faremo parlare gli altri e ci accoderemo. Del resto, la battaglia è stata iniziata dalla Francia, che per prima ha avuto l’idea del Recovery Fund alla quale poi per nostra fortuna si è unita anche la Germania. Proprio ieri Angela Merkel al Bundestag ha detto che il Next Generation Eu è «uno strumento doveroso e urgente in questo momento». Non lo diceva certo ai parlamentari tedeschi: quelle parole erano rivolte ai Frugali. Nessuno di loro vuole mettersi contro Berlino. Non c’è dunque sicuramente bisogno del nostro intervento per perorare la causa, anche se dimostrare di avere una minima idea di come investiremo i soldi del fondo europeo sarebbe stata una prova di maturità. Mancata in pieno, purtroppo.
Angela Merkel
© Bundesregierung
Due fatti da considerare che influenzeranno l’iter
Ci sono poi due elementi che potrebbero ulteriormente influenzare l’iter del fondo europeo per la ricostruzione. Il primo gioca a nostro favore: il primo luglio prossimo inizierà il semestre europeo a guida tedesca. E la Germania, abbiamo visto, nella sfida del Next Generation Eu è il nostro alleato più forte. Il secondo potrebbe invece rappresentare una incognita non da poco conto: Mario Centeno ha annunciato qualche giorno fa che non si ricandiderà alla guida dell’Eurogruppo. Il politico portoghese, provenendo da un Paese dell’Europa meridionale, di fatto parteggiava più per noi che per i Frugal Four. Se saremo particolarmente sfortunati potremmo trovare proprio un frugale sulla sua poltrona.
Quando vedremo il Fondo europeo?
A Roma quel Fondo europeo servirebbe prima di subito, soprattutto se il governo intende davvero chiedere al Parlamento di autorizzare un terzo scostamento di bilancio da una decina di miliardi che potrebbe portare quanto speso in sei mesi, solo per il Coronavirus, a una cifra molto vicina ai 100 miliardi (le manovre lacrime e sangue si aggiravano sui 30, ed erano annuali). Paolo Gentiloni ieri ha detto: «Domani [oggi ndR] non credo vedremo ancora il Next Generation Eu. Domani [oggi ndR] credo che sarà una tappa intermedia per avvicinare le posizioni e capire meglio fra capi di Stato e governo le differenze che sono sempre sul tavolo».
Ancora più pessimista il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Sabato scorso, intervenendo agli Stati generali, ha voluto dissipare ogni facile entusiasmo: «Vorrei mettere tutti in guardia dal sottovalutare la difficoltà dei negoziati che stanno per iniziare», ha detto il politico belga a proposito del Recovery fund. «Si tratta di una proposta sotto molti aspetti inedita per natura e portata. Ma c’è ancora parecchia strada da fare», perché «su vari punti chiave del progetto esistono divergenze significative». Il richiamo alle aperte ostilità manifestate dai Frugal Four e dai Paesi del Gruppo di Visegrád è implicito ma palese. «Per il buon esito dei negoziati, tutti dovranno sforzarsi di guardare le cose dal punto di vista degli altri», aveva ammonito Michel, concludendo il proprio intervento agli Stati generali.
I Frugal Four
Insomma, il risultato finale potrebbe essere pure diverso da quello studiato dalla Commissione europea di Ursula von der Leyen, che già non ci premia, dato che per l’Italia meno del 50% del Fondo europeo sarebbe di grants, l’altra parte verrebbe elargita come prestito. In più, come ha saggiamente ricordato il numero 1 di Bankitalia, Ignazio Visco, sempre dagli Stati generali, non esiste “fondo perduto” in Europa, perché qualsiasi cifra va comunque restituita pro quota e noi, essendo la terza economia, siamo chiamati a restituire sempre più degli altri. Ma questi sono problemi che, per quanto immani, visto che ipotecano il nostro futuro e zavorrano la nostra economia, al momento risultano comunque secondari. Il tema principe è riuscire a far passare il Fondo europeo, strappando il sì dei Paesi che vi si oppongono.
Il ministro all’Economia Roberto Gualtieri
Non sarà facile e infatti l’ultima comunicazione del Consiglio europeo recita, circa l’ordine del giorno della riunione odierna: “La discussione dei leader dell’UE servirà da preparazione approfondita per un vertice da tenere in una data successiva e che sarà, se possibile, una riunione fisica”. Insomma, si sa già che oggi non si deciderà nulla. È tutto rimandato al prossimo incontro. Ma c’è un doppio problema: la strategia italiana è probabilmente quella di non dire sì al MES ora per strappare la condizione migliore sul Next Generation Eu dopo. Salvo poi correre a fruire di entrambi perché le casse dello Stato sono ormai desolatamente vuote: se però la discussione si dovesse allungare, cosa faremo?