Progetti genomici, made in Italy, contenuti e notizie. Tutto fluisce attraverso gli strumenti connessi. La formazione di competenze digitali è indispensabile
L’esempio più calzante lo porta sul palco David Orban, direttamente dalla Singularity University: lo studio del genoma umano costava miliardi di dollari solo pochi anni fa, oggi lavoriamo a tecnologie e macchina capaci di ridurre a pochi centesimi la sequenziazione del DNA. Il digitale è in grado di garantire enormi cambiamenti alla società, e soprattutto all’economia: al FED2018 si parla di economia digitale, ma forse la domanda da porsi davvero è un’altra. Ovvero: ha ancora senso parlare di economia e poi, quasi in parallelo come se fosse qualcosa di differente, di economia digitale?
Marco Montemagno e Barbara Gasperini
Competenze in evoluzione
C’è un filo rosso che unisce molti degli interventi che si succedono sul palco del MiCo, nel corso dell’evento organizzato da Facebook in collaborazione con i Giovani Imprenditori di Confindustria. Tutti, a partire dal vicepresidente EMEA di Facebook Ciaran Quilty, passando per il già citato David Orban e poi Davide Dattoli di Talent Garden, ma anche professori di materie classiche come storia dell’arte e archeologia come Benedetto Demaio e Stefano Borgnini, parlano di competenze e di formazione come lo strumento per far crescere l’economia e allo stesso tempo garantire uno sviluppo sociale.
C’è bisogno di aggiornarsi e di studiare, di formazione continua, e c’è l’impegno di Facebook a offrire 1 milione di corsi ad altrettanti cittadini europei entro il 2020. C’è bisogno di formare una serie di competenze, che (ancora) non ha più senso definire semplicemente “digitali” visto quanto sono diventate indispensabili, per sfruttare appieno il cambiamento in atto nella nostra società e nell’economia: se ci sono videogiochi, come ha detto il presentatore Marco Montemagno (sul palco assieme a Barbara Gasperini), che fatturano 300 milioni di dollari al mese solo con gli acquisti in-app, forse dobbiamo smettere di pensare a questa come un’economia dematerializzata e pensare che sia in tutto e per tutto economia. Punto.
Per accogliere questa evoluzione, poi, anche le imprese tradizionali devono obbligatoriamente ripensare al proprio assetto e alla propria organizzazione: non solo ci sarà bisogno di nuove competenze e nuove figure professionali, ma sta alla lungimiranza di chi guida le aziende trasformarle in ottica 4.0 per accogliere queste nuove figure. La tecnologia, oltre a formare le competenze, gioca anche un ruolo nel rinnovamento dei modelli di business: in una sorta di circolo virtuoso, la tecnologia consente di ripensare come le persone collaborano, lavorano, producono un fatturato e un prodotto o servizio richiesto dal pubblico.
Fuori dalla porta
C’è un elemento che caratterizza l’evento FED, storicamente, e che anche in questa edizione non fa eccezione: la presenza sul palco, tra il pubblico, di esperti e imprenditori che magari sono distanti dal comparto digitale. “Uscire dalla autoreferenzialità” dice Luca Colombo, il country director di Facebook Italia, che ribadisce l’importanza di parlare a tutti di digitalizzazione per garantire che l’innovazione diventi una spinta culturale trasversale. Fornire, a chiunque, esempi di crescita e di applicazione pratica di queste tecnologie e modelli di business.
David Orban
“In questi giorni stiamo commentando una serie di notizie di agenzia che segnano più un ritorno al passato, che non hanno niente di innovativo. Il decreto Dignità fa sorridere, inserire la dignità per decreto senza un non senso: irrigidisce le procedure, limita la flessibilità, non c’è niente che aiuta le imprese a creare nuovi posti di lavoro” commenta Alessio Rossi dei Giovani Imprenditori di Confindustria, con un salto nell’attualità politica. Ma il vero punto è forse che non esiste distinzione tra mercato tradizionale e digitale: il digitale permette di aprire nuovi mercati, di entrare in nuovi verticali, senza dover presidiare fisicamente alcuni settori.
Allo stesso modo, e viceversa, non basta una app per rendere digitale un’impresa o un settore. Occorre vincere ritrosie e diffidenze, cercare un linguaggio comune, nuovo, per far dialogare tutti: anche promuovendo l’investimento in formazione tecnica, che fin qui è mancato nel nostro Paese. Il contesto cambia velocemente, molto più che in passato, la formazione scolastica da sola non basta: è necessario fornire gli strumenti fondamentali che torneranno utili nel corso di tutta la propria vita professionale, in un’ottica di formazione continua.
Il valore dei numeri
Quello di cui stiamo parlando non è, nonostante una certa narrativa, futuro remoto: come chiosa Alessandro Benetton, altro degli speaker chiamato a raccontare la propria esperienza di imprenditore, noi stessi e la nostra classe politica non possiamo pensare che il modello economico che fin qui bene o male ha permesso la crescita del Paese (e la sua prosperità) resti attuale e fecondo ancora molto a lungo. Il cambiamento è inevitabile: immaginare che sia latore esclusivamente di un peggioramento nelle condizioni di vita è una visione miope, spiega, che non farà altro che consentire un progressivo accumulo di ritardo per l’economia italiana.
La richiesta di data scientist, di esperti di analisi ed elaborazione dei dati, è all’ordine del giorno nei paesi anglosassoni e si sta facendo rapidamente strada anche da noi. I settori nei quali già abbiamo delle eccellenze, dalla robotica alla manifattura, dalla sartoria all’agroalimentare, tutti beneficiano da subito dei vantaggi di questa nuova digitalizzazione: che permette di rispondere rapidamente alle richieste del mercato, di essere più efficienti, di migliorare i margini e in alcuni casi anche di aprirsi a nuovi mercati sfruttano le competenze e gli strumenti già acquisiti.
E quindi già oggi, come confermano i dati di una ricerca CENSIS elaborata proprio per FED, il 70 per cento delle imprese preferisce candidati all’assunzione dotati di competenze digitali – tanto da generare da parte degli studenti uno spostamento (finalmente) verso le facoltà scientifiche che fanno registrare una crescita del 6,8 per cento nel numero di iscritti. Non basta ancora: nei prossimi cinque anni la domanda in termini di occupazione produrrà non meno di 280.000 posti di lavoro destinati ai professionisti altamente specializzati, che spingeranno nella sola Italia il giro d’affari del digitale alla significativa cifra di 71,4 miliardi di euro entro il 2020.
Ghali
Il digitale è l’unico settore, in Italia, capace di crescere del 18 per cento negli ultimi 5 anni. Una cifra che fa impallidire la crescita nulla o a singola cifra del PIL nazionale, e la riprova che l’investimento in digitale costituisce la priorità.
Barbara Gasperini