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A volte le favole esistono, anche nel business. Non potrebbe chiamarsi diversamente la storia imprenditoriale di Hamdi Ulukaya, immigrato curdo, che negli Stati Uniti, partendo da zero ha creato con lo yogurt un impero che fattura 1,6 miliardi di dollari l’anno. Oggi la favola coinvolge anche i suoi dipendenti, 2 mila persone a cui l’imprenditore ha donato il 10% della proprietà dell’azienda. Una cifra che vale qualcosa come 150 mila euro, destinata a crescere se l’azienda, come da tempo è nelle intenzioni del fondatore, deciderà di quotarsi in Borsa. Oggi la sua valutazione oscilla tra i 3 e i 5 miliardi di dollari.

Hamdi-Ulukaya

Il dottore dello yogurt

Si chiama İliç, il distretto della provincia di Erzincan in Turchia, il luogo da cui proviene l’eroe della nostra storia. Poco più di 6 mila abitanti che per vivere allevano capre, fanno formaggio e yogurt. Hamdi è uno di loro e sarebbe diventato un pastore se non avesse avuto ambizioni e sogni più grandi che lo portano dall’altra parte del mondo, in America, non prima di conseguire una laurea in scienze politiche all’università di Ankara. Una volta in Usa, nel 1994, inizia a studiare prima inglese e studia business alla University at Albany.

Il primo tentativo di mettersi in proprio è con un import export di feta, il formaggio tradizionale greco a pasta semidura. L’idea è di suo padre sconvolto dalla scarsa qualità del formaggio in America, chiede al figlio di importarlo dalla Turchia e venderlo nei mercatini locali. Hamdi accetta e butta giù il primo business plan della sua vita che lo porterà ad aprire un’azienda, lavorare tanto, senza mai raggiungere il break even. Fino a che un giorno succede qualcosa che cambia per sempre la sua vita: «Ero sorpreso dalla qualità non eccelsa dello yogurt negli Stati Uniti. Un giorno mentre ero seduto nel mio ufficio ho visto un volantino che raccontava di una fabbrica di yogurt in vendita. Ho pensato che avrei potuto farci qualcosa», spiega in un’intervista al Wall Street Journal.

Un prestito per ripartire (dormendo in un capannone)

La fabbrica in questione è proprietà della Kraft, la nota multinazionale nel food, che l’aveva abbandonata perché il business era poco redditizio: «Tutti mi dicevano che avevo perso le rotelle. Insomma, se una grande compagnia aveva abbandonato il posto, c’era un valido motivo. Perché avrebbero chiuso se il business era valido? Ma io sentivo qualcosa. Una sensazione che mi scuoteva dentro».

Allora chiede un prestito alla Small Business Administration: 800 mila dollari per far ripartire quella fabbrica ridotta ormai in brandelli. Assume qualcuno dei dipendenti che hanno lavorato nella fabbrica della Krakft, chiama dalla Turchia un maestro esperto nella fabbricazione di yogurt. Per 2 anni, il tempo che gli è servito per lanciare il business, dorme nel capannone: «Ho assunto 5 persone e la prima cosa che ho detto loro è stato di dipingere le pareti, erano orribili, non avevo altre idee. Poi ho spento alcune luci perché le bollette era altissime. Dopodiché ho iniziato a sperimentare ricette per lo yogurt perfetto da lanciare», racconta ancora il turco al Wall Street Journal.

Buona la prima, o si va tutti a casa

«Avevo una sola possibilità, un solo colpo in canna. Non avevo altre possibilità, dovevamo essere perfetti» spiega l’imprenditore che prima di lanciare il prodotto sul mercato impiega 18 mesi. Dal gusto giusto al packing, giorni di esperimenti, uno dopo l’altro, per trovare la formula giusta, la formula del successo.  «Siamo partiti dalla visione che l’industria dello yogurt era noiosa e andava cambiata. Andavamo ovunque a far assaggiare il prodotto, volevamo che piacesse a tutti e fosse accessibile. Abbiamo dato un prezzo molto basso da 1 dollaro e 1,50 che è rimasto sempre lo stesso».

Chobani significa pastore

In un primo momento chiama l’azienda Agro Farma inc, poi Chobani che in lingua turca e greca significa “pastore”. L’azienda inizia a vendere lo yogurt in piccoli negozi, non ha soldi per la pubblicità e si serve dei social per provare la via meno costosa del passaparola. Intanto contatta blogger che recensiscono il prodotto e aiutano a farlo conoscere. La svolta è nel 2009 quando BJ’s Wholesale Club e Costco, 2 catene di supermercati decidono di distribuire il prodotto. Dopo l’accordo vendono 200 casse al giorno di yogurt e iniziano una parabola di dominio sul mercato. I big player bussano alla sua porta, vogliono comprare l’azienda, lui potrebbe diventare milionario e ritirarsi dal business: «Non avevo iniziato un business per venderlo. Non avrebbe avuto senso. Poi avrebbero smembrato l’azienda e trasformato il prodotto per venderlo ancora di più. Ho iniziato tutto per un sogno e non lo avrei abbandonato per soldi».

credits: Forbes

credits: Forbes

Lo yogurt che vale 1,6 miliardi l’anno

La crescita dell’azienda è inarrestabile. Chobani è costretta ad aprire una nuova fabbrica, e le cose sfuggono un po’ di mano al suo fondatore. Arriva una multa di 178 mila dollari per violazioni nella salute e sicurezza dei suoi dipendenti. In poco tempo mette le cose a posto: «La crescita dell’azienda è stata anche drammatica. Siamo passati in pochi anni dal vendere 200 casse di yogurt a settimana a 1.500. Non tutto è stato fatto bene al 100%. Ma gli errori si fanno per imparare. Quelli vecchi non li abbiamo più commessi. Ora aspettiamo di farne di nuovi».

Oggi tutto il mondo parla di lui

La stima di 150 mila dollari di valore delle quote regalate dall’imprenditore appartiene al New York Times. Oggi l’azienda non è ancora quotata ed è complicato fare una stima precisa. La rivista americana spiega che alcuni dipendenti potrebbero anche ottenere una cifra vicina al milione di dollari: «I dipendenti di Chobani – racconta il New York Times- hanno ricevuto u pacchetto bianco. All’interno c’era scritto quante quote della società erano state offerte. Il numero varia dal ruolo e dal tempo che le persone hanno trascorso in azienda».

«Non c’è cosa migliore di condividere il successo con chi ha contribuito a crearlo. Chobani non sarebbe nata senza queste persone. Ora lavoreremo insieme per costruire un futuro ancora migliore per tutti noi» spiega in un’intervista Hamdi, che dopo la decisione ha twittato “Avrò duemila partner a Chobani, questo è uno dei migliori momenti della mia vita”.

D’altronde l’imprenditore non è nuovo a gesti di filantropia. Nella sua carriera ha assunto rifugiati e perseguitati politici e destinato milioni di dollari per aiutare i profughi in Iraq e Siria.

Le tensioni tra Hamdi e gli investitori

Il New York Times svela un retroscena e cioè le tensioni tra il fondatore e la TPG Capital, il fondo di investimento che ha prestato 750 milioni di dollari a Chobani. Dopo l’affare, racconta il giornale, sono nate polemiche sulla direzione della compagnia. Il fondo avrebbe comprato il 20% o qualcosa in più dell’azienda. Ma la percentuale delle quote ora sarà calcolata sul 90% delle azioni rimaste, dopo che il 10% è stato offerto ai dipendenti.

Una furbata per ridurre il potere del fondo?

Giancarlo Donadio
@giancarlodonad1

credits: The New York Times

credits: The New York Times

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