L’azienda veronese dei «cofanetti regalo» è stata comprata dal suo principale competitor per una cifra segreta ma che a Startupitalia.eu risulta essere superiore ai 20 milioni. Abbiamo intervistato il founder Andrea Dusi
Emozione3, prodotto di punta di WishDays, azienda fondata a Verona nel 2006 da Andrea Dusi, 40, e Cristina Pozzi che crea «cofanetti regalo» e voucher digitali in ambito turistico e enogastronomico, è stata comprata da Smartbox Group, società irlandese ma leader nel mercato italiano del settore. La cifra non è stata rivelata, ma, secondo quanto risulta a Startupitalia.eu, dovrebbe essere poco superiore a 20 milioni di euro. WishDays, stando alle informazioni raccolte ha chiuso l’ultimo bilancio con 35 milioni di fatturato, ha finora coperto un buon 30% del mercato dei pacchetti viaggio in Italia. 10 anni dopo la partenza arriva l’exit. Vendono, al gruppo irlandese, il 100% dell’azienda, il team e le professionalità sviluppate. Che adesso sarà pressoché monopolista di mercato in Italia con una posizione di mercato del 90%.
I due fondatori hanno fatto sapere che per un po’ continueranno a lavorare nella nuova casa madre, ma che lasceranno i rispettivi incarichi da manager in qualche mese per dedicarsi a nuove avventure imprenditoriali. Abbiamo provato a contattare il founder Andrea Dusi in un breve telefonata all’imbocco del gate dell’aereo che lo sta portando a Londra. Niente anno sabbatico. Dusi, che lascerà con Pozzi l’azienda tra due mesi, è già pronto per una nuova avventura imprenditoriale. Sempre nel settore turismo.
Ripetiamo le date. WishDays nasce il 13 aprile 2006 e cede le quote al suo principale competitor esattamente 10 anni dopo.
In mezzo ci sono anni con un team fantastico che ha fatto crescere la nostra idea, la nostra impresa a ritmi vertiginosi. Siamo nati a Verona 10 anni fa e da allora siamo diventati 80. Abbiamo fatto tutto da soli, siamo cresciuti da soli autofinanziandoci e partendo con 150 mila euro di investimento fino a diventare leader in un settore con un unico competitor di fatto. Quello che ci ha comprato.
Perché vi hanno comprato?
Noi avevamo il 30 percento del mercato e crescevamo ogni anno con punte del 300 percento ogni anno. E continuavamo a crescere. Con una fortissima presenza sul mercato online ma anche in 5mila negozi fisici. Un po’ dobbiamo avergli fatto paura e per loro l’alternativa era duplice: competere o comprarci. Ma loro sono un grande gruppo con mezzo miliardo di fatturato nel mondo. E ci hanno comprato. E noi non potevamo rifiutare l’offerta.
Ma non volete rivelare la cifra.
Assolutamente, non posso.
Puoi dirmi se è stata un’exit triste? Un po’ se ne vedono ultimamente in Italia di startup che hanno ricevuto prezzi bassissimi per cedere le quote. Ma voi fatturavate già 35 milioni…
Assolutamente no, anzi. Crediamo che la cifra sia corretta. Quello che mi ha intristito e mi intristisce è lasciare l’azienda. Immagina 80 persone del tuo team che ti salutano, un lungo applauso durato diversi minuti per salutarsi. Sono momenti non facili per chi vende un’azienda. E poi io sono contrario al concetto e all’esaltazione dell’exit.
In che senso?
Nel senso che non mi piace l’idea di creare un’azienda solo per venderla. Emotivamente la cosa non è facile è come fare un bambino e lui a un certo punto ti dice: «Papà mi iscrivo all’università e cambio città», non è facile da accettare.
Perché lo hai fatto allora?
Perché era difficile rifiutare l’offerta come ho detto prima. Ma c’è anche la nostra partecipazione alla Singularity University lo scorso anno dove io e Cristina abbiamo capito che il mondo va ad una velocità che per noi è difficile da capire. Non è possibile stare fissi su un progetto per tutta la vita. A volte bisogna accettare i cambiamenti e cominciare nuovi percorsi. Ed è quello che faremo.
Dicevi prima che siete cresciuti da soli, cosa intendevi?
Che non abbiamo mai ricevuto un round di investimento né mai chiesto un prestito bancario. Abbiamo fatto tutto noi, investendo quello che guadagnavamo e mantenendo le quote dell’azienda. Noi nel tempo abbiamo capito che eravamo bravi. Grazie al lavoro fatto dal team, crescevamo ma in silenzio. Fatturato dopo fatturato.
E non avete mai comunicato nulla alla stampa, 35 milioni di fatturato vi avrebbero garantito un titolo più o meno ovunque.
Per scelta, non volevamo esporci. Non ci è mai piaciuto. Abbiamo sempre saputo di essere solidi, poi negli ultimi anni d quando è esploso fenomeno delle startup ci siamo accorti che intorno c’era tantissimo fumo e non volevamo né mischiarci né alimentarlo. Abbiamo tenuto basso il profilo, dei successi. E dei fallimenti, tanti, un po’ ne ho raccontati anche su Startupitalia.
Avete mai cambiato il core dell’azienda, cambiato direzione, pivottato come si dice con una brutta italianizzazione?
Assolutamente, sì. Siamo partiti con Elation.it che permetteva agli utenti di regalare esperienza, ad esempio comprarsi un volo col paracadute, o un lancio da un pendio, un giro in Ferrari. Era il 2006 e non c’era nessuno a farlo in Italia. Poi abbiamo scoperto Smartbox nel 2009 e abbiamo provato con i cofanetti ma puntando sul digitale. E da lì ci siamo focalizzati su quello.
E ironia della sorte l’azienda che vi ha ispirati alla fine vi ha temuti e poi comprati.
E’ andata così.
E ora che farai?
Precisiamo che non farò alcun anno sabbatico, non credo di essere il tipo. Adesso sono in partenza per Londra perché inizierò subito a fare altro. Sempre sul turismo e digitale. So per certo che andrò in Silicon Valley e Singapore per lunghi mesi, ma solo per aggiornami, capire nuovi mercati e nuove frontiere. Sanno tutti che è lì che succedono le cose.
Arcangelo Rociola
@arcamasilum