Le ultime novità commentate da Alessandro Merli, Associate Fellow alla Johns Hopkins University SAIS Europe
Per il leader della Lega, Matteo Salvini, è stata una Caporetto, per il Commissario agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, «è un primo passo, ma è anche la prima volta». L’Eurogruppo di ieri, giovedì 9 marzo, ha concluso una prima bozza di accordo che dà il via a un MES senza condizioni per quanto riguarda i fondi da investire su spesa sanitaria diretta e indiretta, potenzia gli strumenti della Banca Europea per gli Investimenti a favore soprattutto delle PMI e dà disco verde al SURE per venire incontro alla crisi di occupazione con una cassa integrazione europea. «Ha senz’altro tenuto la linea di Olanda e Germania – ha premesso Alessandro Merli, Associate Fellow alla Johns Hopkins University SAIS Europe – ma l’Italia ha ottenuto di più rispetto a quel che chiedeva all’inizio delle negoziazioni».
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MES: oltre l’ideologia
Avevamo interpellato Alessandro Merli nelle scorse settimane, quando l’emergenza coronavirus iniziava a sigillare città e intere nazioni, con la chiusura delle fabbriche e i primi drammatici segni “meno” nei bilanci economici. Con lui StartupItalia torna sul tema del Meccanismo Europeo di Stabilità, il famigerato MES, ovvero il Fondo Salva Stati attivo da quasi dieci anni per tutti quei paesi in crisi che hanno necessità di rifinanziarsi. «Il MES ha in pancia 410 miliardi di euro che finora avrebbe messo a disposizione a determinate condizioni. Con l’Eurogruppo di ieri – ha spiegato Merli – queste condizioni diventano minime almeno per quanto riguarda le spese sanitarie dirette e indirette. Roma potrebbe ottenere fino a 38 miliardi di euro. Una cifra non molto diversa da quella messa in campo da Palazzo Chigi».
#Salvini: MES significa fare debito con un'Istituzione internazionale a cui si dovrà rispondere nei prossimi anni mettendo a garanzia i risparmi degli italiani. Se qualcuno, senza autorizzazione del Parlamento, ne ha accettate le condizioni dovrebbe dimettersi.#GualtieriDimettiti pic.twitter.com/Gb1VHcmgBH
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) April 10, 2020
Le condizioni ci sono sempre
In queste ore infuria la polemica politica interna con l’ex capo del Viminale, Matteo Salvini, che chiede a gran voce le dimissioni del Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, puntando il dito contro un accordo che, sempre secondo il leader della Lega, penalizzerebbe l’Italia. Come ha dichiarato a StartupItalia l’europarlamentare del Carroccio, Silvia Sardone, l’obiettivo italiano doveva piuttosto essere quello di «spendere i nostri soldi senza vincoli». Strategia che, visto l’umore generale nel consesso europeo, appariva da subito perdente ai tavoli di Bruxelles.
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Italia e Spagna hanno già fatto sapere che non intendono, per ora, ricorrere al Meccanismo Europeo di Stabilità ammorbidito durante l’ultimo Eurogruppo. «Va ricordato che Roma è partita chiedendo proprio lo sblocco dei fondi del MES e soltanto dopo, per via delle polemiche politiche, ha virato sugli eurobond», ha precisato Merli. «Un aspetto positivo del MES in queste condizioni è che erogherebbe i fondi in poche settimane, ma ormai è uno strumento politicamente tossico, come se chiunque vi dovesse far ricorso si condannasse a morire». E se avessimo una nostra moneta? «Dovremmo comunque chiedere soldi per finanziare il nostro debito. Ci rivolgeremmo magari al Fondo Monetario Internazionale, ma non verrebbero comunque a mancare determinate condizioni per ottenere i soldi».
La cancelliera Angela Merkel e il presidente Emmanuel Macron
Eurobond: che fine hanno fatto?
Rifiutati dalla Germania e dall’Olanda, l’assenza dei coronabond dall’attuale cassetto degli attrezzi di Bruxelles contro la crisi da coronavirus sarebbe la dimostrazione del fallimento di Roma ai tavoli negoziali. «In realtà quello è uno strumento di lungo periodo – ha precisato Merli – il cosiddetto Recovery Fund proposto dalla Francia è ancora poco chiaro». Secondo le informazioni finora disponibili dall’Eurogruppo, questo fondo d’emergenza potrebbe essere una sorta di «precursore dei coronabond», ma «tutto dipende dal come verrà inteso il debito: sarà centralizzato oppure ogni paese dovrà accollarsi la propria parte?». Altro aspetto che ritarderà ogni dibattito sull’ipotetico battesimo degli eurobond riguarda il finanziamento di questo fondo d’emergenza suggerito da Parigi. «Ci si potrebbe rifare al bilancio pluriennale dell’Unione Europea 2021/2027. Ma bisognerà capire come ripartire le risorse che saranno comunque temporanee».
Una mutualizzazione già c’è
Alessandro Merli è stato l’unico giornalista ad aver intervistato Mario Draghi quando era alla guida della Banca Centrale Europea. Ed è proprio alla BCE che guarda quando parla di una sorta di mutualizzazione del rischio già in atto in Europa. «Gli interventi di Francoforte – ha spiegato – potrebbero intendersi in questo senso, ma occorre che vengano affiancati da una decisione politica». L’istituto guidato da Christine Lagarde ha deciso di sostenere l’area euro fino a fine anno con un piano di acquisto di titoli di stato aggiuntivo da 750 miliardi di euro.
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La Germania e la polemica sui debiti bellici
Come vi abbiamo già spiegato, diversi paesi europei, tra cui anche l’Italia, hanno sostenuto la ripresa tedesca nel Novecento, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Debiti ridotti e spalmati nel tempo consentirono a Berlino di sfuggire a un default in un paese raso al suolo e umiliato. Tutto questo oggi viene usato come argomento per esigere da Angela Merkel un atteggiamento più comprensivo e meno rigido verso la solidarietà europea.
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«Ricordiamoci però – ha commentato Merli – che la Germania ottenne quelle concessioni dopo anni di guerra. Era un paese raso al suolo, occupato da forze militari straniere. Le condizioni erano ben diverse. Soprattutto bisogna inquadrare quella riduzione concessa del debito: dopo la fine del secondo conflitto mondiale si scelse di non commettere lo stesso errore del Patto di Versailles che, punendo gli Stati sconfitti dopo la Grande Guerra, mise le basi per la nascita della crisi politica che avrebbe poi favorito l’avanzata del nazismo». L’Italia di oggi, in altre parole, non è la Germania post-bellica. «Siamo, è vero, un paese con debito molto alto, ma che va tranquillamente sul mercato. Ci sono investitori disponibili ad acquistare i nostri titoli: quelli a 10 anni si collocano sotto il 2%. Non solo non siamo paragonabili alla Germania di allora, ma siamo lontani anche dallo scenario del 2011, quando quel rendimento stava al 7%».