Non esiste al momento un modo più sicuro e intelligente di gestire le transazioni in Bitcoin della combinazione di un sistema multifirma con un portafoglio hardware. A dirlo sono esperti di monete virtuali del calibro di Gavin Andersen (conosciuto come il banchiere di Bitcoin), Gregory Maxwell e Peter Todd. A metterlo in pratica sono i ragazzi italiani che hanno appena lanciato Greenbits, la prima applicazione mobile nativa per la gestione dei bitcoin integrata con un hardware wallet che offre in maniera rapida e sicura: autenticazione a due fattori, transazioni automatiche, generazioni automatiche di nuovi indirizzi per ogni spesa, accredito e trasferimento di resto.
La loro società si chiama Greenadress ed è stata fondata alla fine del 2013 dal milanese Lawrence Nahrum. Oggi i co fondatori sono due, il principale sviluppatore è il polacco Jerziy Kozera, mentre il team è composto da 4-5 persone tra cui l’italiano Giacomo Zucco con il ruolo di head of business development. L’età media del gruppo è fra i 25 e 30 anni e ad oggi gestisce circa 60 mila utenti, 8 mila bitcoin fissi su base giornaliera e nell’arco dell’ultimo anno ha registrato un volume di transazioni pari a 240 mila bitcoin.
Come Giacomo Zucco ha spiegato a Smartmoney, l’idea su cui si basa l’app Greenbits a cui è collegato il portafoglio hardware (una chiavetta usb che nessuno può leggere e che firma le transazioni al suo interno senza che nessuno possa arrivare a conoscere quello che si è messo dentro) è quella di “inserire la propria chiave privata all’interno di un hardware effettivo che poi va interrogato per usare il proprio portafoglio”.
Questo wallet hardware da solo non garantirebbe però il giusto grado di sicurezza perché come spiega Zucco: “chiunque potrebbe mettere un malware nel computer in grado di accedere alla transazione e di modificarla aumentando l’ammontare o cambiando il destinatario”. Con Greebits, invece, utilizzando la tecnologia multisig (di cui avevamo già parlato qui) serviranno sempre due firme per ogni transazione e in questo modo il sistema sarà più sicuro.
In pratica, l’app funziona così: l’utente grazie alla sua chiave privata mette una prima firma, poi Greenbits con una two factor identification (che può concretizzarsi in una chiamata, un sms, o una mail) confermerà la transazione con una seconda firma. Altra garanzia per gli utenti sarà questa: “Se Greenadress dovesse scomparire, tutti i fondi dopo 90 giorni finirebbero automaticamente in un wallet a firma singola senza che nessuno possa impedirlo, così l’utente si riappropria dei suoi bitcoin”, assicura Zucco.
Quella utilizzata non è una tecnologia nuova legata solo a Bitcoin, ma già presente in altri sistemi bancari di chiavi private che i ragazzi di Greenadress hanno mutuato insieme ai francesi della Maison du Bitcoin e a Sathosi labs e deciso di unire al multisig, che con la doppia firma garantisce un livello di sicurezza maggiore.
Per quanto riguarda l’economia del progetto e la monetizzazione del loro lavoro, il modello di business seguito da Greenadress è per ora quello di creare prima una massa di utenti più estesa possibile e poi di pensare al vero e proprio guadagno. “Ma in realtà sappiamo già come farlo”, dichiara Zucco aggiungendo che Greenadress, utilizzando un sistema a doppia firma, può garantire che la transazione non sia stata spesa due volte senza aspettare le conferme. “Ecco, quando raggiungeremo una base di utenti soddisfacente faremo pagare una piccola cifra perl’instant confermation ossia sulla garanzia delle transazioni instantanee su Bitcoin, che per ora è gratuita”. In pratica, è come se una banca proponesse questo al proprio cliente: il bonifico che puoi effettuare ha una tempistica di due giorni, ma se lo vuoi fare subito devi pagare qualche centesimo.
La sede legale di Greenadress è a Malta e i soci tengono a sottolineare come il loro progetto sia “Made by italians but not made in Italy”. Questo perché in Italia “non abbiamo trovato le giuste condizioni e nessuna certezza, né dal punto di vista normativo né da quello fiscale. Inoltre, la pressione fiscale pazzesca e i costi eccessivi a livello previdenziale per l’assunzione di nuovi lavoratori ci hanno scoraggiato. Questo vale anche per l’ultima presa di posizione di Bankitalia nei confronti delle valute digitali che non ha chiarito la situazione ma ha aumentato l’incertezza”, conclude Zucco.
Proprio lo scorso 30 gennaio infatti la Banca d’Italia – con questo documento – ha detto la sua su Bitcoin e sulle valute virtuali, scoraggiando le banche e gli altri intermediari vigilati dall’acquistare, detenere o vendere questo tipo di strumenti. Sostanzialmente, l’istituto di via Nazionale ha appoggiato l’approccio seguito dall’Autorità di vigilanza bancaria europea (ne abbiamo già parlato qui) auspicando un intervento delle istituzioni dell’Unione ed evidenziando la necessità di definire, nel lungo periodo, un quadro normativo armonizzato fra i vari stati membri, “che riservi l’utilizzo della valuta virtuale solo a soggetti autorizzati e definisca, tra l’altro, requisiti in materia di capitale e governance dei partecipanti al mercato e segregazione dei conti della clientela”.
Successivamente, anche l’Unità di informazione finanziaria si è espressa in merito a questo argomento (con questo documento) avvertendo che “l’utilizzo delle valute virtuali può esporre a rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, come messo in evidenza da Autorità internazionali ed europee, quali il Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale, l’Autorità Bancaria Europea e la Banca Centrale Europea”.
Secondo Zucco “Le banche centrali hanno paura di bitcoin inteso come valuta estera e quindi come potenziale competitor. Bitcoin inteso invece come tecnologia vera e propria, pone ora diversi problemi – secondo l’analisi di Bankitalia – dal punto di vista della sicurezza degli utenti. Problemi questi, che senz’altro vengono risolti da innovazioni come le nostre”.