Secondo l’ultimo report dell’Osservatorio sulla sharing mobility del Ministero dell’Ambiente, Milano è sempre più “città collaborativa”: in alcuni settori come il bike sharing addirittura seconda in Europa dopo Parigi e davanti a Londra, Berlino e Madrid. Questo ambiente favorevole è frutto di contaminazioni virtuose: cittadini più consapevoli, imprese più responsabili e istituzioni che hanno saputo dare nuovi strumenti e spazi. Come le ex officine Ansaldo, migliaia di metri quadri dove, a due passi dai Navigli, per decenni si sono costruiti treni, e che il Comune ha riconvertito e messo a disposizione di startup, makers e grandi progetti di innovazione. Oggi quel luogo si chiama Base Milano, e nelle prossime 48 ore ospiterà i lavori della quarta edizione Sharitaly, che oramai può essere considerato il più importante evento nazionale dedicato alla sharing economy.
La novità di Sharitaly 2016: 10 verticali (e l’esordio della blockchain)
Ai temi più “fungibili” dell’economia collaborativa, come car e bike sharing, co-working e co-housing, una delle novità di questa edizione sarà ragionare di tutti quei settori che, dalla finanza alla validazione dei processi, danno vita a loro volta a una galassia di economia distribuita. In una parola, la blockchain intesa come rete abilitante e al tempo stesso garanzia di tutti questi processi. Tema al quale sarà dato ampio spazio in questa edizione di Sharitaly.
Per la prima volta, infatti, nel programma del festival compaiono i verticali. Dieci mercati della sharing economy, o comunque a questa ispirata: abitare collaborativo, cultura, dati e governance delle città, finanza distribuita e collaborativa, lavoro e nuove professioni, manifattura 4.0, mobilità e turismo, processi aziendali, scienza dei cittadini, welfare e territorio.
I numeri della sharing economy in Italia
In occasione di Sharitaly verrà presentato anche il terzo rapporto annuale sulle piattaforme collaborative e il crowdfunding. Secondo quanto anticipato, nel 2016 le piattaforme italiane di sharing economy sono cresciute dell’11%: dalle 187 dello scorso anno a 208 in totale.
Abbiamo intervistato Marta Mainieri, founder di Collaboriamo.org nonché promotrice e curatrice, con Ivana Pais, del festival in programma oggi e domani a Milano.
Marta, cresce la sharing economy e cresce anche Sharitaly. La scelta dei 10 verticali può essere intesa come la grande novità di questa edizione?
«Sì, per la prima volta a Sharitaly abbiamo dieci diversi mercati dell’economia collaborativa. L’anno scorso avevamo lavorato sui target di riferimento, oggi andiamo a vedere l’impatto sui diversi mercati, su 10 diversi mercati. Questo perché processi collaborativi si stanno diffondendo con velocità e maturità differenti in tutti i mercati. In questa quarta edizione vogliamo e fare il punto sulle opportunità e le sfide che lanciano e sull’impatto che generano in particolare in Italia».
E tra le città italiane che stanno facendo meglio c’è Milano…
«Milano è una delle città a livello europeo, ma anche a livello mondo dopo Seoul che sta facendo di più sulla sharing economy. L’assessorato di Cristina Tajani si occupa dal 2014 di questi temi. Certo. ci sono ancora tante cose da sistemare, però dai primi esperimenti di co-working a crowdfunding civico direi che rappresenta già un ottimo esempio».
Airbnb, Blablacar, le tante idee finanziate col crowdfunding, l’economia condivisa e distribuita è oramai parte integrante delle nostre vite. Quali sono i rischi di una crescita così veloce?
«Dalla copertina dell’Economist del 2013 dedicata alla sharing economy la situazione è molto cambiata. Da un lato la crisi ha costretto molti cittadini a trasformare l’occasionalità con cui condividevano i propri beni in un’occupazione continuativa. Dall’altro gli investimenti folli dei grandi fondi americani hanno permesso a servizi molto innovativi e non ancora maturi di crescere velocemente e in maniera incontrollata, costringendole ad accettare nella loro community il numero più alto possibile di persone, senza accertare la coerenza che queste potevano avere con la missione del servizio».
Cos’è e cosa non è sharing economy
Detto in altre parole, c’è chi ne sta approfittando…
«Il rischio è quello della professionalizzazione dell’economia collaborativa, che in alcuni casi vede la dimensione economica prevalere su quella sociale. “Professionista” è chi ha fatto del proprio bene non sfruttato a pieno, o di quello acquistato appositamente, non un’occasione per integrare il reddito, ma una fonte di guadagno, spesso l’unica. C’è una bella differenza, ad esempio, tra Airbnb e Uber. Le piattaforma servono per condividere qualcosa. Devono abitilare e non decidere il prezzo delle transazioni. Airbnb abilità, e quindi è sharing economy. Uber no».
A proposito di Airbnb. Abbiamo letto in questi giorni di una ipotetica norma Airbnb che il governo vorrebbe potrebbe inserire nella legge di Bilancio. Cosa ne pensi?
«Contesto il processo con cui si portano e non si portano avanti certe iniziative più che il contenuto. Un conto è dire “facciamo la legge sulla sharing economy” altro è ragonare o meno su una singola piattaforma».
Che fine ha fatto la proposta di legge sulla sharing economy?
«La legge è ferma. Nel senso che c’è una proposta, ma perché diventi legge c’è bisogno che il Parlamento la discuta. L’italia si è mossa abbastanza presto, ma a dire il vero la situazione dal punto di vista legislativo è ferma un po’ come in tutto il resto d’Europa».
Se le leggi limitano meglio stare senza
Riuscite a fare a meno del legislatore?
«Sono due discorsi completamente slegati. Va detto anche che attraverso le leggi si tende sempre a regolamentare, a contenere. Ci sono i problemi che pongono le grandi piattaforme internazionali, e i tanti piccoli esperimenti che di leggi ancora non hanno bisogno. Piuttosto ci vorrebbero delle politiche pubbliche che favoriscano l’economia collaborativa. Fortunatamente, dal basso ci sono pratiche che vanno avanti, anche con molta lentezza ma costantemente e su tutti i mercati. Iniziative forse meno disruptive, ma che crescono con costanza».
Aldo V. Pecora
@aldopecora