Cos’è il Consiglio, cosa fa? E perché domani è una data cruciale? Di cosa si discuterà?
Forse, la domanda che bisognerebbe porsi ora è “sarà fondamentale il Consiglio europeo di domani?” Infatti, benché in Italia troppo spesso la politica venga vissuta come il gioco del calcio, con gli elettori ben schierati in tifoserie opposte, non ci sono mai partite risolutive in cui si gioca l’incontro della vita. Questo è ancora più vero soprattutto nei vertici internazionali in cui l’avversario è comunque un partner e nessuno ha interesse a “vincere” o a vedere “perdere” la controparte. Agli strappi si preferisce il compromesso. Meglio, piuttosto, rimandare il match ad altra data permettendo al lavoro carsico degli sherpa di avvicinare le posizioni contrapposte. Anche domani, perciò, il Consiglio europeo potrebbe decidere di non decidere, o decidere solo su ciò su cui si è già deciso e dare mandato alle istituzioni comunitarie di formulare altre proposte da votare più in là. C’è già una data ipotetica: il 29 aprile.
Che cos’è il Consiglio europeo e dove eravamo rimasti
Prima di capire che giornata sarà domani per l’Europa, partiamo anzitutto da cos’è il Consiglio europeo. Nato per rimediare alla farraginosità delle istituzioni comunitarie, spesso paralizzate da metodi di voto ridondanti e barocche, ma al contempo ultimo bastione degli egoismi nazionali, il Consiglio europeo si compone dei 27 capi di Stato e di governo europeo. Non fa, insomma, gli interessi dell’Unione perché ciascun partecipante non rappresenta l’Ue ma, in quel consesso, il proprio Stato.
Charles Michel
È insomma una enorme assemblea condominiale, in cui si portano punti di vista nazionali, lamentele, interessi “di bottega”. Sulla carta, il Consiglio europeo definisce le priorità e gli orientamenti politici generali dell’Unione europea. Non facendo parte dei legislatori dell’UE non negozia né adotta leggi comunitaria ma ha il compito di stabilire l’agenda politica dell’Unione, generalmente adottando nelle sue riunioni “conclusioni” che individuano le questioni problematiche e le azioni da intraprendere. Compiti che, è evidente, se l’Unione europea funzionasse correttamente, dovrebbero spettare interamente alla Commissione, che rappresenta l’esecutivo del Vecchio continente.
La centralità del Consiglio nella vita dell’Ue
Invece, dato che gli Stati membri non amano cedere parti della propria sovranità, questo consesso di capi di Stato e di governo ha ancora un ruolo cruciale nella vita dell’Unione europea. Tra le sue principali, funzioni, ricordiamo:
- elegge il proprio presidente;
- propone il presidente della Commissione europea;
- nomina l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (mr PESC)
- nomina ufficialmente l’intero collegio dei commissari
- nomina il comitato esecutivo della Banca centrale europea (BCE), compreso il presidente della BCE
Pertanto, la maggior parte delle istituzioni politiche e anche finanziarie (Commissione e BCE) sono espressione dei rapporti di forza in sede al Consiglio europeo. Un paradosso, se si pensa che l’Unione europea dispone di un Parlamento i cui membri vengono eletti per via diretta dal popolo e a cui, in virtù di questo, probabilmente spetterebbe la titolarità di tali funzioni, dato che la sovranità appartiene al popolo che la esercita mediante il voto…
Charles Michel, presidente del Consiglio europeo
Siamo invece molto lontani da un simile assetto e questo perché, come si anticipava, i Paesi membri non vogliono cedere sovranità e insistono per continuare a mantenere un controllo diretto su quanto avviene in Europa. Da qui l’esigenza di nominare la Commissione europea, il “ministro degli Esteri europei”, vale a dire Mister PESC e anche il board della Banca centrale europea. Potremmo perciò dire che mentre in Italia ricorre spesso la polemica populistica sui presidenti del Consiglio “non eletti” (come è giusto che sia, perché la Costituzione prevede che il popolo elegga il Parlamento, che nomina i membri del governo, anche di provenienza extra-assembleare), a nessuno importi granché del fatto che in Europa l’ultima parola spetti a un consesso di persone che generalmente non provengono da votazioni dirette, sicuramente non a livello europeo. Molte delle nomine espresse dal Consiglio, comunque, devono ottenere almeno il voto di approvazione dell’Europarlamento.
Chi è l’attuale presidente del Consiglio europeo
L’attuale presidente del Consiglio europeo è il belga Charles Michel, che ha assunto l’incarico il 1° dicembre 2019, in sostituzione di Donald Tusk. Eletto membro del parlamento federale nel 1999, un anno dopo ha assunto la carica di ministro vallone dell’interno e del servizio civile e, nel 2007, quella di ministro federale per la cooperazione allo sviluppo. Ha svolto un ruolo importante nel suo partito politico, il Movimento riformatore (MR), in qualità di portavoce (2004-2011) e infine di leader del partito (2011-2014). Nello stesso periodo, tra il 2006 e il 2014, è stato anche sindaco di Wavre, una cittadina vicina a Bruxelles, dove vive con la compagna Amélie e i figli.
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Nell’ottobre 2014 è diventato primo ministro del Regno del Belgio. Il momento più impegnativo come primo ministro è arrivato un anno e mezzo più tardi, quando il 22 marzo 2016 due attacchi terroristici mortali hanno colpito l’aeroporto di Bruxelles e la stazione della metropolitana di Maelbeek. “In quel giorno ho capito cosa significa servire il proprio paese. L’unica preoccupazione è proteggere i cittadini”, aveva dichiarato.
I dossier sul tavolo dei Ventisette
Il preambolo era necessario per comprendere gli assetti interni all’Unione europea. Chiariti gli aspetti tecnici, arriviamo a quelli politici. Domani, sul tavolo dei Ventisette, ci sarà un solo documento: quello che il Consiglio aveva chiesto all’Eurogruppo di predisporre è che è stato partorito dal consesso dei ministri delle Finanze del Vecchio continente a seguito di due riunioni di passione.
L’Eurogruppo virtuale in cui si è discusso il sostegno comunitario ai Paesi colpiti dal Covid-19
In poche parole, si sta replicando su scala europea ciò che vedremmo all’interno di un governo nazionale in cui il capo dell’esecutivo chiede al proprio ministro del Tesoro di elaborare un progetto economico per uscire dalla crisi. Qui il progetto è stato prima discusso e votato nel vertice dei ministri, che hanno predisposto una sorta di legge quadro, ora sarà discusso e votato dai premier europei, che dovranno scendere maggiormente nel dettaglio, dipingendone la tela, possibilmente stando nella cornice già messa a punto dall’Eurogruppo.
Cosa si discuterà al Consiglio europeo di domani
Si parlerà di soldi, tantissimi soldi, perché l’Eurogruppo ha già formulato, assieme alla Commissione, un piano da mezzo triliardo di euro. Cinquecentoquaranta miliardi tra investimenti della Banca europea degli investimenti (BEI), cassa integrazione europea (SURE) e MEF. Non si parlerà probabilmente di Eurobond, i titoli di Stato voluti dall’Italia, perché come avevamo già detto non ci sarebbe il tempo per attuarli (bisognerebbe cambiare i Trattati e ottenere le ratifiche di molti Parlamenti nazionali) e sono rimasti fuori dal documento finale dell’Eurogruppo. Ha più chances di passare il Recovery fund francese, soprattutto per il peso di Parigi nel consesso europeo. Difficilmente avrà invece seguito la proposta spagnola, che chiederebbe ulteriore solidarietà a una Europa che presenta nette spaccature tra i Paesi del Nord e quelli mediterranei, attualmente, cioè, tra quelli meno colpiti dal virus e quelli che lamentano i danni maggiori.
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E l’Italia cosa chiederà?
Già, abbiamo parlato di proposte francesi e proposte spagnole. Così come sappiamo che ci saranno resistenze tedesche e olandesi. In tutto ciò, l’Italia che farà? Bella domanda. Ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nell’informativa resa alle Camere avrebbe dovuto esplicitare la posizione italiana, invece dobbiamo registrare che si è arroccato sulle posizioni politiche già note (“Il MES è inadatto”) seppur con qualche piccola apertura (“Bisognerà leggere le carte, comunque la decisione spetterà al Parlamento”).
Il premier ha anche detto che appoggerà sia la proposta francese, sulla quale ovviamente punta maggiormente, in questo inedito asse Roma – Parigi (storicamente la Francia ha sempre fatto sponda con la Germania, anche per limitarne il potere), sia quella di Madrid, pur chiedendo le opportune modifiche, mentre ha parlato brevemente di un progetto italiano, senza però scendere nei dettagli. Uno sgarbo istituzionale ai danni del Parlamento che forse è passato un po’ in sordina, in questi giorni difficili, ma soprattutto nei confronti di tutti gli italiani, che dovrebbero essere nelle condizioni di conoscere cosa chiederà domani il proprio governo all’Europa e se esiste davvero una proposta italiana.