Tornando nella placida e noiosa Emilia, ho trovato ad aspettarmi una sorpresa: l’apertura, lo stesso giorno, di un nuovo supermercato (di quelle dimensioni che vanno adesso, non troppo piccoli come quelli di città, non troppo grandi come quelli di periferia). Una roba che può andar bene alla vecchia zia a caccia di volantini, ma che vuole dialogare con l’addetta al reparto carne, ma anche al giovane neopadre che ci trova il latte in polvere bio-fair trade-senza lattosio-in brick ricaricabili. Naturalmente, da entomologo di mercati e persone non ho resistito a fare un giro il giorno stesso e a prendere appunti pensando all’e-commerce: eccoli.
1. La novità dell’apertura è una notizia sfruttabile, ma solo se è davvero rilevante per gli interessi della comunità di riferimento, e proporzionata nelle dimensioni — per il paesotto un market quasi-ipermercato, in un posto dove i negozi di solito fanno notizia perché chiudono, è una notizia. Se lanciate un ennesimo store online di specialità regionali, dovreste sforzarvi e cercare un po’ meglio l’unicità della cosa, pena l’indifferenza per il vostro comunicato stampa.
2. Il lancio si chiama lancio perché deve essere fatto prima dell’apertura, non dopo. Può sembrare banale, ma nel mondo neonato dell’e-commerce ahimè non lo è. Cioè, prima si crea conoscenza, e nel frattempo si costruiscono i mattoni. Una settimana prima, c’erano quegli strani cartelloni stradali provvisori ovunque in un raggio di 10 chilometri: chiudete voi la metafora.
3. Una impeccabile first impression: al reparto verdura — giuro – c’era un ragazzo che raddrizzava le carote (cioè, le rimetteva parallele) e un altro con lo spruzzino che ripuliva tracce di cose commestibili sul pavimento. Quindi, ok a mettere il bollino beta, ma senza esagerare nell’usare la pazienza altrui: se alla zia dite che siete in beta, va a dire alle sue amiche che ‘sto negozio non vale il vecchio Conad. Lo stesso vale per l’assortimento: a costo di perderci, non lesinate (se la strategia ovviamente non è di product curation)
4. Ho notato subito l’occhio del padrone (il caponegozio, in questo caso) che si aggirava e prendeva nota di cosa funziona e cosa no: il self è dai clienti verso lo scaffale, ma non lo è dallo scaffale verso il cliente. Lo stesso online: il cliente compra da solo, ma il prodotto non si vende da solo, osservate le statistiche.
5. Occhio al social proof: il negozio deve essere pieno, almeno all’inaugurazione, a costo di fare soffrire i clienti per questo. Se è vuoto, chi va si chiede dove stia la fregatura. (Vedi anche il punto successivo)
6. Passaparola: i pionieri sono gola profonda e vogliono raccontare l’esperienza: da mia suocera sapevo tutto prima. Ecco.
7. Prezzo: se vieni bollato come costoso è la fine, poi diventa difficile togliersi l’etichetta più di un chewingum sotto la scarpa: attenzione ai prezzi dei prodotti anche marginali. Partite con offerte speciali, a carico del direttore marketing, non commerciale.
8. La scorrevolezza del carrello: avete presente quanto è piacevole fare la spesa con il carrello che scivola come su di un pattinaggio sul ghiaccio al contrario di quello che arranca come un tagliaerba? Pensate alle pagine che si caricano velocemente vs quelle leeente: è il corrispettivo online.
9. Prodotto civetta: le genti ci cascano sempre, era uno smarphone al 50% di sconto, numero limitato (scarcity proof, ancora)
10. Quantità di personale superiore al necessario, che aiuti anche anti-economicamente nel breve gli imbranati, per guadagnare nel lungo — signora, guardi, prenda la pinzetta, sollevi la brioche e la inserisca nel sacchetto. Online è lo stesso: la gente non riesce a comprare, spesso, perché proprio non ci riesce, non ci arriva: telefono e chat, e passa la paura.
Bonus: mica chiamano “registrazione” la carta fedeltà, anche se il risultato e il beneficio è lo stesso, al contrario approfittano dell’euforia creata dai punti precedenti per farla sottoscrivere, pochi dati, 30″ e via si inizia a tracciare più dati di Facebook.