Sharing economy. La Commissione europea stabilisce alcune linee per uniformare il quadro normativo, eccole in 5 punti chiave. Simone Cicero: «Ragionevole», Roberto Magnifico(Luiss Enlabs): «Più vicini a USA»
Sono solo delle linee guida per ora quelle della Commissione europea, eppure possono segnare un punto di svolta per i servizi di sharing economy in Europa. Bruxelles le renderà pubbliche questo giovedì, ma il Financial Times offre alcune anticipazioni. Basta con leggi ad hoc per colpire i leader del settore (come Airbnb e Uber), come stop ai divieti. Al loro posto normative nuove per favorire la condivisione di mezzi e risorse, seppur con delle limitazioni. Un clima più sereno dove non mancano, tuttavia, le polemiche, come un punto su “lavoro e assunzioni” che tocca un nervo scoperto di Uber.
Le abbiamo analizzate e commentate con due esperti Simone Cicero, fondatore di Hopen Think Tank e connector per l’Italia di Ouishare, community che raggruppa persone e idee nell’ambito della sharing economy. E Roberto Magnifico, presidente Angel Partner Group e socio di LVenture Group.
Le linee guida in 5 punti
1. Armonizzare le regole dei paesi UE
Alcuni servizi come Uber sono stati ben accolti in UK, mentre vessati in altri Paesi (in Francia gli amministratori della società sono finiti in tribunale con il rischio di cinque anni di carcere e multe salatissime per la multinazionale dei trasporti, ndr). C’è bisogno di un’armonizzazione delle varie normative nazionali e le linee guida sono pensate per assolvere questa funzione: «Una direttiva coerente in tutta la UE potrebbe essere una spinta per i business nell’ambito, facilitando le aziende che non dovranno più barcamenarsi tra 28 diversi leggi nazionali» spiega il Financial Times.
2. Ridurre al minimo i divieti a servizi come Airbnb
Bruxelles critica alcune misure come quelle pensate da Berlino che ha proibito ai cittadini di offrire in affitto l’intera casa su Airbnb o servizi simili, senza un’autorizzazione preventiva da parte dell’amministrazione cittadina (fino a 100mila euro di multa per i trasgressori). I berlinesi possono affittare camere, ma per l’intera casa ci vuole una licenza che di fatto equipara la proprietà a un regolare b&b «Questo tipo di soluzioni sono difficili da giustificare e andrebbero adottate solo come ultima spiaggia» si legge nelle anticipazioni del Financial Times.
3. Giorni limitati per gli affitti di case
Al contrario la Commissione è favorevole a misure soft, come l’introduzione di limiti al numero di giorni in cui è possibile dare in affitto un proprio appartamento o una stanza su siti di condivisione come Airbnb. Limitazioni che dovrebbero aiutare a combattere al rialzo incontrollato degli affitti di cui è accusata la piattaforma e il recupero dell’indotto da parte degli attori tradizionali. A Berlino dal 2009 al 2014 gli affitti sono cresciuti del 56% e sono 6,1 milioni i pernottamenti l’anno “persi” dalle catene alberghiere.
4. Gli autisti di Uber come dipendenti
Questo è il punto che di più spaventa la Silicon Valley e i principali attori della sharing. Bruxelles spiega che non è compito dell’azienda stabilire le tariffe e dei clienti per i suoi collaboratori. In caso contrario diventerebbero veri e propri dipendenti e di conseguenza sarebbe necessario siglare con loro un contratto di lavoro, con tutti i costi aggiuntivi che questo comporterebbe a carico dell’azienda. Una linea che, se confermata, vedrebbe soprattutto l’opposizione di Uber che ha sempre sostenuto la tesi che gli autisti di cui si serve per il servizio non sono suoi dipendenti.
5. Okay per il rating per aumentare fiducia clienti
Bruxelles si esprime a favore sul tema del rating, il meccanismo che molte piattaforme usano per aumentare la fiducia dei clienti: è lo stesso usato da Uber per gli autisti, più sono votati dai clienti, più sono affidabili e più salgono nel ranking. Per molti detrattori è un meccanismo pericoloso per il consumatore nel quale non si misura la reale affidabilità dell’autista, la Commissione è di parere contrario.
La proposta di legge sulla Sharing Economy in Italia, in 5 punti chiave
Simone Cicero:
«Linea ragionevole, ma su Uber sbagliano»
Simone Cicero, che ne pensi delle norme sulla Sharing Economy volute dall’Unione?
«Sarà interessante capire in che modo la direttiva europea si sposerà con la proposta di legge italiana, tuttora in discussione. Nel merito mi sembra ragionevole, soprattutto perché propone regolamentazioni ragionate e non ideologiche (vedi la critica alle multe salatissime di Berlino per Airbnb). Il punto sottovalutato è che le linee guide guardano alle nazioni, quando molto della “partita normativa” delle piattaforme digitali si sta svolgendo a livello locale, con un dialogo tra municipalità e cittadini, come avviene a Barcellona».
Veniamo ai nodi tariffe” e “rapporti di lavoro” che minacciano Uber, che ne pensi?
«Non è un discorso sensato. La piattaforma dà valore a modo suo anche perché gestisce i prezzi sul mercato. Sulla questione lavoro subordinato direi che se Uber può decidere ciò che vuole, gli autisti – che sono già professionisti iscritti a un albo – sono liberi di partecipare o meno. Il problema semmai lo abbiamo con UberPop che abilita un servizio per cui teoricamente serve una licenza (come nel caso di Uber Black aperto solo agli autisti per noleggio con conducente, N.C.C, ndr). Personalmente abolirei queste licenze del tutto e le sostituirei con dei patentini rilasciato previo controllo dei precedenti personali e controlli regolari per rinnovo».
E su altre linee guida come limitare i giorni dei servizi, come per Airbnb?
«Ha senso farlo. Come è stato stabilito in Francia. Altrimenti i prezzi degli affitti volano».
Roberto Magnifico (Luiss Enlabs)
«Così siamo più vicini all’America»
Quale potrebbe essere la diretta conseguenza delle linee guida?
«La decisione di armonizzare la regolamentazione dei modelli di business negli Stati membri potrebbe condurre alla creazione di piattaforme tecnologiche europee, analoghe a quelle americane. Un processo che passa solo dall’abbattimento delle barriere nazionali».
Cosa può preoccupare di più?
«C’è lo spettro del contratto di lavoro. Alcuni pensano che queste piattaforme siano nocive per i posti di lavoro. Eppure questi modelli di business sono una realtà in tutto il mondo come in Cina. Lì c’è un approccio più pragmatico, per la serie “facciamoli anche noi e vediamo cosa succede”. In Europa, invece tendiamo a rifiutare una versione del futuro, quando questa non ci piace e alziamo nuovi muri, al posto di quelli vecchi. Tuttavia, vale la massima di Victor Hugo :“Puoi resistere all’invasione di un esercito. ma non a un’idea il cui tempo è maturo”.
Quale il futuro della sharing in Italia?
«Queste piattaforme tecnologiche hanno democratizzato il concetto di impresa e dei processi, abbattendo barriere. Ciò premesso è difficile capire dove porterà la sharing. Qualcosa si può ipotizzare nel turismo, con la crescita della Cina e dell’India, l’Italia che detiene la maggioranza del patrimonio culturale mondiale. Con la sharing potrebbero nascere nuovi modelli che portano il turista a scoprire posti diversi da quelli dei circuiti tradizionali. Microimprese che promuovono un turismo più molecolare, equamente distribuito e democratico».