«Anche se pensiamo di essere bravi, alla fine non riusciamo a gestire più di una cosa alla volta», racconta a Startupitalia! Enrico Pandian, 37enne veronese. Una dichiarazione che è anche un dogma che lui da sempre rispetta nella sua carriera di startupper seriale. Prima con Matura.it, quando ancora studente di economia e commercio, lancia un sito per vendere appunti e tesine. La prima startup gli impedisce di laurearsi, ma poco importa: la vende al gruppo Banzai, allora Matura.it fattura un miliardo di lire l’anno.
Dopo il primo business, si lancia in una nuova avventura. Un sito di aste per comprare prodotti a prezzi stracciati, si chiama PrezziPazzi. Anche qui si ripete lo stesso schema, lo porta in alto (a un fatturato di tre milioni di euro). E poi lascia.
Allora potrebbe fermarsi e godersi un po’ la vita, ma invece decide di fare fortuna in un altro settore: Supermercato24, startup che utilizza persone comuni come fattorini: fanno la spesa per altri e guadagnano. Nuova tappa, altro successo: quasi 5 milioni raccolti e riconoscimenti, come la vittoria a 360by360. Poi ancora una volta cede il ruolo di amministratore delegato: «Quando fai partire le cose senti dentro una passione incontrollabile. Oggi a Supermercato24 arrivano candidature da dipendenti di Apple. Una volta cercavo i fondi di investimento, ora sono loro a cercare noi. Quando ho mollato, sentivo che avevo bisogno di fare qualcosa da zero. Allora mi sono appassionato a una bella storia. Me l’hanno raccontata e ho capito che non potevo starne fuori».
CheckOut elimina le casse e code ai supermercati
La “bella storia” di cui parla si chiama CheckOut Technologies, una startup che si occupa di intelligenza artificiale e sta realizzando un software che permetterà ai clienti di un supermercato di fare la spesa, saltando la fila alle casse. Un business che conosce bene Jeff Bezos, che da anni ci prova con Amazon Go.
Il Ceo è Jegor Levkovskiy, founder di Bemyguru, la startup che offre consulente per le PMI che non ha avuto buona sorte. Del team dei fondatori tutti nomi molto noti nell’ecosistema startup, come Andrea Dusi e Cristina Pozzi, i founder di Wish Days, l’azienda dei cofanetti regalo acquistata per 20 milioni dai francesi di SmartBox: «Li conoscevo tutti da anni. Mi hanno comunicato l’idea in concomitanza con l’uscita di Amazon Go. Abbiamo cercato insieme delle soluzioni per adottare un metodo diverso da quello di Bezos. Siamo partiti dallo studio dei brevetti, dall’analisi dei punti forti e deboli del progetto».
Enrico ci spiega come il team sia complementare. Jegor si occupa di gestire i “tecnici supernerd”, Andrea è quello con più esperienza nella gestione di un’impresa, Cristina è la più “visionaria”. Mentre lui è l’uomo dei “soldi”, con l’incarico di fare fundraising e tessere relazioni con la grande distribuzione, alla quale andrà venduta la soluzione: «Funziona così. Immaginiamo la vecchietta che entra al supermercato. Attraverso il nostro sistema di telecamere le prendiamo l’impronta facciale. Le assegniamo un numero utente (per esempio 1) e la tracciamo nel suo percorso. Il sistema controlla cosa prende dallo scaffale, cosa rimette a posto e lei può fare la spesa e uscire. Il sistema ha registrato i dati della sua carta di credito o debito e prelevato in automatico la cifra corrispondente all’importo della spesa. Senza che lei passi alla cassa».
Gli Smart Market: numeri, pro e contro
Non tutto sembra remare dalla loro parte. Di rassicurante ci sono di sicuro i numeri e le stime del mercato: l’80% delle famiglie continuerà a fare acquisti in negozi fisici, il valore del comparto è di 7,1 trilioni di dollari, le soluzioni nell’ambito degli smart market faranno ridurre del 30% le spese sul personale. E poi i clienti potenziali sono nomi da sogno, come Walmart, Sainsbury, Carrefour, Lowe’s. Inoltre, quello della Grande Distribuzione è un settore tutto da innovare. Ma i contro fanno paura: ci sono grandi aziende che hanno sviluppato soluzioni in tal senso e il primo esperimento di Amazon Go a Seattle è stato tutto fuorché un successo: quando all’interno del negozio ci sono più di una ventina di persone i software vanno in crisi e se il negozio è affollato qualcuno ha la possibilità di uscire senza pagare.
Con Check Out Technologies è convinto di aver trovato un rimedio al cuore al mezzo fallimento di Amazon: «Quello di Amazon Go è un sistema centralizzato. Server che controllano tutti i supermercati ed è per questo che è andato in crisi. La nostra soluzione è decentralizzata. Ogni metro quadrato in cui è presente il sistema comunica con l’altro e così si evitano problemi di sovraccaricamento dei dati. Poi noi non faremo un nostro punto vendita, ma andremo ad agire su layout già esistenti».
Alla ricerca di 1 milione e mezzo di euro
Per realizzare il progetto pensa a una prima raccolta di 1,5 milioni di euro. I soldi non rappresentano per lui un problema: «L’ostacolo maggiore sarà il tempo. Ci sono tante aziende che ci stanno provando e come sempre chi arriva primo avrà più terreno. L’idea è quella di raccogliere i primi 300mila in Italia (200mila sono già nostri). Per la parte restante della somma, sto già puntando a fondi esteri. D’altronde il respiro del progetto è internazionale. Il nostro target sono le multinazionali estere della grande distribuzione, quelle che negli ultimi anni hanno lavorato tanto nell’automazione».
Agli startupper: «Siate un mix di “orecchio” e intuito»
Al termine dell’intervista offre una serie di dritte agli startupper che vogliono provare ad emulare la sua carriera: «Rispetto a quando ero più giovane, oggi analizzo molto il mercato. Leggo tantissimo e parlo con le persone del settore. Raccolgo i loro feedback e poi vado avanti dritto per la mia strada. Quando ho deciso di aprire Supermercato24 ho chiesto consigli ad alcuni degli amici che lavoravano nel marketing della Grande Distribuzione. Quasi tutti mi hanno detto che non era fattibile, che la gente voleva andare da sola a fare la spesa. Insomma, un buon startupper è fatto di orecchio, ma soprattutto di intuito».
Svela poi anche un errore che lui ha compiuto in passato e che consiglia agli altri di non fare: «Non bisogna mai arrivare a cassa zero per fare fund raising. All’inizio mi capitava di farlo alla ricerca di metriche perfette. Meglio avere metriche più brutte che non possedere un centesimo in banca».