Dal 24 al 30 luglio a Villa Buri la 5^ edizione dell’iniziativa in collaborazione con il Business Incubator for Africa. La testimonianza del Direttore, Fortuna Ekutsu Mambulu. E di Andrea Casale, tra i fondatori di “Serviettes Ingabire” (progetto vincitore dell’edizione 2016)
In Italia spesso non c’è una particolare capacità di visione internazionale nell’ambito delle startup. Molte giovani imprese si orientano al mercato nazionale senza considerare le potenzialità e l’impatto delle proprie idee oltre l’Italia. Eppure, secondo uno studio dell’Information Technology & Innovation Foundation, il 46% dei principali innovatori sono tipicamente cittadini immigrati o figli di immigrati. L’intercultura è un rilevante fattore nelle possibilità imprenditoriali in quanto favorisce una visione più ampia.
La testimonianza del Business Incubator for Africa, qua da noi raccolta tramite le parole del suo fondatore e attuale Direttore Fortuna Ekutsu Mambulu, mostra l’impegno proprio in questa direzione. L’iniziativa dell’African Summer School, attesa per il 24-30 luglio a Villa Buri a Verona (sono aperte le iscrizioni QUI), nasce dall’associazione Africasfriends con un coinvolgimento che vede sino ad ora oltre 20 partner tra cui: Comune di Verona, Università di Verona, UNESCO Giovani, Redani, Unar, UIL Verona, RIA, Banca Popolare di Verona. La Summer School nasce quale nuovo modello di comunicazione del continente e per un’educazione più completa dei giovani afrodiscendenti e dei giovani internazionali appassionati d’Africa. Nel continente si sta vivendo un momento magico rispetto alla crescita delle startup: coworking e acceleratori son infatti più che raddoppiati durante il 2016 (i numeri QUI), arrivando a diventare più di 300 in 42 Paesi diversi (in particolare in Sud Africa, Egitto, Kenya, Nigeria e Marocco). Al contempo, diverse multinazionali del settore tech, pure, si stanno muovendo: Facebook, Google Ventures e Spark Capital stanno impegnando ben 34 milioni di dollari in Africa per la crescita del settore dell’ingegneria informatica. Di questo e molto altro abbiamo parlato proprio con Fortuna Ekutsu Mambulu. Ecco cosa ha detto a StartupItalia!
Cos’è, in breve, l’African Summer School?
«È una scuola di imprenditoria umanistica e sociale per giovani africani, afrodiscendenti e italiani appassionati d’Africa. Si rivolge a loro per offrire formazione in due ambiti principali: sulla coscienza storica africana e sull’imprenditoria sociale. È nata nel 2013 a Verona con lo scopo di accompagnare questi giovani riconnettendoli con i saperi africani che spesso non hanno mai avuto l’occasione di conoscere durante il proprio percorso formativo. La nostra innovazione sta proprio lì, nel combinare l’aspetto umanistico e culturale africano con l’aspetto del business. Sino ad ora abbiamo formato oltre 150 giovani in più Paesi: a Verona, ma anche a Bruxelles (Belgio), Kinshasa (Congo) e Bailleul (Francia). Adesso stiamo lanciando la nostra 5^ edizione dal tema “Religione, Sapere & Afro-Business”».
Come è nata l’idea?
«È nata a Verona mentre ero impegnato in un ritrovo con un pensatore africano ed alcuni giovani studenti. Dopo quasi più di 3 ore di continuo confronto, questi studenti non volevano lasciare la sala, erano assetati di conoscenza. Così ho deciso di sviluppare l’idea, anche se era un momento difficile della mia vita: ero disoccupato, con dalla mia parte però un’esperienza pluriennale di giornalismo nel campo economico e africano. Quando mi son ritrovato con nulla, avevo questo sogno nel cassetto, l’ho quindi testato aprendo un gruppo Facebook e parlando con gli studenti chiedendo se poteva interessare, da lì mi son reso conto che c’era interesse e mercato. Ora, dopo 5 anni di attività, la nostra è di fatto un’impresa sociale sviluppata in ottica interculturale: sia il team che il gruppo docenti non è costituito solamente da africani».
Quali risultati son stati raggiunti sino ad ora?
«Alcuni di questi giovani hanno aperto delle aziende, altri hanno realizzato delle tesi di laurea ispirati dalle letture della Summer School, altri ancora hanno lanciato progetti sociali. Un giovane togolese (Edorh Ananou), insieme ad una ragazza di Verona (Antonella Turrini), hanno avviato una startup in Togo che è impegnata nel generare autosufficienza per la produzione ittica. L’impresa ha avuto anche il finanziamento di 40 mila euro da parte di uno dei nostri stakeholder. La Summer School infatti non è solo di una settimana, ma continua con almeno 3 mesi di auto-formazione o con attività di gruppo. Nell’ultima edizione del 2016 invece il progetto vincitore è stato “Serviettes Ingabire”, sviluppato da Andrea Casale insieme a Dylla Gaelle Gateka, Assita Kone e Margherita Vitali con l’obiettivo di avviare una startup in Burundi per diffondere l’uso di assorbenti lavabili realizzati con materiali biocompatibili».
Cosa prevedete per il futuro?
«L’ambizione ora è quella di consolidarsi in Europa e in Africa mantenendo un’impronta basata sull’economia sociale, valorizzando la nostra caratteristica di condividere il pensiero africano ed un suo punto di vista come soggetto culturale, puntando a far crescere una vera e propria African School of Economics che possa offrire formazione non solo d’estate ma che sia in grado di dare continuità nello sviluppo di competenze strategiche».
Serviettes Ingabire
Il progetto vincitore della scorsa edizione è stato appunto “Serviettes Ingabire”, abbiamo perciò posto un paio di domande anche al co-founder Andrea Casale, 28 anni, laureatosi in Farmacia all’Università di Parma con una tesi internazionale sul programma anti-malaria in Cambogia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Andrea parlaci del tuo progetto.
«In Burundi – uno dei Paesi più poveri al mondo, indicato al 180° posto su 186 Stati dall’Human Development Index – la carenza nell’uso di assorbenti riciclabili ha un forte impatto dal punto di vista sanitario e sociale, in particolare sulle donne molto giovani. Parliamo di un Paese dove chi sta in buone condizioni ha un reddito medio di circa 80 dollari al mese (ad es. un insegnante) e le scatole di assorbenti “usa e getta” costano circa 1-2 dollari, che vanno quindi spesi ogni mese. La nostra idea consiste nella produzione di un assorbente lavabile e quindi riutilizzabile da offrire in un kit che possa costare intorno ai 3 dollari e che contenga 3-4 assorbenti per confezione così da arrivare ad una durata annuale. L’idea è quella di fornire un prodotto acquistabile perciò una volta all’anno, invece di una volta al mese, generando un forte risparmio, in particolare per le donne che non lavorano o per coloro che hanno un basso reddito. Attualmente le donne infatti non hanno un’alternativa e tra le maggiori problematiche vi è l’assenza da scuola durante i periodi del ciclo, le conseguenze impattano quindi sia sulla propria salute che sulle relazioni sociali. Noi stiamo ipotizzando di realizzare tutta la catena produttiva sul territorio, con un vero e proprio laboratorio con di sarte: si tratta di un’impresa sociale che può generare dei posti di lavoro tramite, inoltre, un basso impatto ambientale, tramite l’utilizzo di macchine da cucire a pedali e materiale biodegradabile».
Qual è stato il supporto della Summer School per la tua idea di startup?
«L’idea è venuta a Dylla – Dylla Gaelle Gateka, giovane infermiera di origini burundesi e residente fino a qualche mese fa in Italia, prima di tornare recentemente in Burundi per lavoro e per lo sviluppo del progetto – qualche mese prima di partecipare, aveva visto che un’impresa simile era stata realizzata in Uganda. Lavorando lei in ospedale e conoscendo l’ambito della maternità si è resa conto dell’impatto di questa problematica. Alla Summer School abbiamo incontrato poi Margherita Vitali, che aveva già avuto esperienza di volontariato in Burundi con l’associazione marchigiana Urukundo Onlus nella città di Kiteka. L’African Summer School, oltre ad essere stata un grande network per il progetto, è stata un’esperienza di crescita personale importante per tutti sia con il modulo sull’afro-business che con quello di stampo umanistico. Consiglio vivamente di seguirla a chi ha interesse sui temi dell’Africa e dell’imprenditoria. L’impatto sul progetto è stato rilevante perché, non avendo noi mai studiato prima economia, abbiamo iniziato a prendere confidenza con una certa terminologia, con il Business Model Canvas e anche con il modo in cui vengono scritti certi progetti. Per iniziare credo sia stata fondamentale, l’impatto sul progetto è stato essenziale e senza di essa non credo che saremmo riusciti a fare una cosa fatta bene».