Caratteristiche di aziende e founders, modelli di business vincenti, particolarità dell’ambiente cinese: gli investitori nel paese del Dragone rispondono alle domande della Harvard Business Review
Non è facile raccontare gli ultimi 20 anni di imprenditoria cinese. Soprattutto perché ci sono state grandi trasformazioni che hanno di sicuro influenzato lo sviluppo delle aziende: internet, i motori di ricerca, i social media, l’e-commerce e il mobile internet sono le cinque onde che hanno investito la filiera produttiva mondiale negli ultimi due decenni. La Harvard Business Review cinese, però, ha provato a tracciare un profilo. Tech Silu riporta le interviste fatte ad alcuni dei nomi più importanti del panorama venture cinese per capire cosa significa investire e fare impresa nel paese del Dragone.
Come scegliere su chi investire
La prima domanda che viene posta ai venture capitalists riguarda la scelta delle startup su cui investire. Liu Erhai di Legend Capital risponde citando due modelli: drive model e value model. In altre parole, è importante guardare alla leadership dell’azienda. Ma soprattutto bisogna considerarne il valore che è l’insieme di diverse variabili singole e ambientali. La verità è che quindi non esiste un fattore preminente al quale guardare. Di sicuro, però, bisogna prima guardare alla competitività del business e alla capacità del suo mercato per poi passare all’analisi delle persone.
Intelligenza emozionale e gestione etica del lavoro
Deng Feng, founder e managing director di Northern Light Venture Capital, si concentra di più sulle caratteristiche personali di ceo e founders: «Io valuto l’intelligenza emozionale e le abilità di apprendimento dei founders», dice. In sostanza secondo Feng la Cina ha un serio problema di gestione etica del lavoro e manca di un gruppo manageriale di livello. Per questo motivo avere senso del business, analizzare il mercato con appropriate capacità di gestione e di marketing, comunicare con il governo, capire il sistema finanziario e comunicare con clienti e fornitori sono tutte abilità che risultano fondamentali.
La linea di Hu Bin, prima partner di Qiming Venture, è incentrata sul mercato. «Sono d’accordo con l’idea generale di trovare la persona giusta nel giusto mercato individuandone uno promettente e competitivo prima», dice. Una volta inquadrato il settore, ci si può concentrare sulle persone e sulle loro caratteristiche: esperienze lavorative in compagnie di successo, integrità e etica, motivazione imprenditoriale e spirito di squadra.
Li Fukai, presidente e ceo di Innovation Works, mette a confronto i diversi parametri di scelta dei venture cinesi rispetto a quelli della Silicon Valley. In realtà le caratteristiche considerate solo le stesse. Cambia solo l’ordine di importanza. E così dopo le abilità personali e la profonda conoscenza dell’industria, ciò che conta per gli investitori cinesi sono l’esecuzione e la leadership, più dell’innovazione e del lavoro di squadra.
Le relazioni dei venture con le aziende
I venture cinesi sono molto più coinvolti nella vita della aziende che finanziano rispetto a quanto succede negli Stati Uniti. Deng Feng arriva a dire che sono «partner e cheerleaders». Questo comunque non significa comportarsi da mentori. Il venture capitalist preferisce tirare in ballo il tifo sportivo: «Io contribuisco alla società con risorse, con persone, con le mie esperienze, ma non posso prendere decisioni al posto dell’imprenditore. Non dovremmo lasciare che l’imprenditore si senta come se stesse lavorando per il venture e non per se stesso», dice.
Li Feng sceglie due termini per definire i venture cinesi: collaboratori e consulenti. «Noi alla fine siamo solo un interlocutore con il quale parlare», sintetizza Feng. E in effetti si dice convinto che controllare troppo da vicino un’azienda non sia troppo positivo. Per le aziende early stage i ceo e i founder sono il Dna della società e non sarebbe corretto sconvolgerne la fisionomia sostituendoli.
Tian Suning, presidente di Cbc Fund, parla invece dei venture capitalists come degli «allevatori». È l’approccio di chi non vuole andare alla ricerca di business già vincenti, ma ne vuole creare di nuovi. «Recentemente ho investito in cloud computing, internet, big data, sperando di diventare un seminatore di tecnologia». La vera ricerca da fare è quella per il valore aggiunto. E non è certo una strada semplice.
L’ambiente cinese degli investimenti
È impossibile non ammettere che in Cina esiste un ambiente al quale è necessario adattarsi. È per questo che agli imprenditori cinesi è richiesta una flessibilità maggiore rispetto ad altre parti del mondo. La pensa così Tian Suning. I rapporti che chi fa impresa è in grado di creare soprattutto con il governo sono fondamentali per la riuscita di un business. L’esempio perfetto per capirlo è il cloud computing che in Cina ha bisogno di una serie infinita di permessi per essere efficiente.
Hu Bin aggiunge anche la velocità alle caratteristiche dell’imprenditore cinese: «“L’America innova, la Cina copia” è una situazione che non potremo cambiare di molto in pochi anni, ma entro un decennio ci aspettiamo un cambiamento importante e interessante», spera Bin.
L’innovazione è comunque un concetto che può essere interpretato in molti modi diversi secondo Liu Erhai che sintetizza così il suo pensiero: «L’innovazione è fatta per battere la competizione». In sostanza, Erhai crede che il governo cinese rifiuti l’innovazione perché teme il fallimento. Un rischio che invece le aziende dovrebbero essere in grado di affrontare. Dal punto di vista dei venture, però, è più opportuno controllare i rischi esistenti che crearne di nuovi.
Sulla differenza tra Silicon Valley e Cina nel terreno dell’innovazione si pronuncia anche Li Fukai: «I modelli di business cinesi saranno sempre più complessi di quelli americani». Ciò che conta non è l’innovazione ma la tenacia e le competenze perché sopravvivere nel mercato cinese è molto più difficile. «Sono business che emergono dagli ambienti più difficili, facendo crescere un modello molto particolare e di successo. Questo tipo di aziende sono in grado di prosperare in ogni angolo del mondo», conclude Fukai.