Sonny Wu è il capo-cordata in corsa per acquistare il Milan. E’ un venture capitalist e cerca business su cui investire. Ecco tre ragioni per cui la Cina e i suoi uomini più ricchi hanno scelto il calcio
Il prossimo presidente del Milan potrebbe essere un venture capitalist. Il suo nome, svelato da Bloomberg, è Sonny Wu. Sarebbe il capo di una cordata cinese pronta a comprare la metà rossonera di San Siro. Wu non è solo. Al suo fianco ci sarebbe, tra gli altri, Steven Zheng, un imprenditore che, grazie alle energie rinnovabili, è diventato il 172esimo uomo più ricco della Cina, con un patrimonio personale stimato di 1,5 miliardi di dollari.
Chi è Sonny Wu
Wu non compare nella classifica dei 400 uomini più facoltosi del Paese, ma non si può certo dire che abbia il portafogli vuoto. A lui fa capo una galassia di fondi d’investimento distinta dalla sigla Gsr (che sta per Golden Sand River), con sedi a Hong Kong, Pechino, Singapore e Silicon Valley. I settori d’interesse sono vasti: dai semiconduttori alla farmaceutica, dai media alle rinnovabili, dalla pubblicità alle telecomunicazioni. Si tratta sempre di imprese con elevate potenzialità di crescita, da acquisire, valorizzare e, possibilmente, rivendere. Wu figura come fondatore e managing partner di Gsr Ventures. Si tratta del fondo principale della galassia. Gestisce investimenti per un miliardo di dollari, vanta 81 round in 46 società, due Ipo (Qunar.com ed NQ Mobile) e tre acquisizioni (Seeo, VIPstore.com, AdChina).
L’altra creatura di Wu, Gsr Capital, lo scorso luglio ha invece lanciato un altro fondo da 5 miliardi, con il proposito di uscire dalla Cina ed espandersi verso Occidente. Wu, quindi, non sarà uno dei 400 uomini più ricchi del Paese, ma è un formidabile collettore di capitali. Raccoglie risorse, le investe, occupa posizioni manageriali nelle società partecipate (è presidente di LatticePower e Boston-Power). Potrebbe fare la stessa cosa con il Milan, con o senza Gsr Ventures. Non è infatti ancora chiaro se Wu attingerà da uno dei serbatoio targati Gsr o investirà a titolo personale con un fondo creato ad hoc. Ma perché il calcio? E perché il Milan? Di certo, con o senza fondo, Wu resta un venture capitalist. Che non investe per sfizio ma guarda al ritorno futuro. Con un occhio al partito.
1 – Saldi da valorizzare
Secondo le indiscrezioni pubblicate da Bloomberg, il prezzo che la cordata cinese sarebbe pronta a sborsare per il Milan è di 750 milioni di euro (debiti inclusi). In fondo un prezzo di saldo. Perché Fininvest, capogruppo del Diavolo, non ha né le risorse né la voglia di investire nel club. I risultati del campo negativi fanno il resto.
Per chi guardi al calcio con gli occhi di un venture capitalist, il Milan rappresenta uno dei casi più appetibili a livello di costi e benefici (potenziali). Società come Real Madrid, Barcellona e Manchester United valgono più di 3 miliardi. Il Milan appena 825 milioni. Senza fare il confronto con la vetta (lontanissima), la Juventus vale già molto di più: 1,3 miliardi. Con i bianconeri, la squadra di Silvio Berlusconi perde anche la sfida del fatturato: secondo Deloitte, nella stagione 2014-2015 il club ha incassato poco più di 199 milioni (50 in meno rispetto all’annata precedente, in gran parte a causa dell’assenza dalle competizioni Uefa). Cifra che gli vale la 14esima posizione al mondo. Cinque anni fa era settima. La Juve ha generato 324 milioni, guadagnandosi la decima piazza. Cinque anni fa (senza stadio) fatturava meno della metà e occupava la 13esima posizione.
Guardando alle classifiche di Deloitte e Forbes, ci sono però dei dati che a un investitore in cerca di opportunità non saranno sfuggite. Il Milan è, tra le maggiori società europee, quella con il minor impatto dalla vendita dei biglietti (appena l’11%). Ed è fuori dalla top 10 del fatturato da maerchandising. Elementi negativi, che però raccontano anche un potenziale inespresso. Come sottolinea anche la popolarità social del club: il Milan è l’ottavo club per numero di like su Facebook e il settimo per follower su Twitter. Tradotto: ci sono spazi di business non sfruttati. Pesano le prestazioni sul campo e lo stadio di proprietà (che non c’è). Ma non è tutto.
2 – Le potenzialità del mercato cinese
L’Italia, come dimostra anche il caso dell’Inter (altra società appena conquistata da una cordata cinese) è terra di conquista perché rappresenta un buon equilibrio tra prezzo e potenzialità. Ma la Cina non ha scoperto l’Italia: ha scoperto (da un po’ di tempo) il calcio.
Wang Jianlin, l’uomo più ricco del Paese, ha sborsato 52 milioni di dollari per il 20% dell’Atletico Madrid. China Media Capital (fondo d’investimento partecipato dallo Stato) ne ha spesi addirittura 400 per il 13% di City Football Group, proprietario di Manchester City e New York City FC.
Comprare a prezzi che la congiuntura suggerisce favorevoli e valorizzare il club è una strategia win-win. L’esborso non è certo trascurabile. Ma vale la pena scommettere perché una società posseduta da cinesi apre un ponte verso est. Da una parte il club acquistato beneficia di un mercato gigantesco, ancora poco esplorato. Dall’altra contribuisce ad animare i capitali dello sport cinese. La logica, in sostanza, è questa: investo all’estero, valorizzo il club e guadagno (anche) attingendo a un nuovo pubblico. Allo stesso tempo spingo un mercato ancora contenuto che potrebbe fruttarmi molto di più in futuro, in altre società, per altri sport.
A Pechino si iniziano a sborsare miliardi per i diritti della partite. La China Media Capital si è assicurato l’esclusiva della Chinese Super League (la serie A locale) per i prossimi 5 anni per 1,3 miliardi di dollari. Ma siamo ancora all’inizio. Secondo Pwc, il fatturato sportivo cinese vale solo 3,4 miliardi di dollari, contro i 63,6 miliardi degli Stati Uniti.
La Cina vive ancora uno squilibrio: gli uomini più ricchi del Paese hanno risorse enormi, mentre il mercato dello sport è ancora acerbo. Ecco allora che i capitali cinesi arrivano in occidente non solo per comprare ma anche per importare competenze e professionalità. L’Europa del calcio non è (solo) terra di conquista e fonte di business: è un laboratorio che sarà poi applicato in patria. Sta succedendo per gli allenatori (tra gli altri Marcello Lippi e Felipe Scolari). Succederà con la gestione imparata dai top club europei.
3- I desideri del partito
In Cina imprenditoria e mondo finanziario sono legati a doppio nodo con lo Stato e il partito. Ecco allora che assecondare il presidente Xi Jinping può tornare utile. Anche questo è uno dei plus della scommessa. Xi Jinping è un appassionato di calcio. E vuole che anche la Cina lo diventi. Ha incaricato un esponente di primo piano del governo (la vice-premier Liu Yandong) di monitorare da vicino i progressi dello sport. Il ministro dell’Educazione sta costruendo 20 mila scuole-calcio entro il 2017 e intende arrivare a 50 mila entro il 2025. L’obiettivo è creare una base tale da migliorare (e di molto) il ranking Fifa della nazionale cinese. Oggi occupa la posizione numero 81, un gradino dietro a St. Kitts and Nevis. Che però ha tanti abitanti quanto un condominio di Pechino: poco più di 54 mila.
Non a caso i due uomini più ricchi della Cina hanno deciso di puntare sul calcio. Oltre a Wang Jianlin e ai suoi affari spagnoli, Jack Ma (il padre di Alibaba) è proprietario del Guangzhou Evergrande Taobao (da dove sono passati anche Cannavaro, Gilardino e Diamanti) assieme a Hui Ka Yan (ottavo nella classifica di Forbes). E poco importa se nel 2015 il club ha registrato una perdita di 147 milioni di dollari. È un sacrificio accettabile per chi ha patrimoni superiori ai 20 miliardi di dollari. Quello che conta è assecondare il presidente e mettere un piede in un business, quello dello sport cinese, che non ha ancora macinato utili ma comincerà presto a farlo.
Paolo Fiore
@paolofiore