Gli investitori puntano sulle coltivazioni indoor, ma per ora solo le insalate producono qualche margine di profitto
Agli investitori le vertical farm piacciono e negli ultimi mesi i round chiusi da startup che puntano a coltivare ortaggi in magazzini dismessi si moltiplicano. Ad avere chiuso l’investimento più grosso é stata AeroFarms, che ha incassato 95,8 milioni di dollari per creare una fabbrica di verdura alle porte di Newark, nel New Jersey. Tra le ultime ad aver chiuso un round c’è invece Bowery, che ha ricevuto 20 milioni da General Catalyst, GGV Capital e GV (ex Google Ventures)
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Cos’è una vertical farm
Ma che cos’é una vertical farm e soprattutto é profittevole? L’idea delle coltivazioni indoor é semplice quanto affascinante. Bypassare la natura e ricreare all’interno di un ambiente chiuso, come una ex-fabbrica o un edificio dismesso, un ambiente dove il clima è controllato artificialmente. Le piante crescono su un substrato inerte (nell’idroponica), avvolte in una nebbia di vapore acqueo (nell’aeroponica), oppure in simbiosi con i pesci (nell’acquaponica).
I cicli produttivi sono chiusi. L’acqua viene filtrata e, dopo essere stata arricchita con gli elementi nutritivi necessari, viene reimmessa nel sistema. L’aria controllata e arricchita di CO2, il cibo delle piante. Infine la luce viene fornita da lampade a LED a risparmio energetico.
I benefici sono molti: non si usano agrofarmaci perché non c’é contatto con malattie e insetti dall’esterno. Non esistono infestanti. L’acqua usata è solo il 5 per cento rispetto alle coltivazioni in pieno campo. Inoltre si possono avere prodotti fuori stagioni e a chilometro zero, visto che le coltivazioni (verticali su più livelli) possono essere installate in edifici del tessuto urbano.
Quanto si guadagna con queste fattorie?
Ma alla fine ci si guadagna? Per ora no. Il motivo é semplice: i costi di produzione sono ancora molto più alti di quelli in campo o in serra. Basti pensare alla costruzione della struttura che deve mantenere una temperatura costante tutto l’anno e fornire luce 12 ore al giorno. Poi ci sono i costi di gestione, di movimentazione delle piante all’interno della serra. Il sistema di fertirrigazione che deve bagnare le piante e così via.
I profitti si possono fare in zone in cui la concorrenza dell’agricoltura convenzionale semplicemente non esiste. Vedi l’Alaska, dove frutta e verdura arrivano in nave dalla California. Lì un cespo di lattuga costa 10 dollari e produrla in container attrezzati risulta vantaggioso. Oppure in zone desertiche, dove l’acqua è una risorsa preziosa e l’energia (dal Sole o dal petrolio) è a buon mercato. O lo spazio, dove di terra neppure l’ombra.
Oppure New York, dove l’interesse dei consumatori verso queste tecniche é in crescita e le amministrazioni locali sono interessate a riqualificare aree dismesse. Un ambiente dove gli investitori sono pronti a mettere sul tavolo milioni di dollari per prenotarsi il posto in un business che certamente esploderà, ma solo quando la tecnologia farà crollare i costi di produzione.
Una cosa però non cambierà: nelle vertical farm si possono produrre solo piante di taglia bassa e ciclo breve. Taglia bassa perché per ottimizzare le produzioni i ripiani di coltivazione devono essere uno attaccato all’altro, a 30-40 centimetri massimo. A ciclo breve perché l’energia costa e aspettare tre mesi per raccogliere un finocchio è diseconomico. Restano giusto le insalate, che possono essere raccolte dopo 15-20 giorni o alcune erbe aromatiche, come il basilico. Per pomodori e patate dovremo aspettare ancora molti anni.