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Intervista a Fabio Fava, che guida il Gruppo di coordinamento nazionale per la bioeconomia presso il Comitato nazionale sulla biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita della Presidenza del Consiglio, a margine della terza tappa del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”
Il governo italiano è particolarmente sensibile ai temi della bioeconomia, lavorando affinché possa essere sempre più rigogliosa, ma anche sostenibile e rigenerativa, su tutto il territorio nazionale. È questo, in sintesi, il principale messaggio portato da Fabio Fava – che guida il Gruppo di coordinamento nazionale per la bioeconomia presso il Comitato nazionale sulla biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio, nonché Professore ordinario di Biotecnologie industriali e ambientali presso la Scuola di Ingegneria dell’Università di Bologna – durante il tavolo di lavoro “Ripensare consumi e impronte sul mondo: anche in Italia la rivoluzione della bioeconomia” che si è tenuto lo scorso 14 settembre e ha costituito la terza tappa del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”, promosso da Assobiotec Federchimica in partnership con StartupItalia.
Il progetto, tra giugno e ottobre, prevede quattro appuntamenti preparatori a un grande evento finale, il 9 novembre 2020, che diventerà l’occasione per presentare un Manifesto e, soprattutto, un Documento di Posizione – con proposte operative per la crescita del settore, lo sviluppo delle imprese e il rilancio del Paese – da mettere a disposizione del governo.
Fava è stato uno dei relatori del terzo e penultimo tavolo di lavoro, a cui hanno partecipato oltre 30 esperti – tra associati di Assobiotec, stakeholder e Istituzioni – che hanno avviato una riflessione condivisa sulle potenzialità e i vantaggi per la salute e l’ambiente della bioeconomia, intesa come un nuovo paradigma di sviluppo economico e sociale, che parte dalla rigenerazione dei territori e dall’impiego di risorse biologiche rinnovabili (e locali) come materie prime per un’industria sostenibile e innovativa. Uno scenario dove le biotecnologie industriali e agricole giocano un ruolo cruciale. Ne è emerso un quadro che è stato rappresentato nell’infografica che vedete qui sotto, realizzata dall’illustratrice Irene Coletto.
Per approfondire alcune delle tematiche emerse nel corso del suo intervento, abbiamo intervistato il prof. Fava in occasione della giornata nazionale della bioeconomia – iniziativa lanciata dal Cluster Tecnologico Nazionale per la Chimica Verde SPRING in collaborazione con Assobiotec Federchimica – che oggi, 24 settembre, si celebra in tutta Italia.
I benefici della bioeconomia
StartupItalia: Secondo il 6° rapporto su “La bioeconomia in Europa”, realizzato dalla Direzione Centro Studi di Intesa Sanpaolo in collaborazione con Assobiotec, il comparto italiano occupa oltre due milioni di persone e genera un output di circa 345 miliardi di euro (dati 2018) pari al 10,1% del valore della produzione. Prof. Fava, cosa rappresenta la bioeconomia per l’Italia?
Fabio Fava: «È uno dei pilastri della nostra economia, un ambito assolutamente strategico per il Paese. Sottolineo che è stato registrato un valore in crescita di oltre 7 miliardi rispetto al 2017 (+2,2%), evidenziando un trend in crescita rispetto agli anni precedenti, quando l’incremento medio si attestava attorno all’1,5%. E lo stesso discorso è applicabile ai dati sull’occupazione. Questi valori ci collocano al terzo posto in Europa, dopo Germania e Francia, ma questi sono anche paesi più popolosi del nostro, per cui è quasi fisiologico un posizionamento di questo genere. Ma l’Italia può vantare anche altre eccellenze al riguardo».
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SI: Quali?
FF: «Sempre a livello europeo, abbiamo guadagnato la seconda posizione in ricerca e innovazione, come presenza nei progetti più competitivi, finanziati nell’ambito di Horizon 2020 – il Programma Quadro dell’Unione Europea per la ricerca e l’innovazione relativo al periodo 2014-2020 – e della Bio-Based Industries Joint Technology Initiative – l’Iniziativa Tecnologica Congiunta sulle Bio-Industrie. Siamo, inoltre, primi per biodiversità e per numero di prodotti food di qualità – mi riferisco, ad esempio, a quelli a marchio DOP o IGP – che immettiamo sul mercato. E abbiamo eccellenze anche nei bio-based sectors, grazie a prodotti biodegradabili e compostabili. Ma a rendere la bioeconomia un ambito strategico sono anche e soprattutto i suoi impatti ambientali e sociali».
SI: Approfondiamo questi impatti.
FF: «La bioeconomia ha un valore ambientale molto importante: favorisce l’assimilazione della CO2 attraverso il mare e le foreste, ma anche un suolo in salute è in grado di assimilarla. Produce biocombustibili che riducono l’impatto ambientale dell’autotrazione e nel riscaldamento; può convertire delle matrici molto inquinanti – come i rifiuti organici e le acque reflue civili e industriali – in fertilizzanti e acqua pulita, oltreché in biocombustibili; produce bioplastiche biocompostabili e biodegradabili, con grandi benefici sotto il profilo ambientale. Ha il potenziale – e l’Italia lo ha dimostrato più di tutti – di convertire dei siti industriali in crisi e raffinerie in dismissione in bioraffinerie integrate nel territorio, garantendo anche la bonifica e la riqualificazione di siti, con la valorizzazione di parte delle infrastrutture disponibili e la salvaguardia di posti di lavoro. La bioeconomia, inoltre, protegge e rigenera la biodiversità e i servizi eco-sistemici associati, e questo può avere un riflesso molto importante anche sulla nostra salute».
SI: Perché?
FF: «Secondo alcuni esperti internazionali di primissimo livello, che hanno pubblicato su alcune fra le più importanti riviste scientifiche internazionali, tutelare e rigenerare la biodiversità potrebbe consentirci di prevenire fenomeni come la pandemia da Covid-19, che sembra essere dovuta proprio a una degradazione progressiva degli ecosistemi».
SI: Fin qui gli impatti ambientali. Quelli sociali?
FF: «La bioeconomia garantisce cibo di qualità e in quantità, per tutti, nonché nuove opportunità di lavoro, specie in aree rurali, costiere, ma anche marginali o abbandonate. E non dobbiamo trascurare i servizi eco-sistemici, che ci forniscono beni e servizi che soddisfano, direttamente o indirettamente, le nostre necessità, garantendoci di poter godere della bellezza dei nostri ecosistemi nazionali. Insomma, questo comparto ha davvero delle grandi potenzialità, offrendo dei percorsi strategici per una crescita sostenibile, inclusiva e più sana, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, il Green Deal europeo e i Recovery packages. E sicuramente l’Italia possiede tutte le caratteristiche per diventare ancora più competitiva dal punto di vista industriale e occupazionale, grazie alla bioeconomia».
La bioeconomia in Italia
SI: Visto il suo alto valore strategico, come si può sostenere la bioeconomia nel nostro Paese?
FF: «La parola d’ordine è interconnessione, per fare sistema. La bioeconomia rappresenta un mondo estremamente articolato e variegato, per cui è necessario interconnettere al meglio i vari settori che la compongono – agricoltura, allevamento, acquacoltura, pesca, industria alimentare e delle bevande, silvicoltura, industria del legno e della carta, bioraffinerie, attività agroforestali e costiere, biotecnologie blu e la valorizzazione integrata dei rifiuti organici e delle acque reflue delle città – ma anche gli attori pubblici e privati che operano entro ciascun settore. Allo stesso tempo, per uno sviluppo omogeneo ed efficace, bisogna interconnettere tra loro sia i ministeri, specie quelli più coinvolti nella bioeconomia, che le regioni, e favorire la stessa interconnessione tra ministeri e regioni, coinvolti nella messa a punto di normative, di strategie di sviluppo e di finanziamenti a sostegno della ricerca e innovazione nell’intero Paese».
SI: Insomma, quello che avete fatto per arrivare alla redazione della prima Strategia Nazionale sulla Bioeconomia e, in seguito, per il suo aggiornamento.
FF: «Esattamente. Dal 2017 l’Italia ha messo in campo una strategia nazionale per la bioeconomia. A quel documento, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno lavorato insieme i rappresentanti di 5 ministeri – MIPAFF, MIUR, MISE, MATTM e Coesione territoriale – delle 21 Regioni e Province autonome, dell’Agenzia di Coesione territoriale e di due cluster tecnologici nazionali: quello della chimica verde (SPRING) e dell’agrifood (CL.A.N.). Il percorso, del quale ho avuto la guida scientifica, è stato compiuto in stretta collaborazione con la Commissione europea. Nel 2019, sotto la spinta del governo Conte 1°, abbiamo ripristinato un gruppo di lavoro con lo stesso assetto precedente – ma con l’aggiunta del cluster “Blue Italian Growth”, dedicato all’economia del mare, e SVIMEZ – per aggiornare la strategia, allineandola a quella adottata dalla Commissione UE nell’ottobre 2018 e alle nuove priorità della bioeconomia del nostro Paese: dalla circolarità alla digitalizzazione, dalla biodiversità alla rigenerazione territoriale, fino alla bioeconomia delle città. Un’altra novità è stata la formalizzazione del “Gruppo di coordinamento nazionale per la Bioeconomia”, di cui sono il coordinatore, nell’ambito del CNBBSV, presso la Presidenza del Consiglio».
SI: Come avete tradotto la nuova strategia nazionale sulla bioeconomia in azioni concrete?
FF: «Alla fine di luglio abbiamo presentato l’Implementation Action Plan (2020-2025), un piano di implementazione della strategia nei territori, che prevede cinque grandi progetti nazionali, mobilitando in pratica gli attori pubblici e privati di tutto il Paese. Abbiamo definito i limiti ecologici dei nostri interventi, ma anche le politiche, gli aspetti procedurali e normativi, e gli incentivi, a sostegno dell’avvio di questi grandi piani di innovazione industriale, mettendo al centro anche i temi della comunicazione, il coinvolgimento del consumatore e la formazione, soprattutto professionalizzante. E, vista la particolare resilienza della bioeconomia nei confronti della pandemia da nuovo coronavirus, abbiamo inserito anche una sezione sul Covid-19, per una ripartenza sostenibile a partire proprio dalla bioeconomia circolare. La nostra intenzione è quella di aprire questo documento alla consultazione entro i prossimi due mesi, in modo da concludere il lavoro per la fine dell’anno. Non solo: contestualmente all’Implementation Action Plan, abbiamo presentato anche un documento di indirizzo per il Recovery del Paese, dal titolo “La bioeconomia circolare: suo ruolo per la ripresa economica, sociale, sanitaria e ambientale del Paese”. Si tratta di un documento più snello, che raccoglie i messaggi e le azioni da intraprendere per far subito ripartire l’Italia, grazie all’importante contributo che può offrire la bioeconomia circolare. Sono grandi iniziative nazionali su cui è già stata manifestata, da parte di chi le ha proposte, la disponibilità a cofinanziare il percorso. Sono azioni nate dai principali attori industriali e pubblici presenti nei tre cluster tecnologici del Gruppo di coordinamento nazionale».
Dal produttore al consumatore: l’importanza di coinvolgere i vari attori
SI: Che ruolo giocano le biotecnologie in questi piani operativi?
FF: «Un ruolo centrale. Come key enabling technologies, le biotecnologie hanno un ruolo strategico, assolutamente cruciale in tutti i settori che compongono la bioeconomia, rappresentando una formidabile leva di sviluppo e innovazione per il nostro Paese e non solo».
SI: La Commissione europea, lo scorso maggio, ha presentato sia la strategia Farm to Fork che la strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, entrambe al centro del Green Deal europeo. Lei, nel corso della riunione a porte chiuse, ne ha ribadito l’importanza, sottolineando allo stesso tempo la necessità di dare più spazio alla produzione primaria. Specifichiamo questa raccomandazione.
FF: «Riguardo i due documenti citati, io credo che siano entrambe delle ottime strategie, con obiettivi molto ambiziosi. Detto questo, in generale, si risente complessivamente di una carenza dei contributi dei primary producers – come gli agricoltori, gli allevatori e gli altri produttori di biomassa – sia nei tavoli in cui si discute di queste strategie, sia soprattutto nei progetti di ricerca e innovazione. È fondamentale, dunque, che questi facciano parte dei panel che lavorano alle strategie, dei consorzi che applicano per i progetti e, quindi, dei consorzi finanziati. Per farlo, dovrebbero anzitutto essere più presenti nei cluster tecnologici nazionali. Se non partecipano alla definizione delle policy e/o alle fasi di implementazione dei progetti, si rischia di compromettere il raggiungimento di parte degli impatti attesi. Ma vorrei aggiungere anche un’altra raccomandazione».
SI: Prego.
FF: «È fondamentale coinvolgere anche i cittadini, i consumatori, in qualsiasi innovazione. Sempre. Perché nella bioeconomia, così come in altri settori, se questi percorsi non vengono condivisi, il rischio è che una bella innovazione non venga riconosciuta come tale e non se ne utilizzino a fondo i prodotti che ne derivano. Oppure che l’innovazione generata non corrisponda al meglio alle necessità del cittadino».