L’analisi del Digital Transformation Institute sull’agroalimentare, con un focus particolare sulla produzione vitivinicola e sul perché c’è bisogno di una visione di insieme
Lo studio “Gli Impatti della Digital Transformation sul settore Agrifood”, realizzata dal Digital Transformation Institute (Dti) con la collaborazione di Cisco Italia, ha analizzato il settore agroalimentare, dal campo alla tavola. Lo scopo: individuare le tecnologie a maggiore impatto, indagare lo stato dell’arte nelle diverse filiere, ma soprattutto scuotere dal torpore digitale le realtà agrifood italiane.
Infatti il settore agricolo, che pesa attorno al 2% del PIL in Italia e impiega tra agricoltura e industria il 21,7% degli occupati italiani, sembra essere ancora poco attratto da investimenti e digitalizzazione. Mentre il 52% delle imprese ha intenzione di fare investimenti superiori ai 5mila euro nel prossimo futuro, è anche vero che un 31% di aziende, specie medio-piccole, non ha nessuna intenzione di investire in innovazione digitale. Si investirà su produzione e ottimizzazione dei processi, oltre che tracciabilità e sicurezza del prodotto.
Digitalizzare tutta la filiera
«La digitalizzazione dei processi dell’agricoltura è propedeutica alla digitalizzazione di tutta la filiera – spiega Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute (Dti) – il digitale non è neutrale: se non te ne occupi non solo non te ne avvantaggi, ma rischi anche di avere svantaggi rispetto a chi se ne occupa». Secondo Michele Festuccia, responsabile dei progetti rivolti al settore agroalimentare nel piano di investimenti Digitaliani di Cisco Italia, oggi ci sono «soluzioni che possono esaltare ancora di più l’eccellenza che il nostro agroalimentare esprime ed esporta in tutto il mondo, proteggerla e valorizzarla, ed allo stesso tempo capire di cosa ha bisogno».
Dall’agricoltura di precisione all’aeroponica
La ricerca ha analizzato l’impiego delle tecnologie digitali nell’intero comparto agroalimentare, analizzando anche le diverse filiere. Sono state individuate tre macroaree di applicazione digitale: agricoltura di precisione (sensoristica, gps, big data), non destructive testing (laser, radiografie, tac per l’analisi delle superfici), environment agricolture (coltivazioni idroponiche o aeroponiche).
Visione d’insieme
Il risultato è chiaro: senza una visione di insieme, si perde la sfida della trasformazione digitale. Un altro problema è creato dalla mancanza di figure qualificate, in possesso delle competenze adatte per guidare la trasformazione digitale, e dalla mancata percezione del bisogno di innovazione. Questa percezione e rapporto con la tecnologia è proprio delle piccole e medie imprese. Con l’impiego della tecnologia potrebbero implementare la produzione, ma sono loro, secondo la ricerca, i primi soggetti che rifuggono gli investimenti.
Il settore vitivinicolo e il nodo della tracciabilità
Al settore vitivinicolo è stato dedicato un focus particolare. Si tratta di un comparto che ha un peso rilevante sulla bilancia commerciale italiana, con un miliardo di bottiglie esportate solo nel 2015. Il 77,3% delle aziende che operano nel settore non ha fatto investimenti a valore in tecnologie ICT, o ne ha fatti per meno di 5.000 euro negli ultimi cinque anni. A investire di più sono le imprese del Sud e delle Isole.
Il punto della filiera in cui le aziende vitivinicole investono maggiormente sono la distribuzione (41%) e la vendita diretta per il pubblico (43%). Tuttavia il 47% degli intervistati afferma che gli investimenti fatti non hanno inciso positivamente sui ricavi. Dall’indagine emerge che il tema chiave per la qualità del prodotto vitivinicolo sta nella tracciabilità. Il 51% del campione intervistato ritiene che debba essere sempre obbligatoria.
Vino di qualità e investimenti in ICT
«Analizzando complessivamente lo stato della digitalizzazione nel settore vitivinicolo emerge una relazione tra la qualità del prodotto (vini DOC, DOCG) e la predisposizione al digitale dell’azienda: chi produce vino di qualità è anche chi fa più investimenti in ICT e comprende meglio le dimensioni della rivoluzione in atto» commenta sempre Stefano Epifani. I risultati dell’indagine tracciano un cammino per il comparto agrifood che deve partire da una maggiore consapevolezza delle opportunità offerte dalla digitalizzazione e dalla necessità di investire in formazione, bussola necessaria per traghettare il settore nell’epoca 4.0.
Il caso Biorfarm
«La digitalizzazione ci rappresenta – spiega Osvaldo De Falco, cofounder e ceo di Biorfarm – noi digitalizziamo sia la parte produttiva che la commercializzazione e siamo dell’idea che questa tecnologia e la condivisione delle informazioni creano, oltre a un risultato economico, anche una maggiore consapevolezza sulla sicurezza del prodotto». Biorfarm è una startup che punta a imporre la digitalizzazione sulle modalità di acquisto di prodotti biologici, grazie ad una piattaforma che permette alle persone di entrare in contatto con i piccoli agricoltori.
Proprio con questi ultimi è emersa l’importanza della formazione. «I nostri contadini condividono foto e video dei propri campi via Telegram – aggiunge De Falco – e, per quanto si tratti di una tecnologia elementare, abbiamo fornito loro tutti gli elementi per sfruttarla al meglio. Inoltre, speriamo di introdurre nel sistema Biorfarm anche dei sensori capaci di monitorare la maturazione e l’andamento delle colture. Sarà possibile a breve grazie a un accordo con una startup americana».
Sul fronte della resa degli investimenti in digitalizzazione, De Falco commenta così la sfiducia degli agricoltori: «Ci sono tecnologie che portano risultati nell’immediato, come le tecnologie che aumentano la frequenza di imbottigliamento. Ma ci sono tecnologie di digitalizzazione che manifestano i loro benefici sul lungo periodo. Questo 50% di aziende forse non ha il tempo – perché troppo piccole – di aspettare e vedere gli effetti in un lasso di tempo troppo distante».