A 32 anni dirige un’azienda che ha fondato e che viene valutata quasi 2 miliardi di dollari. Dopo essere già stato anche CTO e vicepresidente di Facebook. Adam D’Angelo racconta perché Quora arriva anche in Italia
Ha creato la sua azienda quando aveva 24 anni, ed era una vera e propria startup. L’ha creata licenziandosi dal suo precedente lavoro: un lavoro niente male, la carica ufficiale era CTO di Facebook. Certo nel 2009 non era il Facebook di oggi, ma a 24 anni lasciare un ruolo chiave in una società in ascesa deve essere stato un bel salto nel buio. Però Adam D’Angelo sentiva di voler fare qualcosa di diverso da quanto stava facendo col social network: invece di condividere qualsiasi informazione, indipendentemente dal fatto che sia o meno rilevante, Adam voleva contribuire a diffondere la conoscenza, il sapere. È così che è nata Quora.
La nascita di Quora Italia
Adam D’Angelo si trova in Italia per promuovere il lancio della versione italiana del suo sito: oggi è il CEO della sua azienda, e ci spiega che ormai guarda il codice solo di tanto in tanto e preferisce dedicarsi ad altri compiti. Come, ad esempio, il lancio di versioni localizzate di Quora: “La nostra missione è diffondere la conoscenza in tutto il mondo – ci dice in una intervista concessa a Startupitalia! – Molte persone in giro per il mondo non parlano inglese: viene ritenuto il linguaggio universale, ma non lo è: quindi per portare davvero a termine la nostra missione è un passo obbligato aprirsi ad altre lingue. E poi in questi anni abbiamo lavorato tanto per migliorare questo prodotto, e ci fa piacere pensare che potremo renderlo accessibile a sempre più persone”.
Il lancio di questa impresa, dicevamo, è avvenuto nel 2009: all’epoca esistevano già altri sistemi per fare domande e ottenere risposte in Rete, e a ben pensarci anche usando solo Google si può fare lo stesso. Quora, però, secondo D’Angelo è diversa: “Noi puntiamo sulla qualità: quando poni una domanda su Quora cerchiamo di rispondere a quella domanda nel modo migliore. Cerchiamo di far arrivare la domanda alle persone giuste, a chi pensiamo sia davvero in grado di rispondere: anche le policy relative alla scelta di usare nomi reali, ad esempio, serve a motivare i partecipanti a fornire contenuti di qualità”.
Risposte personalizzate per tutti
Un altro aspetto significativo secondo D’Angelo è la personalizzazione: proseguendo il discorso appena avviato, ci racconta dell’impegno di Quora nel mostrare sulla homepage di ciascun utente i temi che più gli interessano, secondo gli argomenti che lui stesso ha specificato e basandosi anche sui temi che consulta, a cui contribuisce. Rispetto ad altri contesti, poi, su Quora c’è più spazio per le opinioni: “Su Wikipedia c’è ampio spazio per i fatti – continua D’Angelo – hanno una policy denominata “neutral point of view” che impone un rigoroso controllo delle fonti. Wikipedia punta a essere una sintesi affidabile di quanto è disponibile su altre fonti affidabili e consolidate. Quora invece punta a offrire nuova conoscenza: cerchiamo di scrivere quanto ancora non è stato scritto su Internet, e ciò inevitabilmente comprende anche opinioni e consigli”.
L’esempio che sceglie di sfruttare riguarda i cani: in una pagina Wikipedia troveremmo una formidabile lista delle razze canine, ci dice, ci saranno precise informazioni scientifiche. Su Quora, invece, troveremo la risposta a una domanda più banale: Come educo il mio cane?. La risposta sarà inevitabilmente un parere personale, ma alcune risposte saranno migliori di altre perché magari saranno fornite da un veterinario o da un comportamentista.
Questo però pone una doppia sfida: trovare le risposte giuste, fornite dalle persone giuste. “Abbiamo molti segnali che ci aiutano a stabilire quale contenuto sia davvero di qualità – ci spiega D’Angelo – Guardiamo ad esempio ai voti, ma anche a chi ha votato le risposte: se la domanda fosse Com’è vivere a Roma?, giudicheremmo più importante il voto di chi a Roma ci vive. Poi guardiamo anche alle altre risposte date dall’utente ad altre domande, che tipo di risultato hanno avuto in termini di voti, se è già intervenuto su temi affini e con quali risultati, se è un utente attivo. Cerchiamo insomma di trovare un modo per stabilire su quel dato argomento quale possa essere l’autorevolezza e la credibilità del contributo, soprattutto su temi nei quali non esistono certificazioni o attestati che dimostrino la competenza sul tema”.
Alla ricerca della qualità
Non è un sistema perfetto, ammette Adam, ma funziona: riesce a stabilire con un buon grado di precisione quello che vale la pena effettivamente leggere, e permette ai migliori contributi di ricevere l’attenzione che meritano, così come ai peggiori di essere relegati in fondo. “Quanto c’è già oggi su Quora – spiega D’Angelo – è più di quanto chiunque potrebbe sperare di leggere nel corso della propria vita: a noi non spetta il compito di scegliere quale sapere diffondere, ma di cercare il modo di far arrivare le risposte desiderate alle persone che le richiedono”.
La sfida non è banale: “Non è stato semplice sintetizzare in un algoritmo il concetto di qualità delle risposte, o scegliere come mostrare le domande giuste alle persone giuste. Non mancano in circolazione esempi di altre aziende che avevano un obiettivo simile e non sono riuscite ad arrivare dove siamo noi oggi: noi siamo riusciti a selezionare la qualità, ed è quello che a mio avviso può fare la differenza. E fa la differenza. Ma è un percorso che è tutt’altro che finito, continuiamo giorno dopo giorno a lavorare per migliorare il nostro algoritmo”.
Il percorso con cui Quora è nata e si è sviluppata può forse servire d’esempio per molti altri: D’Angelo racconta che, dopo essersi licenziato da Facebook, ha iniziato a lavorare alla sua nuova piattaforma e dopo qualche mese aveva la prima beta funzionante. A quel punto ha iniziato a far circolare il sito tramite il passaparola tra gli utenti della Silicon Valley, l’idea è piaciuta e gli utenti hanno iniziato a usarla. È stato allora che gli investitori hanno notato Quora: fino a quel punto la startup non aveva raccolto fondi, ha atteso di avere un prodotto e una solida base di utenti per farlo. Sono stati i fatti a convincere chi aveva i fondi a investirli in una società che nell’ultimo round è stata valutata più di 1,8 miliardi di dollari.
Il futuro di Quora
Mentre la nostra conversazione si avvia a conclusione, c’è spazio per un paio di curiosità. Come ad esempio la differenza tra Quora in inglese e Quora nelle altre lingue: “Crediamo che Quora rifletta quella che è la cultura tipica di ogni paese: per esempio in inglese ci sono molte domande sulla tecnologia, mentre nelle versioni europee del servizio vediamo molte più domande su cultura e politica. È affascinante notare come Quora rifletta la differenza tra le culture e le abitudini delle nazioni, ma è un aspetto che ci ha anche spinto a rafforzare la nostra convinzione: espandersi all’estero significa sempre e comunque rispettare la cultura locale, senza alcuna necessità di imporre metodi, argomenti. Rispettare sempre la diversità”.
Nel futuro, poi, D’Angelo vede sempre l’essere umano al centro dell’esperienza su Quora e in generale nella creazione della conoscenza. “Il machine learning che raccoglie informazioni e sintetizza una risposta non è al momento una realtà fattibile – ci spiega – Oggi il machine learning è in grado di risolvere alcuni tipi di problemi, ma di complessità ridotta. Non ce lo vedo un computer che si documenta su un tema, che diventa in grado di fornire una risposta esauriente e puntuale che faccia concorrenza a quanto un essere umano è già in grado di fare”. Magari nel futuro, conclude Adam, esseri umani e macchine lavoreranno sempre di più fianco a fianco: “Oggi l’essere umano è il centro dell’esperienza della conoscenza: magari in futuro potremo pensare a una macchina che sostenga il suo sforzo, per migliorarlo, per aiutarlo a scrivere una risposta migliore. Sarà un percorso lungo comunque, parliamo di anni di impegno: e nel frattempo continueremo a cercare di trovare le risposte migliori”.