Abbiamo un problema. Di solito quando si guardano i dati relativi all’e-commerce ci si concentra sull’adozione di questa modalità di acquisto da parte dei consumatori. Siamo, lo abbiamo ribadito più volte, sotto la media europea ma in incoraggiante crescita con, secondo il rapporto Forum Netcomm, 14 miliardi di euro transati online all’anno (qui tutti i numeri). Bene. Insomma, non benissimo ma iniziamo piano piano a esserci. Il grosso problema emerge se la si guarda dal lato delle fonti degli acquisti, dei negozi digitali a cui i consumatori nostrani si rivolgono.
L’Italia svetta infatti nella lista dei paesi comunitari che si rivolgono all’estero quando comprano in Rete. Il fenomeno in tutta Europa vale 56 miliardi di euro e contribuisce al 14% della causa totale del commercio elettronico.
(fonte eMarketer)
Ed è il rialzo, che secondo le previsioni sarà costante e porterà la cifra a 116 miliardi di euro nel 2018, il 20% di tutti gli acquisti online, che deve far suonare più di un campanello d’allarme: se lo scarso lavoro dei rivenditori della Penisola sulla loro vetrine online dovesse persistere il rischio è quello di diventare sempre di più (solo) un ghiotto bacino d’utenza per le piattaforme straniere. A condizionare la tendenza è uno squilibrio tra domanda e offerta. Moda, cibo e turismo vanno per la maggiore nelle esportazioni effettuate soprattutto in Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti da un quarto dei rivenditori online italiani mentre gli utenti locali cercano soprattutto biglietti aerei low cost.