Per il nostro longform domenicale Francesco Billari, rettore dell’Università Bocconi, dedica ai lettori di StartupItalia un estratto del suo ultimo libro. Cosa è successo nelle nostre vite con la rivoluzione digitale? Quali possono essere le conseguenze sulle navi demografiche che ci portano al domani?
Del mondo digitale, dei social media e di Internet l’opinione pubblica occidentale con la prevalenza della generazione dei boomer enfatizza spesso gli aspetti di rischio e di emergenza. Capita anche a chi governa, soprattutto quando gli oppositori o i giovani delle classi meno privilegiate usano i social media.
La rivoluzione digitale ci mette quotidianamente in permaemergenza: il sociologo Dalton Conley ne descrive l’impatto sulla vita di tutti i giorni usando un’idea particolarmente efficace. Secondo Conley, quando siamo con i nostri cari, i nostri amici, siamo in realtà sempre elsewhere, cioè «altrove». A tavola abbiamo il cellulare a disposizione, con le notifiche che scattano: non siamo solo tra di noi, ma anche, appunto, altrove. Si palesa a volte un’emergenza reale dell’oggi: rispondere a un’email o a un più o meno importante messaggio su Whatsapp. Già qualche decennio prima la televisione con la sua attrazione magnetica aveva invaso il mondo familiare, dissacrando molti pranzi e cene. La permaemergenza digitale è però di tutt’altro livello: Internet e le tecnologie digitali abbattono in un battito d’ali confini tra i ruoli rivestiti nella vita, dati per scontati almeno dalla rivoluzione industriale. Nel mondo digitale siamo simultaneamente figli, studenti e amici. Oppure, ancora, genitori e lavoratori, lettori, consumatori e organizzatori delle vacanze. Non solo durante il giorno: durante l’anno la separazione tra periodi di lavoro e di vacanza è diventata fluida. Sappiamo che la scuola e l’università hanno invaso le camerette degli studenti. E viceversa: i telefoni cellulari possono portare il mondo esterno nell’aula dove si svolge una lezione, nonché affetti e amicizie sul luogo di lavoro, ovunque nel mondo. La vita in famiglia non esiste oggi senza telefoni, social network che ci connettono e ci permettono di comunicare, applicazioni che rendono possibile sapere dove sono i nostri cari (non solo umani: cani e gatti hanno app di tracciamento connesse ai GPS).
La rivoluzione digitale, con la rete, i telefonini, i software di navigazione, i social media, l’Internet of Things, è una discontinuità tecnologica diffusasi in modo velocissimo. Sulla nave demografica i nativi digitali sono ovviamente i più recettivi, e aiutano anche a diffondere velocemente le tecnologie tra i familiari. Secondo l’ISTAT (dati del 2022) i giovani tra 15 e 19 anni che usano Internet quotidianamente sono il 93%; tra 20 e 24 anni il 90%. La percentuale diminuisce salendo sui ponti alti della nave, ma rimane maggioritaria fino ai 64 anni. Solo dopo i 65 anni si scende fino a poco più del 40% per poi calare molto oltre i 75. E forse i dati sono una sottostima vista la diffusione dei telefonini grazie ai quali siamo su Internet anche quando non ce ne rendiamo conto: nel mondo, secondo le stime al 2023 di We Are Social, quasi 97 persone su 100 in età tra 16 e 64 anni hanno accesso a uno smartphone. Esiste un prima e un dopo: la nave demografica è stata digitalizzata velocemente, con una vita online. Due filosofi hanno coniato termini azzeccati: siamo tutti «onlife», per Luciano Floridi, oppure «internettizzati», per Leopoldina Fortunati. Per le persone e per le organizzazioni: l’economia cambia per sempre con la prepotente crescita delle imprese digitali, i cui nomi sono scritti sopra (o più spesso dentro) i nostri computer o cellulari, e che possiedono in quantità enorme i nostri dati personali. Con nuove diseguaglianze: le classi privilegiate possono non solo subire il cambiamento ed essere sopraffatte, ma anche sfruttare la possibilità di lavorare altrove.
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Alcuni lavori poco remunerati e precari, come nel delivery, sono resi pervasivi o anche solo possibili quando sono internettizzati. E si va veloci: per alcuni studiosi, come il sociologo Hartmut Rosa, l’oggi è caratterizzato dall’«accelerazione sociale» in tante dimensioni della vita quotidiana, familiare, della carriera. È la digitalizzazione a provocare una supremazia della «velocità» nelle nostre stesse vite, inclusa quella lavorativa e familiare: questa accelerazione diventa poi alienante, come quando il ticchettio dell’orologio ci stressa. Per la sociologa Judy Wajcman, nell’era digitale, essere occupati e veloci diventa un valore e un simbolo di status: essere e/o apparire indaffarati, busy, è importante. Essere sempre altrove e multitasking diventano il sale della vita. La rivoluzione digitale e l’internettizzazione sono visti come una minaccia alla nostra vita familiare, o magari come uno strumento utilizzato in modo improprio dai giovani […] e dagli oppositori politici delle molte autocrazie. Ma che cosa è successo effettivamente nelle nostre vite e quali possono essere le conseguenze di questa rivoluzione sulle navi demografiche che ci portano al domani? Ci affidiamo, ancora una volta, ai dati e alle evidenze fornite dalla ricerca e da alcune idee innovative.
Se attraverso Internet il lavoro è entrato costantemente nella nostra vita personale e familiare, anche il personale e il familiare sono entrati nella vita lavorativa. E la rivoluzione digitale ha permesso a molte persone, soprattutto nei paesi più poveri, di accedere a informazioni e risorse a cui non avevano mai avuto accesso in precedenza. Lo ha fatto improvvisamente, in modo imprevisto. Un vero e proprio salto quantico della tecnologia: la rivoluzione digitale, nei paesi più poveri, ha contribuito a spostare in avanti la lancetta delle ore per quanto riguarda l’eguaglianza di genere, la salute di bambini e madri, e la transizione demografica in generale. Usando dati su più di duecento paesi e sul periodo tra il 1993 e il 2017, Valentina Rotondi e un team di colleghi di diverse istituzioni hanno mostrato che avere accesso a un telefono cellulare ha effetti positivi sugli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU (Sustainable Development Goals, o SDGs). Tra questi: ridurre la povertà in tutte le sue forme (SDG 1), garantire una vita in salute e promuovere il benessere individuale a tutte le età (SDG 3), raggiungere l’uguaglianza di genere attraverso l’emancipazione femminile (SDG 5). L’accesso a informazioni sulla vita «altrove», la maggiore conoscenza e capacità di decidere spiegano perché i cellulari portano benefici: minori disuguaglianze di genere, maggiore uso di contraccettivi per chi non desidera avere figli, minore mortalità infantile e minori rischi connessi a gravidanza e parto per le madri. L’impatto è ancora maggiore per i paesi più poveri, dove prima dei telefoni cellulari le tecnologie di comunicazione erano scarsamente diffuse. Nei paesi dell’Africa Subsahariana, le donne che possiedono un telefono cellulare sono più coinvolte nei processi decisionali sulla contraccezione e sui temi di famiglia in generale, utilizzano metodi contraccettivi più moderni e hanno più informazioni su dove condurre test per l’HIV. Lo spostamento dell’orologio ha effetti importanti in un mondo povero: paragonabili a spostare una donna dall’arretratezza della cultura rurale alla dinamicità di quella urbana. Anche le migrazioni dai paesi poveri si sono internettizzate: chi sogna una vita altrove, sia per motivi economici sia per motivi politici, utilizza la rete per ottenere informazioni e connessioni, ponderare le destinazioni possibili contattando magari chi è già partito, affrontare eventualmente un viaggio e valutarne i rischi. Usando dati su diversi paesi, Luca Pesando e i suoi collaboratori hanno mostrato come la diffusione di Internet ha contribuito alla crescita dei flussi migratori a livello internazionale. Guardando in modo specifico a quanto avviene in Italia e ai richiedenti asilo, sono stati analizzati i dati sui migranti ospitati nel CARA (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) di Sant’Anna di Capo Rizzuto, in Calabria. Ebbene, chi proviene da un paese con più elevata diffusione di Internet ha una maggiore probabilità di lasciare volontariamente il centro, in cerca di un progetto migratorio.
Nei paesi più avanzati una delle sfide più importanti è la conciliazione tra una vita lavorativa appagante e i desideri familiari, soprattutto quelli di avere figli e di crescerli rispettando le grandi aspirazioni che abbiamo per loro. Sappiamo che la lowest-low fertility è un problema fondamentale da risolvere: forse la rivoluzione digitale è parte della soluzione. La ricerca ci aiuta a capire perché Internet può «portare figli». Usando dati tedeschi, con gli economisti Osea Giuntella e Luca Stella abbiamo mostrato che la quota di donne più istruite che ogni anno ha un figlio passa dal 7 al 9% quando si diffonde la banda larga. Migliorano anche la soddisfazione complessiva per la vita e il tempo trascorso con i figli durante i giorni feriali. Si tratta di quello che possiamo definire «effetto smart work». Internet ha un effetto positivo per coloro, soprattutto donne, che hanno problemi a conciliare occupazione e famiglia; l’organizzazione della vita dei figli, le emergenze, il coordinamento tra genitori sono tutti semplificati dalla presenza della rete, dal lavoro altrove. Purtroppo, l’effetto positivo sulla conciliazione lavoro-famiglia e sulla natalità non è uguale per tutti: per le donne a bassa istruzione non esiste alcun beneficio. Una nuova diseguaglianza, esempio del cosiddetto digital divide: alcuni non godono dei vantaggi della diffusione delle tecnologie digitali. Mentre aumenta la possibilità di combinare lavoro e famiglia per lavoratrici e lavoratori istruiti, impiegati nel settore economico dei servizi dove non è necessaria la presenza continuativa sul posto di lavoro, da questo vantaggio restano esclusi coloro che lavorano nella cura delle persone, nelle vendite o nella produzione.