L’Italia sale dal 20esimo al 18esimo posto nella classifica che analizza l’uso delle tecnologie e competenze digitali nella UE. A StartupItalia il responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano: «Il tema delle competenze è il tallone d’Achille del Paese»
Il Desi, Digital Economy and Society Index, vede l’Italia sempre più protagonista. Nell’ultimo report con il quale la Commissione Europea analizza l’uso delle tecnologie e competenze digitali nella UE, l’Italia ha scalato due posizioni della classifica, risalendo dal 20esimo al 18esimo posto.
Una performance che conferma quanto di buono fatto anche nello scorso anno, quando eravamo volati dalla 25esima alla 20esima posizione tra i 27 stati membri dell’Unione.
Tra questi siamo il Paese che che sta migliorando più rapidamente nella diffusione di servizi e cultura digitale.
Commentiamo il report con Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano.
Desi Italia: il vento sta cambiando
Dal report emergono le aree “forti” dell’Italia che spiegano la crescita del nostro grado di digitalizzazione. Innanzitutto, si registra la crescita della connettività del nostro Paese, in particolare nella diffusione della banda larga.
Poi c’è la crescita nella digitalizzazione delle aziende (con il 60% che ha raggiunto un livello base) e scendendo nel dettaglio a incrementare è stato soprattutto l’utilizzo dei servizi cloud. Altro aspetto positivo poi è la digitalizzazione della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici.
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A tal proposito, nel report Desi vengono citate alcune iniziative come il completamento dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr), la diffusione dello Spid e dell’app IO e la pubblicazione della Strategia Cloud Italia che punta ad aumentare l’uso del cloud computing nella pubblica amministrazione.
«C’è stato un miglioramento, ma sono aspetti positivi in chiaroscuro. Di buono c’è che si registra una presa di coscienza, sia dalla politica che dalle imprese, di dedicare attenzione al tema del digitale. Tuttavia, siamo ancora indietro sulla banda larga fissa e anche se è un bene che le aziende abbiano adottato il cloud, devono accelerare sui reali fattori di competitività, come l’intelligenza artificiale e la data analysis», sottolinea Giuliano Noci.
Cosa ancora non funziona
L’Unione Europea fa il tifo per noi. D’altronde, siamo la terza economia per dimensioni nella UE e la crescita digitale del nostro Paese è fondamentale per permettere all’Europa di raggiungere gli obiettivi del decennio digitale per il 2030.
Per riuscirci ci sono diverse aree di miglioramento. La digitalizzazione dei servizi pubblici è uno di questi. Malgrado un miglioramento di adozione del 10% rispetto allo scorso anno, solo il 40% degli utenti italiani fa ricorso a servizi pubblici digitali (rispetto a una media UE del 65%).
Tuttavia, il gap che preoccupa di più è la mancanza di competenze digitali nella forza di lavoro italiana. Nella classifica sulle competenze digitali di base siamo quartultimi. Fanno peggio di noi solo la Polonia, la Bulgaria e la Romania.
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Nel rapporto Desi si parla della necessità di un cambio di passo “nella preparazione dell’Italia in materia di competenze digitali”.
«Il tema delle competenze è il tallone d’Achille del Paese. Per affrontarlo, è sempre più necessaria una riforma dei programmi scolastici delle scuole dell’obbligo. Così come è stato per la consapevolezza ambientale che è cresciuta nei giovani grazie alla sensibilizzazione nata nelle scuole; allo stesso modo bisogna operare sul fronte del digitale. Anche se questo richiede investimenti, sulle infrastrutture e sulla formazione del personale», spiega Noci.
La questione delle competenze digitali è critica in tutta l’Unione. Nel rapporto emerge che solo il 54% dei cittadini tra 16 e 74 anni ha competenze digitali di base, con l’obiettivo dell’80% entro il 2030 ancora lontano.
Preoccupa in Europa anche il numero di specialisti Ict. Sono 9 milioni oggi e ben al di sotto dei 20 milioni necessari alle imprese, secondo stime, entro il 2030. Una carenza che rappresenta un ostacolo alla competitività delle imprese dell’UE.
Un’arma in più: Il PNRR
Il PNRR è l’arma decisiva per permettere al nostro Paese di scalare ancora più posizioni per raggiungere l’ambizione del Ministro per l’innovazione e la transizione digitale, Vittorio Colao, di essere tra i Paesi di testa (oggi Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi) tra quattro anni.
Obiettivi ambiziosi ma meno utopici se si considerano diversi aspetti, come essere il Paese con il piano per la ripresa e la resilienza più cospicuo d’Europa, la nostra solida base industriale e la qualità della comunità di ricerca in settori chiave come l’intelligenza artificiale, il calcolo ad alte prestazioni e la quantistica.
«Il nodo da sciogliere non sono i soldi che ci sono, ma lavorare bene sulla qualità della spesa. La scuola è il driver fondamentale, ma serve anche lavorare sul rinnovamento di tutta la nostra manifattura che deve sfruttare tool di intelligenza artificiale e l’analisi dei dati. Queste sono alcune linee che possono permettere al Paese di fare un salto in avanti, necessario per quella che oggi è la terza economia d’Europa », conclude Noci.