«Il problema cruciale rimane la riduzione del debito pubblico in rapporto al prodotto. Un debito elevato rende più onerosi i finanziamenti alle imprese, frenandone la competitività e l’incentivo a investire; espone l’economia italiana ai movimenti erratici dei mercati finanziari e sottrae risorse alle politiche anticicliche, agli interventi sociali e alle misure in favore dello sviluppo». A lanciare il nuovo allarme sul debito pubblico italiano, una zavorra vicina ormai ai 3mila miliardi, il governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta.
Cosa ha detto Fabio Panetta
Per Fabio Panetta il nostro è «l’unico Paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione. È emblematico di come l’alto debito stia gravando sul futuro delle giovani generazioni, limitando le loro opportunità».
Il numero 1 di Bankitalia si anche espresso sul destino degli alti tassi d’interesse che hanno riguardato gli ultimi anni caratterizzati, com’è ben noto, da vampate dell’inflazione: «Adesso c’è una discussione su quello che farà il Consiglio della BCE a settembre, la mia idea ovviamente ce l’ho: credo sia ragionevole aspettarsi che si vada verso un allentamento delle condizioni monetarie», ha auspicato Fabio Panetta a margine del suo intervento al Meeting di Rimini.
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Il governatore di Banca d’Italia ha poi rivolto un invito all’esecutivo di Giorgia Meloni: «Le proiezioni demografiche indicano che nei prossimi decenni si ridurrà il numero di cittadini europei in età da lavoro e aumenterà il numero degli anziani. Questa dinamica rischia di avere effetti negativi sulla tenuta dei sistemi pensionistici, sul sistema sanitario, sulla propensione a intraprendere e a innovare, sulla sostenibilità dei debiti pubblici».
Per questo occorre «rafforzare il capitale umano e aumentare l’occupazione di giovani e donne, in particolare nei Paesi, tra cui l’Italia, dove i divari di partecipazione al mercato del lavoro per genere ed età sono ancora troppo ampi», «anche con misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari».