In collaborazione con |
Vi aspettiamo il 9 novembre a Roma per “Biotech il futuro migliore”
Con un tasso di crescita annuo nella produzione pari al 4,5% negli ultimi venti anni, l’industria farmaceutica rappresenta per l’Europa uno dei settori più importanti. Lo stesso vale per l’occupazione che è aumentata con un tasso del 2% annuo dal 2000 a oggi.
Sono i dati che evidenzia il rapporto The pharmaceutical industry in figures 2021, redatto dalla European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (EFPIA).
L’Europa e gli altri mercati
Malgrado il settore sia in crescita, l’Europa non ha fatto tanto bene quanto gli Stati Uniti, che hanno un mercato meno frammentato e soprattutto hanno puntato sulla produzione di farmaci innovativi.
E oggi la competizione proviene anche da economie emergenti, come quella brasiliana (cresciuta tra il 2015 e il 2020 del 11,3%), cinese (+4,8%) e indiana (+10%).
Il trend si conferma anche per i prossimi anni. Secondo le previsioni IQVIA – MIDAS, i principali motori di crescita continueranno ad essere gli Stati Uniti e i mercati farmaceutici emergenti, con una crescita annua rispettivamente del 4-7% e del 5-8%. In Europa, le misure di contenimento dei costi e la minore crescita dei nuovi prodotti contribuiscono a una crescita più lenta dell’1-4%, rispetto alla crescita annua composta del 4,7% osservata negli ultimi cinque anni.
La difficoltà nel perseguire l’innovazione in territorio europeo deriva da un costo crescente delle spese per la ricerca e lo sviluppo di farmaci.
L’Italia nel contesto europeo
L’Italia rispetto ad altri Paesi europei si difende bene all’interno del mercato del farmaco. Lo dimostra il report Indicatori Farmaceutici 2021 di Farmindustria. La produzione è cresciuta dell’1% rispetto al 2019.
L’Italia è tra i principali poli farmaceutici al mondo, con 34,3 miliardi di valore della produzione nel 2020. Con Francia e Germania contribuisce allo sviluppo europeo in ambito farmaceutico anche se il nostro Paese ha ormai perso la propria posizione di leadership in Europa che aveva guadagnato nel 2017 (Dati EFPIA). L’export è cresciuto del 74% tra il 2015 e il 2020. Molto più della media europea che si arresta al 48%.
“La nostra forza nasce dalla diffusione di un tessuto produttivo nato e consolidatosi principalmente nel corso degli ultimi decenni” spiega Marcello Cattani, Country Lead e Direttore Generale di Sanofi Italia. “Questo si ricollega anche alla forte presenza dei terzisti che rappresentano sicuramente una forza propulsiva importante per tutto il nostro settore”.
L’industria farmaceutica italiana è caratterizzata da una composizione unica in
Europa. Ha un contributo bilanciato di aziende a capitale italiano (43%) e di quelle a capitale internazionale, dalle quali dipende per il 57%. Tra le leadership italiane in Europa si segnala quella del Contract Development and Manufacturing Organization (CDMO), nota anche come produzione conto terzi, per cui l’Italia è prima in Europa.
Puntare sull’innovazione
La prima sfida di oggi è mantenere il trend di sviluppo del settore farmaceutico. Una prima risposta arriva dalla digitalizzazione dell’industria del farmaco. Cattani concorda che sia uno dei primi elementi su cui puntare per innovare i processi produttivi e per aumentare la competitività internazionale.
“La digitalizzazione, in una logica di Industria 4.0, è un fattore strategico chiave che dobbiamo perseguire con determinazione e con investimenti mirati”, ha proseguito Cattani. E, infatti, in più del 90% dei casi le imprese del farmaco in Italia hanno confermato o incrementato gli investimenti nella digitalizzazione. Ciò consentirà l’espansione dell’offerta di farmaci innovativi e eviterà l’interruzione del flusso di innovazione nel Paese.
“La raccolta e la gestione di big data in ambito produttivo, qualitativo, HSE e logistica consente la supervisione immediata dei processi e delle performance, e in molti casi guida esperienze di plug and play da altri siti di esperienze, sistemi e processi”, sottolinea Cattani.
Infatti, i dati sono fondamentali non solo per valutare l’efficienza dei processi, ma per avviare analisi predittive rispetto alla produzione, che permettano di evitare errori umani nelle operazioni più ripetitive.
Sostenere la competitività delle imprese
I farmaci che sono maggiormente commercializzati nel mercato italiano sono quelli privi di brevetto (90%) e i farmaci biosimilari (49%), il cui consumo è superiore alla media europea (34%). Questo potrebbe rappresentare un fattore di rischio in termini sia di volumi che di valori nel medio-lungo termine.
“La scadenza dei brevetti e la conseguente possibilità di usare principi attivi consolidati con costi ridotti non è una penalizzazione, né una contrapposizione al farmaco innovativo”, rassicura Antonella Casiraghi, professoressa ordinaria del Dipartimento di scienze farmaceutiche dell’Università Statale di Milano. “È possibile proseguire senza contrapposizioni in entrambe le direzioni”.
Ma servono certamente più investimenti in farmaci innovativi. “Lo sforzo di investimento in corso nell’area di Ricerca e Sviluppo sta già riguardando anche ambiti specializzati, come i farmaci biotecnologici, i vaccini, le terapie avanzate, senza tralasciare i farmaci orfani”, sottolinea Casiraghi.
Ma per rendere competitivi gli stabilimenti italiani non basta. Secondo Cattani, per far crescere la quota di produzione farmaceutica innovativa, “occorre eliminare le pesanti complessità burocratiche. La burocrazia rallenta e talvolta disincentiva e blocca del tutto le volontà di investimento e l’implementazione di cambiamenti anche a livello produttivo”.
La burocrazia è determinante anche per quanto riguarda l’accesso sul mercato dei farmaci più innovativi. Nel 2020 i tempi medi per autorizzazione in Italia dei nuovi farmaci sono stati pari a 418 giorni, in crescita rispetto ai 383 rilevati nel 2017.
“Nei confronti dei farmaci più innovativi resta rilevante la capacità di risposta favorevole da parte dell’opinione pubblica, sebbene possa non sorprendere che il processo richieda tempi più lunghi”, sottolinea Casiraghi.
In Italia, il consumo di farmaci innovativi pro-capite è inferiore del 19,4% rispetto alla media europea.
“Dobbiamo continuare ad avere un ambiente favorevole all’innovazione, assicurando rapido accesso dei pazienti alle terapie innovative”, aggiunge Cattani. “Dobbiamo spostarci da un modello di procurement basato sul prezzo a un modello di procurement in sanità sempre più sostenibile e strategico”.
Sembra, dunque, necessario un quadro normativo più chiaro, semplice e competitivo per le autorizzazioni a tutti i livelli: dalla sperimentazione all’accesso all’innovazione che si fa prodotto, passando per gli impianti produttivi.
La necessaria riforma della governance farmaceutica
E poi c’è da risolvere con urgenza l’annosa questione della governance farmaceutica.
In Italia, la spesa farmaceutica pubblica pro-capite è inferiore del 19% rispetto alla media dei principali paesi europei (fonte OECD) e negli ultimi anni è stata cronicamente sottofinanziata rispetto alla domanda di salute. Dal 2007 al 2013 sono state costantemente ridotte le risorse pubbliche dedicate alla spesa farmaceutica (dal 16,4% al 14,85% del Fondo Sanitario Nazionale). Hanno sfruttato le scadenze di copertura brevettuale (soprattutto di utilizzo territoriale), senza considerare l’arrivo di numerosi farmaci innovativi, prevalentemente biotecnologici (di utilizzo ospedaliero).
Ciò ha comportato che dal 2013 al 2020 la spesa farmaceutica complessiva sia stata sottofinanziata in media di 1,3 miliardi/anno (dati AIFA). Per il 2021 si stima un sottofinanziamento di circa 1,6 miliardi e nel 2022 sarà di circa 2,2 miliardi (dati Farmindustria).
Non solo: un’ulteriore criticità risiede nell’allocazione sbilanciata delle risorse disponibili nei diversi canali di spesa. Esistono diversi tetti di spesa: quella convenzionata, quello della spesa diretta e i fondi per i farmaci innovativi recentemente unificati. Come conseguenza le risorse rimangono inutilizzate in alcuni canali e mentre si assiste a un aggravio della carenza di risorse in altre.
L’attuale governance farmaceutica basata sul concetto dei “silos di spesa” non è adeguata al miglior perseguimento degli obiettivi di salute, del controllo della spesa pubblica e della politica industriale.
Inoltre, un sistema in cui l’innovazione viene considerata un costo e viene sistematicamente limitata e sottovalutata, diventa meno attrattivo per investimenti nella ricerca di nuove terapie e nuove tecnologie. Le conseguenze più negative ricadono sulla struttura industriale e sull’economia del Paese.
La spesa in ricerca e sviluppo
L’espansione dell’industria e le capacità innovative sono strettamente correlate agli investimenti nell’area di ricerca e sviluppo. Oggi, in Italia, il 13% delle spese per ricerca e sviluppo allocate a favore dell’industria manifatturiera sono attribuite all’industria farmaceutica.
“La tendenza a porre più risorse in questa direzione è stata colta ed è in aumento, ma deve continuare ad essere potenziata”, sottolinea Casiraghi.
Inoltre, quando si parla di risorse investite in ricerca e sviluppo non è solo questione di quantità. L’allocazione delle risorse dovrebbe spostarsi verso le possibili evoluzioni future del mercato. “È necessario rivedere l’attuale sistema di incentivi nell’ambito delle politiche industriali, destinando un miliardo e mezzo alla farmaceutica innovativa”, sottolinea Cattani. “Un segno molto positivo viene dal recente decreto del MISE che consente attraverso il “temporary framework” il ritorno degli investimenti di ricerca e sviluppo industriale fino all’80%. È un meccanismo che andrebbe finalizzato a una crescita strutturale del settore Life Science in generale e non dovrebbe essere legato unicamente alla pandemia”.
Perché questo passaggio verso l’innovazione possa avvenire “non dovrebbero mancare il contributo e le attenzioni alla formazione del capitale umano. E, ove possibile, semplificazioni burocratiche e normative a sostegno”, sottolinea Casiraghi.
L’innovazione passa attraverso la collaborazione
Un altro nodo fondamentale che è in grado di assicurare l’innovazione è la collaborazione.
“Il futuro del nostro Paese e dell’Europa sta nella nostra capacità di riunire sforzi pubblici e privati per un’ambizione comune”, sottolinea Cattani. “Dobbiamo impegnarci a combinare la migliore ricerca accademica, gli investimenti in tecnologie innovative, il footprint industriale, creando condizioni attraenti per gli investimenti privati, attraverso un framework di semplificazione normativa, legislativa e fiscale”.
E in questo contesto, secondo Casiraghi, “è inevitabile una coesistenza dei contributi esteri e nazionali, all’interno della quale il sistema Italia non deve essere ostacolo e anzi deve proseguire nel tenere alto il valore della sua eccellenza”.
Il PNRR offre uno scenario positivo, perché destina risorse a ricerca e partenariati. Lo stesso vale per il primo IPCEI (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo) Salute che costituisce un passo concreto per l’innovazione. Infatti, il MISE ha stanziato 1,7 miliardi di euro, al fine di rafforzare la competitività dei settori strategici dell’industria nazionale.
“Chiediamo al Governo di attuare questa visione e strategia, per rafforzare e mantenere la posizione di leadership dell’industria farmaceutica italiana in Europa e a livello globale negli anni a venire”, conclude Cattani.
Appuntamento al 9 novembre con il grande evento finale di “Biotech, il futuro migliore”
Il progetto, voluto da Federchimica Assobiotec, concluderà il suo percorso con un grande evento, il prossimo martedì 9 novembre 2021 a Roma – all’Auditorium della Conciliazione – e in diretta streaming sulle piattaforme di StartupItalia e Assobiotec.
Un evento, finalmente anche in presenza, per parlare di come l’innovazione sia necessaria per guardare a un futuro più sano e sostenibile per noi e per il pianeta che ci ospita. Ma anche di come l’innovazione biotecnologica possa costituire una delle leve strategiche per il rilancio economico e occupazionale del nostro Paese.
Tanti gli ospiti e le testimonianze di grande valore, tra i quali:
Elena Bonetti, Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia;
Alessandra Biffi, fFondatrice Altheia Science e Professore ordinario Università di Padova;
Giorgio Metta, Direttore scientifico IIT;
Alec Ross, esperto di politiche tecnologiche e dell’innovazione, imprenditore, autore di “I Furiosi Anni Venti”, consulente dell’Amministrazione Obama;
Sara Roversi, fFondatrice Future Food Institute;
Marco Simoni, Presidente Fondazione Human Technopole;
Roberta Villa, giornalista laureata in Medicina e Chirurgia, divulgatrice scientifica.
Per tutto il giorno, nel foyer dell’Auditorium, sarà aperta una Biotech Lounge dove startupper, ricercatori e studenti potranno entrare in contatto diretto con il mondo del biotech e presentare la propria startup dialogando con:
– Assobiotec e i referenti di imprese associate, che hanno già dato conferma, come Abbvie, Alexion, Alfasigma, BMS, Diasorin, Gilead, Irbm, NcNbio, Roche, Rottapharm Biotech, Sanofi, Takeda, Takis Biotech, UCB Pharma;
– Invitalia, Agenzia nazionale per lo sviluppo;
– Jobadvisor, società che si occupata di orientamento al lavoro e alla formazione per studenti universitari, giovani laureati e joung professional;
– StartupItalia, la più grande community dell’innovazione, scoprendo in anteprima come entrare in UpBase, la prima piattaforma italiana che favorisce l’incontro tra startup e investitori;
– Women & Tech, l’associazione donne e tecnologie.
L’evento sarà anche aperto al pubblico, che potrà registrarsi a questo link su Eventbrite.