Il nostro dossier di aprile è dedicato al capitolo layoff. Sono mesi che le società tecnologiche stanno tagliando gli organici. Ripercorriamo i casi più eclatanti, con dati e paragoni storici
Una decisione difficile. Una decisione tosta. La peggior call che abbia mai fatto in 18 anni che guido la società. Se si vanno ad ascoltare le dichiarazioni di Ceo e Founder delle Big Tech l’effetto è simile a un’eco. A chi chiede loro conto delle migliaia di licenziamenti effettuati negli ultimi mesi la risposta è più o meno sempre quella. Dopo anni di crescita impetuosa, in cui ex startup hanno dominato in termini di consumi digitali conquistando sempre più fette di utenti e allargando rapidamente gli organici, da diverso tempo il clima è cambiato. Mark Zuckerberg, il Ceo di Meta, ha definito il 2023 l’anno dell’efficienza. Era il marzo scorso e in quel frangente ha annunciato un round di 10mila licenziamenti. In questa nuova puntata dei nostri dossier faremo una panoramica sul fenomeno, ripercorrendo alcuni dei casi più emblematici e soprattutto i numeri.
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2022 VS 2023
Partiamo proprio dalle cifre. Su StartupItalia seguiamo le notizie sui licenziamenti delle Big Tech fin da quando è iniziata questa ondata di layoff. In alcune settimane gli aggiornamenti in tal senso sono stati quotidiani, rendendo bene l’idea di un’operazione corale da parte di centinaia e centinaia di società costrette a tagliare i costi e far fronte a un periodo delicato. Ma di quante persone mandate a casa stiamo parlando? Uno dei portali di riferimento è layoffs.fyi, sito sul quale è disponibile il conteggio. Nel 2022, anno complesso per gli effetti provocati dall’invasione russa in Ucraina e dall’aumento dell’inflazione, 1056 aziende tecnologiche hanno licenziato 164.511 dipendenti.
E nel 2023 come si è evoluta la situazione? Quasi 603 aziende in meno quattro mesi hanno chiuso il rapporto lavorativo con 172.541 persone (il dato è aggiornato al 21 aprile). La tabella continua ad aggiornarsi, con nomi nomi noti e meno noti che comunicano licenziamenti. In alcuni casi si parla di poche decine, in altri casi di centinaia o migliaia di dipendenti, in altri ancora è l’intero organico ad andare a casa perché l’azienda fallisce.
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Non solo Big Tech
Uno dei casi che abbiamo pescato nella lista di layoffs.fyi è quello di Heygo, startup londinese del settore travel fallita un anno dopo aver raccolto 20 milioni di dollari. Caso analogo in Germania, dove Avocargo, azienda che metteva a noleggio cargo bike ha cessato le attività. E poi Britishvolt, ex scaleup inglese che puntava allo sviluppo di Gigafactory per la realizzazione di batterie: bancarotta dichiarata e tutti i dipendenti a casa. Nell’elenco citiamo anche il caso di Casavo, scaleup italiana che a febbraio ha annunciato il taglio del 30% dell’organico composto fino a quel momento da 450 dipendenti.
Sarebbe sbagliato avanzare un’unica motivazione per spiegare queste migliaia di licenziamenti tra Stati Uniti ed Europa (i contesti sui quali ci siamo concentrati di più in questi mesi). Quel che si può fare è commentarlo con gli esperti. Ed è quello che abbiamo fatto nel nostro speciale sugli Unicorni scornati, che ci ha permesso di raccogliere spunti e ragionamenti. Sul fronte biotech abbiamo sentito Diana Saraceni di Panakès Partner. «È un’industria che continua con riaggiustamenti di valutazioni. Non ci sono stati i grossi layoff del tech, anche perché le startup del Life Science raramente hanno tante persone: quando sono grandi parliamo di società con 25, massimo 100 persone».
L’esempio (eloquente) di Amazon
Ogni settore ha la propria evoluzione e ogni startup la propria storia. Basta pensare a Twitter: dopo il suo arrivo, Elon Musk ha tagliato quasi 4mila dipendenti dando il via a una rivoluzione interna. Evitando sensazionalismi e letture che banalizzano, ci siamo tenuti alla larga da un’interpretazione apocalittica del comparto tech. Pur licenziando migliaia, a volte decine di migliaia di dipendenti, le Big Tech continuano a essere grandi datori di lavoro. Amazon, per far un esempio, ha licenziato in marzo 9mila dipendenti. Un numero enorme se paragonato alle dimensioni di una comune PMI. Ma occorre considerare che alla fine del 2022 il gigante di Seattle dava lavoro a oltre 1,5 milioni di persone nel mondo. «La circostanza per la quale il mondo rettifica una qualche forma di euforia non è un danno, dal mio punto di vista – ci ha spiegato Giovanna Dossena di AVM Gestioni -. L’euforia serve perché genera fiducia, ma se va sopra alle potenzialità effettive allora è ovvio che poi ci sarà un crollo».
Il fenomeno dei licenziamenti ha riguardato unicorni, Big Tech e startup in maniera indifferenziata. «A mio parere – ci ha spiegato Paolo Barberis, founder di Nana Bianca – è un ridimensionamento che può essere salutare, seppur doloroso sul fronte licenziamenti. Come per tutti i momenti di riflessione. Nella realtà dei fatti stiamo passando da valutazioni ottimistiche ad altre pessimistiche». Altro elemento che aiuta a inquadrare il fenomeno dei licenziamenti è di carattere storico: anche all’epoca dello scoppio della bolla delle dot.com, a inizio millennio, moltissimi persero il lavoro.
In questo frangente non si è verificato uno scoppio di una bolla. Non si parla di colpe delle startup per essere cresciute troppo in fretta e aver assunto forse più persone del necessario. La crisi della Silicon Valley Bank in marzo ha fatto sì temere l’avvio di una crisi di sistema, ma anche in quel caso i legittimi timori sono rientrati grazie anche a norme più chiare e rigide e a un’ecosistema più pronto ad affrontare le difficoltà. Al momento non è dato sapere quando si invertirà la tendenza. A fronte di centinaia di aziende che licenziano, è anche vero che altre stanno assumendo per crescere. Quel che è certo è che la complessità è aumentata.
Il dossier di StartupItalia: i link per approfondire
dal nostro magazine:
- Uno dei primi articoli che abbiamo scritto sul fenomeno dei licenziamenti
- Un articolo a firma di Franz Russo sulle similitudini tra il periodo attuale e lo scoppio della bolla delle dot.com
- Dopo la sbornia della pandemia la Silicon Valley si è ridimensionata?
- Non soltanto app e software: anche le startup dell’automotive hanno licenziato
- E anche le fintech come PayPal
- I casi di Yahoo, Microsoft, e Amazon
- La storia di DPReview, uno dei siti di recensioni tech più autorevoli. Chiuso da Amazon
- Disney e i round di licenziamenti: 7mila persone in tutto
- EA, uno dei giganti del gaming, ha licenziato 700 dipendenti
- Le puntate di Unicorni scornati (Diana Saraceni, Paolo Barberis, Diyala D’Aveni, Giovanna Dossena, Gianmarco Carnovale, Alberto Onetti, Mariarita Costanza, Giancarlo Rocchietti, Stefano Peroncini)
dalla stampa internazionale:
- Il giorno in cui Elon Musk è arrivato a Twitter in un articolo del New York Times
- Una riflessione sui licenziamenti pubblicato sul The Atlantic: perché sono contagiosi?
- Il caso della startup Heygo
- Anche il Guardian si è occupato del tema licenziamenti, criticando le modalità delle Big Tech
- Secondo Protocol (la testata ha chiuso, ma l’archivio è disponibile online) il problema dei licenziamenti è peculiare delle Big Tech
- The Verge sui licenziamenti ha le idee chiare