Accelerata da Techstars a Tel Aviv, la startup ha sviluppato un hardware per “alleggerire” il cloud. Per la rubrica italiani dell’altro mondo abbiamo intervistato il co-Ceo Alessandro Cillario
«Secondo Gartner, entro il 2026 la mole di dati che tutti noi produrremo online si triplicherà. Pensiamo a internet come a qualcosa di immateriale, ma è proprio l’opposto. La verità è che il cloud è il pc di qualcun altro su cui sono salvate le tue informazioni». Alessandro Cillario è il co-Ceo e uno dei cofounder di Cubbit, startup innovativa lanciata a Bologna nel 2016. «I primi premi li abbiamo vinti con poco di più che alcune slide», confida a StartupItalia in questa intervista in cui vogliamo sondare anzitutto un settore, quello delle deeptech su cui anche di recente CDP Venture Capital ha dimostrato il proprio interesse per gli investimenti. L’internet del futuro che aspetto avrà? E di quali tecnologie si servirà? Tra metaverso, web3 e blockchain, questa azienda italiana ha tracciato il proprio percorso, arrivando anche a convincere il Fondo Nazionale Innovazione. CDP Venture Capital ha infatti partecipato al round Serie A da 7 milioni dell’estate 2021.
Perché Cubbit?
In un mercato competitivo e complesso come quello della tecnologia, le difficoltà si impennano se una startup vuole proporsi nella sezione deeptech. Qui troviamo innovazioni spinte, che richiedono investimenti e un forte lavoro in ricerca e sviluppo, oltre a una profonda conoscenza del mercato e dei competitor globali di cui occorre tener conto. «All’inizio pensavamo di essere su una nuova frontiera, ancora poco compresa in Italia. Il nostro obiettivo fin da subito è stato quello di creare un cloud che fosse sostenibile dal punto di vista ambientale e con benefici sui costi». A Bologna, terminati gli studi nel 2016, i quattro founder di Cubbit Marco Moschettini, Stefano Onofri, Alessandro Cillario e Lorenzo Posani hanno messo a fattor comune i propri background: giurisprudenza, ingegneria, economia e fisica. Un team, come vorrebbero gli investitori, davvero multidisciplinare.
“I primi premi li abbiamo vinti con poco di più che alcune slide”
Tra le prime esperienze di Cubbit, l’accelerazione a Tel Aviv negli spazi di Techstars ha giocato un ruolo fondamentale, immergendo la startup in uno degli ecosistemi dell’innovazione più importanti a livello globale, dove oltre all’impegno massiccio da parte del pubblico, gli investimenti privati sono sempre alla ricerca delle ultime tecnologie. Delle aziende passate da Techstars 19 sono diventate unicorni (vale a dire valutate oltre 1 miliardo di dollari). «Con gli israeliani condividiamo alcune caratteristiche – premette Cillario – ma il loro approccio alla tecnologia è mediamente più maturo in termini di consapevolezza. Parliamo di una popolazione limitata, con un know how tech altissimo». Da startup italiana che, in virtù di quel percorso, ha ricevuto investimenti da un soggetto come Barklays, Cubbit non si è però allontanata dal piano iniziale. «La vocazione è sempre stata quella di costruire un’azienda tecnologica in Italia. Oggi dialoghiamo con aziende e PMI dove i CTO, CIO e IT manager comprendono il potenziale della nostra tecnologia».
Da Cubbit cell al Next Generation Cloud
«La nostra tecnologia punta a cambiare il paradigma su cui si basa l’archiviazione dei dati online – spiega Cillario -. Oggi quando salvi i dati lo fai su un’infrastruttura centralizzata, ovvero i data center di grandi e piccoli provider. Questo tipo di infrastruttura ha tre limiti: va costruita e manutenuta, mette i dati in un unico luogo, e ha un non indifferente impatto ambientale». Le geografia di internet non è digitale perché sulla mappa pesano le mega server farm dislocate in ogni parte del mondo in cui sono custoditi i dati di tutti. Non si tratta di sfidare i giganti del cloud come Amazon. Infatti Cubbit è partita con un hardware, la Cubbit cell.
“La vocazione è sempre stata costruire un’azienda tecnologica in Italia”
«Per raccogliere investimenti dovevamo dimostrare che la nostra idea funzionasse – commenta il Ceo -. Il nostro servizio compie una geodistribuzione dei dati in una maniera peculiare: il dato non viene salvato in un data center, ma spezzettato, cifrato e distribuito su una rete peer to peer. In buona sostanza non c’è centralismo. I benefici sono rappresentanti dal taglio dei costi, dall’aumento della resilienza del sistema, e dalla componente di sostenibilità». Per farlo, inizialmente, si sono serviti dispositivi esagonali, le Cubbit cell, ovvero il primo prodotto della startup che ha raccolto fondi su Kickstarter e Indiegogo. Ad oggi esistono 5mila nodi in giro per il mondo.
Come descrive Cillario, ogni Cubbit cell è un nodo che viene installato in un ambiente domestico, divenendo così parte di un network su cui negli anni sono stati salvati oltre 50 milioni di file, validando una tecnologia che dal B2C ha compiuto il salto nella fascia più ambiziosa e sfidante del B2B. «Tutte le aziende devono affrontare la minaccia ai propri dati, a cominciare dai ransomware. Al momento siamo concentrati su Next Generation Cloud Pioneers, la nostra rete dedicata alle aziende». Quel che in scala ridotta è stata fatta lato consumer, Cubbit l’ha elevato al livello delle imprese: sono più di 80 quelle che in Italia attualmente sfruttano i servizi di archiviazione cloud distribuita, frammentata e cifrata. Tra i nomi più noti citiamo Amadori e Aeroporto Marconi.
Come sarà l’internet del futuro?
A questo punto sorge spontanea una domanda: Cubbit si sta ponendo come competitor dei giganti del mondo cloud? «Il vantaggio grosso del nostro prodotto è che è integrabile con altri provider. In parte lo stiamo già facendo, perché la giusta prospettiva è quella dell’hybrid e multicloud, con servizi differenti appoggiati su diversi provider per bilanciare le esigenze». Dando per scontato il fatto che l’utilizzo di internet è destinato ad aumentare, quali sono i modelli? «Si parla molto di web3, che ragiona in un’ottica totalmente decentralizzata, mentre la nostra visione guarda piuttosto a un’ibridazione. I dati sono la trasposizione sul digitale della nostra vita reale. Sono l’architrave su cui si basa l’economia moderna. Il settore va già in un’ottica di maggior distribuzione e il punto è capire come costruire soluzioni tecnologiche adeguate».