Oliver Page, 22 anni, è alla sua startup in Italia. Con Scooterino ha voluto portare un pezzo di Silicon Valley in Italia cercando la soluzione ad un problema: il traffico della Capitale
nutUno startupper americano a Roma. E anche se Oliver Page, 22 anni, è nato in realtà in Italia, per origini, formazione, e visione del mondo dell’impresa e dell’innovazione definirlo americano non è un errore. Lo sono i suoi genitori, che da New York si sono trasferiti in Italia 30 anni fa a Milano prima, Roma poi. Lo è la sua formazione, un po’ al liceo americano St. Stephens di Roma un po’ alla Draper University di San Matteo (CA). Lo si capisce anche dal suo italiano, perfetto, ma con un accento americano marcato.
A 22 anni Page è alla sua seconda startup in Italia. La prima, NutKase, l’ha creata che ancora era sui banchi di scuola. 17 anni, e un’intuizione per facilitare l’uso dell’iPad: un’impugnatura a crociera che ne aiuta l’utilizzo. L’azienda va bene, ha mercato, e passa qualche anno dopo in gestione a suo padre mentre lui continua la sua formazione: Regno Unito prima, Silicon Valley poi: «La prima volta che mi sono sentito davvero a casa». Percorso che porta alla sua seconda startup, quella che ha lanciato venerdì 27 marzo. Si chiama Scooterino, sharing economy pura applicata agli scooteristi.
Per ora lui e il suo team hanno lanciato il sito per cercare i primi utilizzatori potenziali. Daranno la possibilità di scaricare l’app agli utenti appena raggiungeranno un buon numero di users. Il motivo? «Per me contano le parole di Paul Graham (guru del venture capitalism, cofounder di Y-Combinator, ndr): è più importante avere 100 persone che amano la tua app e la userebbero sempre che avere 100mila utenti saltuari. Quando avremo questi 100 innamorati di Scooterino, cominceremo il servizio». Ogni scelta è ponderata su quanto ha appreso in Silicon Valley. Ogni modello viene da lì.
A 22 anni hai creato due startup, ci spieghi come è andata?
I miei genitori sono imprenditori, sono cresciuto con la cultura d’impresa. Per me è stato normale avviare un’attività, anche subito, dai banchi del liceo. Avevo un problema, l’impugnatura dell’iPad, e ho cercato di risolverlo. Con Scooterino ho adottato la stessa filosofia: vivo a Roma che è la città più bella del mondo ma con un traffico tremendo. Qualcosa doveva essere fatto.
E cosa hai pensato?
Che condividere il motorino per brevi tratti mi sembrava un modo per risolvere un problema. Almeno in parte. Applicando la filosofia pura della sharing economy che connetta persone in maniera semplice e sicura, come BlaBlaCar o Airbnb. In finora non c’è una vera startup di sharing economy, faremo qui quello che finora è stato fatto solo negli Usa.
Obbiettivo?
Che Scooterino stia a Roma come Uber a San Francisco. Ma non fraintendiamo. Noi non faremo un taxi 2.0 come Uber, la nostra è condivisione vera, che riduce traffico e inquinamento.
Com’è stato fare impresa in Italia?
Non difficile, ma qui manca la cultura d’impresa. Negli Usa pensare di realizzarsi creando un’azienda è normale. Qui sembra l’eccezione. Ma le cose stanno cambiando negli ultimi anni.
E’ più importante avere 100 persone che amano la tua app e la userebbero sempre che avere 100mila utenti saltuari.
Come pensi di fare soldi?
Con delle percentuali sui passaggi. Una percentuale che all’inizio sarà molto bassa. Funzionerà così: l’utente cerca un passaggio su una tratta, se lo trova e lo accetta alla fine lascia un feedback allo scooterista e sempre con la nostra app lo paga. Due tre euro sarà in media.
In cosa si differenzia Scooterino dagli altri servizi di sharing applicata alla mobilità?
Che noi facciamo solo tratte brevi, solo cittadine, e solo su due ruote (per ora). A Roma ci sono 500K moto sulle strade, il potenziale è alto. Ed è questo che rende Scooterino scalabile.
Come convincerai i romani ad utilizzarlo?
Potranno guadagnare dei soldi, o risparmiarne tanti se decidono di condividere il mezzo con un’altra persona. Oramai anche in Italia l’idea di condividere un proprio bene ha attecchito, non ci saranno troppi timori.