Report di Unioncamere e Svg sulle startup in Italia. Tutti i numeri che raccontaco che l’ecosistema cresce, e tanto, ma ci sono ancora troppe difficoltà a trovare capitali. Finanziari e umani
3.200 startup innovative in Italia. 470 a Milano, a Roma 270, Torino 174. A Trento e a Napoli se ne contano in entrambi i casi 96. Nel dettaglio, la Lombardia è la regione che ospita il maggior numero di startup: 705 (il 22% del totale nazionale), seguita dal Lazio con 311 imprese di questo tipo (9,7%). Milano Capitale delle start up con 470 imprese (14,7%), seguita da Roma con 270 (8,4%).
Lo studio di Swg sui dati di Unioncamere
Sono questi i risultati emersi sia dai dati ufficiali della sezione speciale del Registro delle imprese delle Camere di commercio, sia da una specifica indagine da Unioncamere e ministero del Lavoro e realizzata da Swg. Questi temi saranno portati all’attenzione della VI e X Commissione della Camera dei Deputati dal segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi, in una apposita audizione».
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L’analisi descrive un microcosmo dinamico e che rischia in proprio. Tre su 4 hanno la ferma intenzione di accrescere il proprio personale nel corso del 2015. Lo cercano, però, di profilo altamente qualificato, prevalentemente con formazione ingegneristica e scientifica, e già sanno che, in 6 casi su 10, avranno enormi difficoltà a trovare la persona giusta. Per continuare a stare sul mercato e svilupparsi sono consapevoli di non poter smettere di innovare: l’88% delle startup ha già deciso di mettere in campo nuovi investimenti entro la fine del 2015, essenzialmente per la realizzazione di nuovi prodotti o servizi a elevato contenuto tecnologico. Ma per portare a compimento questa intenzione hanno bisogno di denaro.
Le difficoltà nel fare startup in Italia (su tutte capitali e burocrazia)
E questo rappresenta senza dubbio uno scoglio per la gran parte di queste imprese, che già al loro avvio hanno segnalato, tra le principali difficoltà incontrate, proprio la mancanza di capitale necessario (35%) e la difficoltà di ottenere credito dalle banche (31%), oltre, però, a una eccessiva lentezza e complessità delle procedure amministrative (42%). Quindi, fra quelle che, superata la fase di avvio, intendono investire in nuovi e funzionali prodotti e servizi per reggere le richieste del mercato, 4 su 10 hanno già deciso di avvalersi di risorse proprie, circa un terzo invece confida prevalentemente nei finanziamenti pubblici, il 27% nell’ingresso nel proprio capitale di business angel o società di venture capital, un altro 26% punta sui prestiti bancari e il 24% è pronto ad aprire l’impresa a nuovi soci.
Solo il 14% invece proverebbe a farsi finanziare da altre persone attraverso un sistema di crowdfounding. Questo accade anche perché si tratta di iniziative imprenditoriali per le quali non c’è certo bisogno di grandi capitali, quantomeno in fase di avvio: 6 su 10 hanno dato vita alla propria idea di impresa avvalendosi di un finanziamento iniziale di massimo 50mila euro e nel 2014 il 40% ha fatturato 25mila euro, il 15% 26-50mila euro e un ulteriore 25% tra i 51 e i 250mila euro.
1 su 4 attiva sul mercato internazionale
L’orizzonte di riferimento commerciale delle startup innovative risulta relativamente ampio. Il 23% è attivo principalmente sul mercato internazionale (si sfiora però un terzo del totale nel caso delle startup manifatturiere) e il 34% su tutto il territorio nazionale, mentre, all’opposto, appare contenuta (30%) la quota delle start-up che si muovono soprattutto sul mercato ‘di prossimità’ (provinciale o regionale). Pur riconoscendo il permanere di difficoltà oggettive nel sistema economico italiano, le start up continuano quindi a rappresentare un importante elemento di innovazione e a possedere un significativo potenziale occupazionale, che, per essere pienamente sfruttato, ha però bisogno di un accesso più diretto ed efficace alle leve finanziarie (pubbliche e private) necessarie per consentire il salto di qualità e la loro stabilizzazione sul mercato.
«Le Camere di commercio svolgono un ruolo fondamentale per favorire la diffusione dell’innovazione e la nascita e consolidamento delle imprese innovative – ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – occorre intervenire con un approccio improntato alla semplificazione (utilizzando al meglio le norme e le strutture efficienti che già esistono) e alla sostenibilità economica nel tempo, anche per il bilancio pubblico, delle misure affinché possano diventare strutturali».
«A fine gennaio 2015 – fanno sapere ancora da Unioncamere – le startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese erano oltre 3.200. Ideate dal legislatore nel 2012, già nel 2013 hanno sfiorato le 1.300 unità ma hanno avuto un ulteriore boom nel 2014, quando ben 1.829 imprese con le caratteristiche di alto valore tecnologico hanno aperto i battenti. Oltre tre quarti è attivo nel settore dei servizi, poco più del 18% nell’industria e il 4% nel commercio.
Poche ancora le startup di innovazione sociale
Più nel dettaglio, 4 imprese su 10 operano nelle attività terziarie più fortemente legate alle nuove tecnologie (produzione di software, consulenza informatica e servizi di informazione), mentre una quota del 16,7% si occupa di ricerca&sviluppo. All’interno del settore manifatturiero, la prevalenza va all’ICT, ossia a quei comparti che sviluppano la parte hardware (fabbricazione di computer) e le altre tecnologie di base (strumentazioni elettriche ed elettroniche). Stentano ancora a decollare l’energia e il sociale, due campi che il legislatore ha privilegiato riservando loro ulteriori incentivi. Le start up energetiche – intendendo quelle imprese che sviluppano e commercializzano esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico – pesano infatti poco più del 12% (388 unità), mentre quelle a vocazione sociale costituiscono circa il 3% del totale. Il Nord Ovest è l’area che ospita il maggior numero di start up (in particolare la Lombardia e Milano), seguito dal Nord Est (con buone performance dell’Emilia Romagna e, a livello provinciale, di Trento). Significativo e degno di attenzione è però il contributo fornito dal Mezzogiorno, di poco inferiore a quello del Nord Est e pari a quello del Centro».