Cosa insegna un viaggio in Oriente sulla vita di ogni giorno? Sulle nostre attività? Sulla nostra condizione mentale? Diario di bordo dal Vietnam, con qualche consiglio sulla quotidianità
Ho sempre pensato che non bisogna andare troppo lontano per cambiare prospettiva. Non può essere un luogo a darci l’ispirazione, né tantomeno a dirci chi siamo. Eppure, spesso, a trasformarci è proprio una partenza. Chissà perché. Forse perché mettersi in viaggio ci obbliga a metterci in ascolto. Perché, indipendentemente da quale sia la nostra meta, tiriamo fuori un atteggiamento diverso. Chiamiamola apertura o semplice curiosità. Il fatto è che ci predisponiamo alla scoperta, all’incontro, alla conoscenza.
Una vita sovrappensiero
Nella vita di tutti i giorni è facile cedere alla distrazione. Ci ritroviamo a guidare sovrappensiero senza accorgerci di aver sbagliato strada, a chiudere una skype call domandandoci cosa è stato detto, a impazzire perché non ricordiamo il nome del file che abbiamo appena salvato. Non so a voi, ma a me tutto questo suona tragicamente familiare. È il segno che la nostra mente è distratta. Lontana dagli stimoli del presente. In una specie di vagabondaggio mentale che non ha niente a che vedere con la tendenza a sognare ad occhi aperti. Piuttosto è il risultato di preoccupazioni e rimuginio (pensieri negativi rivolti a possibili minacce, reali o presunte). Come sempre sono i nostri pensieri a condizionarci di più. Specie quando non hanno alcun collegamento diretto con l’attività che stiamo svolgendo. Danneggiano la nostra performance e influiscono sul nostro umore.
Che la mente viaggi nel futuro o nel passato non è una novità. Che lo faccia quasi il 50% del tempo, è il risultato degli ultimi studi di neuroscienze cognitive. Come a dire, passiamo metà della nostra vita con la testa altrove. Poco incoraggiante. La colpa stavolta è del nostro cervello: per districarsi nella vita di tutti i giorni, spesso e volentieri, aziona il pilota automatico. Questo ci permette di gestire più compiti simultaneamente facendo “economia cognitiva”. Quanto più un’azione è familiare, ripetitiva, o poco stimolante, tanto più facilmente, il pilota automatico, partirà in azione. Anche questo ha i suoi pro e i suoi contro. Perché quando l’abitudine prende il sopravvento, ci ritroviamo a vagare con i pensieri più di quanto dovremmo.
Rompere la routine
Poi per fortuna ci sono gli eventi straordinari. Quelli in cui tutto è nuovo, tutto cattura la nostra attenzione. Sgusciamo fuori dalla routine e, come per miracolo, ci ritroviamo diversi, o finalmente noi stessi. O più semplicemente, la versione migliore di noi. Il mio evento straordinario è stato un viaggio di lavoro in Vietnam. Per tre settimane, ogni giorno, ho assaggiato un sapore nuovo, percorso una strada diversa, scoperto luci e paesaggi che neanche immaginavo. Ho tenuto in braccio bambini meravigliosi e ho imparato i loro giochi. Ho vissuto con i contadini e siamo diventati amici. Abbiamo parlato di storia, di politica, di religione, di tradizioni e superstizioni. Della coltivazione del riso, del loto, del bambù. Dei mille tipi di tè. Con loro ho scoperto che i funerali possono essere delle feste grandiose. Che l’abbronzatura non è sempre un vanto. Che una donna che fuma, da qualche parte, è ancora uno scandalo. E che il serpente, tutto sommato, sa di pollo. In una parola: ho prestato attenzione.
Da millenni, le culture orientali vedono nell’attenzione il segreto di una vita migliore. Noi ci siamo arrivati all’inizio degli anni ottanta, quando l’equipe del biologo molecolare Jon Kabat-Zinn ha iniziato a studiare gli effetti della mindfulness sul nostro cervello. La mindfulness è quell’atteggiamento mentale di chi è coinvolto nel momento presente. È la capacità di registrare quanto accade, fuori e dentro di sé, senza aggiungere giudizi o reazioni emotive. È percezione consapevole. Pura e semplice. L’opposto della distrazione insomma.
Gli antichi testi orientali insegnavano a raggiungere questo stato di concentrazione attraverso la meditazione consapevole. Oggi, la neuroscienza ci dice che un allenamento di questo tipo è, non solo possibile, ma funzionale. Centinaia di studi hanno dimostrato come sia in grado, da solo, di ridurre lo stress psicologico, migliorare la salute mentale e fisica, proteggerci da depressione, ansia, dolore cronico, e burnout professionale. Una specie di elisir di lunga vita? Se pensiamo che gli ultimi studi californiani (Elissa S. Epel e colleghi, 2012) hanno aggiunto alla lista la longevità, sembrerebbe quasi di sì.
La concentrazione nei momenti della vita
Il programma messo a punto da Kabat-Zinn include esercizi pratici che incentivano la consapevolezza nel momento in cui mangiamo, respiriamo, camminiamo. Allenandoci alla consapevolezza, possiamo rinforzare la capacità attenzionale del nostro cervello. Certo, anche videogiochi e farmaci affinano la concentrazione. Ma sul lungo periodo, la meditazione sembra vincere su entrambi. Non riduce i fattori di stress, questo è ovvio. Ma permette di ritrovare il senso di curiosità perduto e il contatto con gli altri.
Il dott. Scott Roger (Università di Miami) suggerisce un modo semplice per cominciare ad allenare la consapevolezza. Si tratta di ritagliare dieci minuti al giorno, sedersi comodi, chiudere gli occhi (o socchiuderli, come si preferisce) e prestare attenzione al proprio respiro. Scegliere una parte del corpo influenzata dal respiro, e concentrare lì tutta l’attenzione. Essere aperti e ricettivi alla più piccola sensazione fisica, ma anche a ciò che potrebbe essere di disturbo come un rumore esterno. Si tratta di registrare gli input sensoriali del momento. E finiti i dieci minuti, aprire gli occhi e alzarsi.
Ma non c’è solo la meditazione consapevole. Le novità e l’arricchimento ambientale sono tra i fattori più potenti per trasformare le nostre cellule cerebrali. Questo a dimostrazione del fatto che il cervello umano non è un sistema chiuso, definito una volta per tutte. Ma che è in grado di rigenerarsi continuamente.
Fare cose nuove ogni giorno, mantiene alto il nostro livello di attenzione. Ci tiene attivi e vitali. Ravviva la curiosità. Ed è un toccasana per la chimica del nostro cervello. Insomma, non è poi così necessario andare dall’altra parte del mondo per uscire dalla routine e abbandonare i vecchi schemi mentali. Basta domandarsi: Quand’è stata l’ultima volta che ho fatto qualcosa per la prima volta?