Tutti gli spazi di lavoro collettivo del capoluogo lombardo, in una cartina interattiva preparata per l’Open Summit
Lavorare da soli eppure insieme, in uno spazio che non è un ufficio eppure è il tuo ufficio, e allo stesso tempo è l’ufficio di molti altri. Suona strano? A molti dei lettori di StartupItalia! suonerà al contrario normalissimo, persino accattivante. Il coworking, ormai non ha bisogno di presentazioni. E in occasione dell’Open Summit, abbiamo deciso di mapparlo a Milano.
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È una realtà sempre più diffusa ed è esemplare dei cambiamenti che hanno investito il mondo del lavoro negli ultimi due decenni. Il coworking, secondo la definizione data da Davide Dattoli (tra i fondatori di TAG, ad oggi la rete di coworking più estesa in Europa) sul sito dei Digital Champions, “è un luogo di incontro e di lavoro che aggrega professionalità di diversi settori. Nasce per i freelancer, per coloro che solitamente lavorano da soli da casa o nei bar. Lo scopo è offrire spazi e servizi che aiutino i piccoli imprenditori a crescere stando in continuo contatto con altri che operano nello stesso campo o in altri settori”. Se arretra il posto fisso, avanzano gli open spaces. Il principio basilare è quello della condivisione, dagli spazi fino alle idee. La sfida è farlo fruttare più della concorrenza normalmente intesa.
Una novità del genere non poteva non diffondersi in una città come Milano. Il Comune del capoluogo lombardo ha deciso di prendere atto del fenomeno e di interessarsene in modo attivo, stilando una lista qualificata degli spazi di lavoro collettivo e pensando anche ad incentivi economici per chi li popola. E dall’elenco del Comune siamo partiti per disegnare la mappa dei coworking, dei fablab e dei maker space di Milano. Sì, anche i fablab, perché un movimento come quello dei makers si inserisce in modo naturale nella trasformazione dei luoghi di lavoro: la condivisione è alla base anche dell’artigianato digitale.
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Dalla mappa possono derivare due osservazioni. La prima: non esiste un solo modello di coworking. Accanto ai fablab e agli spazi come il già nominato TAG (Talent Garden) o Copernico, perfettamente inseriti nell’ecosistema dell’innovazione nazionale, ci sono realtà come Regus: sale situate in punti strategici della città (ad esempio: vicino l’aeroporto di Linate, o in area Expo) e pronte per essere affittate momentaneamente ad uso lavorativo. Poi ci sono situazioni ibride – e molto cool, secondo un certo punto di vista – come Open e Avanzi, uniti a librerie e bar. La scelta, quindi, copre quasi ogni esigenza.
Seconda osservazione: la disposizione delle bandierine sulla cartina non sembra essere casuale. I coworking si addensano in alcune aree. L’esempio più palese è la zona della Chinatown, da un lato e dall’altro di via Paolo Sarpi, tra il Cimitero Monumentale e i bastioni di Porta Volta. Un’altra direttiva è Viale Monza. E il sud-est della metropoli: dai pressi di Piazzale Lodi alle periferie della Barona, passando per i dintorni dell’Università Bocconi. Cos’hanno in comune questi diversi angoli di Milano? Quasi sempre si tratta di ex periferie. Luoghi meno costosi del centro (dove, in effetti, le nostre bandierine sono quasi del tutto assenti). Pezzi di città pieni di resti del passato industriale. Che sarebbero diventati macerie, ma in qualche caso sono stati restaurati, ricostruiti, riportati in vita con una nuova funzione. E ora fanno da scenario a uno sviluppo del lavoro in modalità inversa a quella per cui erano stati concepiti. Insomma, se non badiamo alla grammatica, attività condivisa può far rima con recupero. Ed è una buona notizia.
Progetto grafico e mappatura di Chiara Trombetta