Federico Marchetti ha fondato Yoox nel 2000, oggi è un colosso che vale 3,8 miliardi di euro. Le tappe fondamentali del suo successo, dal primo investimento da 3 miliardi alla quotazione di Yoox Net-a-Porter
Alle 9.00 del 5 ottobre la campanella di Piazza Affari ha suonato il trionfo di un pezzo di digital economy italiana. In elegante abito scuro e volto visibilmente emozionato, Federico Marchetti, founder di Yoox, ha fatto debuttare in Borsa la newco nata dopo la fusione con Net-A-Porter. Un colosso dell’ecommerce che genera un volume d’affari da 1,3 miliardi l’anno. Ha suonato lui stesso la campanella che ha dato il via alle contrattazioni. Fuori, l’intero palazzo della Borsa è stato addobbato con un fiocco nero. Come un enorme pacco regalo nel cuore di Milano. E’ il regalo che Yoox ha fatto all’intero settore della moda italiana. Portandola online. Facendole capire l’importanza di internet prima che internet diventasse un’esigenza. Quando era ancora un’opportunità, e che oggi regala miliardi di ricavi. E alcuni dei personaggi più influenti della moda italiana erano lì. Riuniti sul parterre (anche questo nero) che copriva le scale di Piazza Affari, hanno salutato l’evento tra gli altri Renzo Rosso (Diesel), Lapo Elkann (Italia Independent) il numero uno di Borsa Italiana Raffaele Jerusalemi.
«Quando ho fondato la mia startup ho ragionato sul fatto che L’Italia è il primo produttore di prodotti di alta moda, e il terzo consumatore al mondo. Io ho cercato di portarla online». E ci è riuscito. Perché oggi possiamo dire che, con un valore di 3,8 miliardi, Yoox è il primo unicorno italiano. Per farsi un’idea, se il fatturato di Yoox Net-a-Porter Group è di 1,3 miliardi, Tiscali fa 678 milioni (2013) e la holding di Banzai 153 milioni (2013).
Se con unicorno intendiamo una tech company che abbia raggiunto (e superato) una valutazione pari a un miliardo, e che come discrimine abbia che sia nata e cresciuta col fundraising (è la definizione data da un report di Fortune/CB Insight), Yoox ci rientra a pieno titolo. Poco conta che sia nata nel 2000. Nella lista degli unicorni di Forbes (tra le più complete ad oggi) ci sono società nate nel 1995 come nel 20014. E a inserire Yoox tra gli unicorni europei è anche il report di Independent European Research che la classifica come unica billion company italiana. Yoox era una startup, anche se al tempo in cui di startup non si parlava molto, almeno a queste latitudini. Per storia e modello di business. Dietro Yoox ci sono tutti i classici elementi della storia di una startup. E a guardarli bene si possono leggere in filigrana gli step che servono per crearne una di successo, e cosa oggi manca alle nuove digital company per fare lo stesso.
Le origini nel garage di Casalecchio di Reno
Partiamo da un’icona. La più classica di tutte: il garage. E’ davvero il posto da cui tutto è partito per Yoox. Un garage a Casalecchio di Reno, Bologna, dove Marchetti, 46 anni di Ravenna, ha lanciato Yoox. Oggi è un colosso dell’ecommerce della moda da 3,8 miliardi. Vende il meglio del made in Italy (e non solo) nel mondo. Un caso raro, forse unico in Italia. E gli elementi dell’unicità li ha davvero tutti. Sin dal suo inizio. Sin da quel gennaio del 2000 quando Federico Marchetti, allora trentenne, ha deciso di lasciare il suo lavoro per fare un’azienda. Una laurea in Bocconi, un master alla Columbia University, e poi la scelta di diventare imprenditore proprio mentre collassava la net economy con lo scoppio della bolla finanziaria che l’ha gonfiata. Proprio mentre i venture di allora, così propensi a finanziare qualsiasi tipo di startup che si occupasse di internet, chiudevano i rubinetti.
Il contatto con Elserino Piol, il padre del venture italiano
Marchetti per partire cerca i primi contatti sulle pagine gialle. «Allora Google non era ancora così usato per cercare numeri e contatti di persone», scherza, e gli capita sotto gli occhi il nome di Elserino Piol. L’uomo d’affari «geniale e ruvido» che ha finanziato imprese come Vitaminic, Click.it, ma soprattutto Tiscali con i due fondi legati di Kiwi. Il padre del venture italiano, per alcuni il «vero padre dell’Internet in Italia». In sintesi, l’uomo che più è stato in grado di far diventare business veri le più grandi innovazioni tecnologiche italiane. 3 miliardi. Piol dà a Marchetti 3 miliardi di lire per cominciare. Un round di investimento unico – ma l’avevamo detto che questa è una storia di unicità. Una cifra enorme, quasi impossibile da racimolare oggi per qualsiasi startup nostrana che lotta a denti serrati per un grant da 30K. Sia chiaro, nemmeno allora era così frequente. Però a Marchetti capita il colpaccio. «3 Miliardi sono tanti» ha detto in un’intervista a Repubblica nel 2014, «ma nemmeno troppi. In Uk o in Germania i finanziamenti sfondano il tetto dei 10 milioni, è così che si fa crescere una startup. Non si fa un matrimonio coi fichi secchi». Già.
La scelta del nome, la fioritura in primavera
Al suo di fichi secchi nemmeno l’ombra però. Quei 3 miliardi sono serviti a partire alla grande. La società nasce a marzo 2000. Il nome è un po’ un’intellettualismo voluto da Marchetti. La Y e la X sono in simboli che in medicina rappresentano l’uomo e la donna. In mezzo due «o» che sono la lettera più simile allo «0» che sta per il dna. Yoox nel nome vuole collegarsi al mondo maschile e femminile della moda, con un dna che la leghi a Internet. Complicato, ma efficace. Aprono i battenti il 21 marzo, il primo giorno di primavera. La loro primavera. «La prima commessa? In Olanda, perché Yoox nasce già con un respiro internazionale. La ricordo ancora è arrivata il 21 di giugno dello stesso anno», tre mesi dopo, il ciclo è cominciato. Era il primo giorno d’estate. E ogni anno festeggiano il compleanno di Yoox il primo giorno d’estate con una mega festa con tutti i dipendenti, «la vera forza di Yoox». In ufficio pare che chiamino Marchetti il Mago di Oz. Si impone, ha un carattere molto forte e un po’ è temuto dai dipendenti, ma chi lo conosce bene sa che non c’è nulla da temere. E’ uno che deve prendere le decisioni. E non è mai facile farlo.
Cosa vuol dire scalare, dal mercato all’IPO
Da allora Yoox è cresciuta, e parecchio. Ha conquistato i giornali di mezzo mondo, è tra le più forti digital company europee. Il fatturato cresce di anno in anno, con una progressione che una startup deve avere. Nove anni dopo è un colosso e sbarca in borsa. La società all’inizio era di Marchetti per il 9,8%, mentre il 70% era in mano ai fondi Kiwi, con un 20% in possesso di altri investitori. Il 2009 arriva l’anno dell’IPO al segmento Star della Borsa Italiana: le azioni valevano 4,3 euro per una valutazione di circa 95 milioni. Negli anni successivi, come è normale, i fondi di venture hanno ridotto gradualmente la loro presenza nell’azionariato. Il flottante (le azioni scambiate in borsa) fino al 2014 rappresentavano l’80% dell’intero pacchetto azionario. Wired Uk nota la sua storia e gli dedica una copertina riuscitissima. «Fashion goes Tech» titolava il magazine su una sua immagine in giacca e cravatta con un cipiglio da uomo d’affari, ma con l’aria ancora scanzonata dello startupper.
A 45 anni Marchetti aveva una società presente in 100 paesi, con 456 milioni di fatturato, e con oltre 800 dipendenti. La maggior parte di questi in Italia.
«All’Italia? Devo tutto. La formazione, ma anche gli affari. Io vendo made in Italy nel mondo, vendo l’eccellenza e il genio italiano».
Anno 2015. Yoox diventa un colosso da 1,3 miliardi
Nel 2015 un’altra primavera. A fine marzo nasce la Yoox Net-a-porter dalla fusione tra la società del «ragazzo» di Ravenna (oggi 46 anni) con un altro colosso dell’ecommerce, Net-a-Porter. Nella nuova società il 50% delle quote erano in mano a Yoox, il resto a Richemont. La newco vale 1,3 miliardi. Ma alla guida rimane Marchetti, mentre il capo di Net-a-Porter Natalie Massenet diventa presidente. Più che una fusione si è trattato di fatto di un’acquisizione da parte di Yoox. E ha brindato alla notizia anche il premier Matteo Renzi con un tweet da amico: «Complimenti a Federico Marchetti e al team di @Yoox,. Tanto di cappello, bravissimi. E in bocca al Lupo». I due si erano conosciuti qualche mese prima, quando Renzi ha visitato Marchetti e Yoox nella sede di Zola Predosa, a Bologna.
Ultimo step la quotazione in borsa della newco, entrata con l’acronimo YNAP a Piazza Affari. Una capitalizzazione che ha toccato i 3,8 miliardi di euro e un prezzo per azione che schizza subito a 29,95 euro (+6,7%) e il 6 ottobre sale ancora a 30,50 euro. Un successo dicono gli analisti e un debutto che è stato tra gli elementi che hanno trascinato Piazza Affari a chiudere in terreno positivo a 2,5%. Che il debutto sia arrivato a ridosso dell’entrata dell’autunno è, ne siamo certi, solo un caso. La società crescerà ancora, sarà ancora la vetrina online del made in Italy.
Cosa ci lascia la storia di Yoox
In rete si può trovare con qualche difficoltà una foto dei founder di allora, quando ancora lavoravano nel garage di Casalecchio del Reno. Erano una decina, con i primi stagisti, con contratti da stagisti. Oggi sono manager della società. Sono cresciuti lì accettando la sfida dell’azienda e lì sono diventati grandi. La storia di Yoox parte da lì, da quel garage e si rinnova ogni estate, quando insieme festeggiano il compleanno dell’azienda. E un nuovo corso. Yoox ha avuto le sue difficoltà. Non è stato facile nascere quando tutto sembrava crollare, sopravvivere agli scossoni del mercato mondiale con l’11 settembre 2001, il fallimento della Leman Brothers, la crisi finanziaria che ne è seguita, il credit crunch e le difficoltà di un’economia in stagnazione. Marchetti c’è riuscito. «Ottimista? Certo che sono ottimista, come potrei non esserlo. Son un imprenditore». Ecco.
Arcangelo Rociola
@arcamasilum