Infocamere ha ampliato il dataset informativo per startup e PMI innovative. Disponibili gli indicatori sull’innovazione selezionati al momento della registrazione. Emergono le startup a vocazione sociale
Lunedì 5 ottobre Infocamere, la società informatica delle Camere di Commercio italiane, ha annunciato via Twitter l’ampliamento del dataset informativo riguardante le startup e le PMI innovative.
Sin dalla loro creazione, che risale rispettivamente a febbraio 2013 e giugno 2015, i portali dedicati a startup e PMI innovative mettono a disposizione gratuitamente e in formato rielaborabile da terzi i database delle relative sezioni speciali del Registro delle Imprese. I database, soggetti ad aggiornamento settimanale, consentono un monitoraggio diffuso e capillare della “popolazione target” delle due policy, mettendo in evidenza per ciascuna impresa un ampio bagaglio informativo che include la localizzazione geografica, la data di costituzione, la collocazione settoriale e la dimensione in termini di fatturato, occupati e capitale sottoscritto. Un’architettura descrittiva che mira a favorire il data journalism e a nutrire il dibattito pubblico sulle startup – e, più in generale, sull’imprenditoria innovativa – di dati oggettivi di natura quantitativa e qualitativa.
Cosa cambia per le startup
1. Più chiari i criteri di «innovatività»
L’ampliamento annunciato ieri segue due direzioni. La prima riguarda la possibilità di conoscere i requisiti sull’innovatività, tra i 3 previsti dalla normativa, selezionati dalle startup e dalle PMI innovative al momento dell’iscrizione nella sezione speciale del Registro dell’Imprese, precondizione necessaria per godere dei vantaggi previsti rispettivamente dal Decreto Crescita 2.0 e dall’Investment Compact.
La selezione di questi “indicatori di input sull’innovazione” non rappresenta un capriccio burocratico ma risponde a un obiettivo ben specifico: individuare dei criteri oggettivi “in entrata” che connotino il carattere innovativo della popolazione target delle policy. Si tratta di un passaggio chiave se si considera che quelle in esame sono politiche pubbliche selettive, che non si rivolgono a una platea indifferenziata ma a imprese che, siano esse di recente gestazione (startup) o più consolidate (PMI), presentano una chiara vocazione all’innovazione.
I tre requisiti “alternativi” in questione comprendono:
- l’incidenza delle spese in R&S sui costi totali annui;
- la presenza di personale altamente qualificato all’interno del team;
- il possesso di uno strumento di tutela della proprietà intellettuale (brevetto, privativa, licenza o software).
Sono alternativi, e non cumulativi, nel senso che ne viene richiesto almeno uno per le startup innovative, almeno due per le PMI innovative (le percentuali qualificanti per determinare il possesso dei primi due requisiti sono meno elevate per le PMI innovative: le differenze nelle percentuali abilitanti sono illustrate qui).
L’importanza di avere un brevetto
A dimostrazione dell’importanza di questi criteri vorrei rievocare uno studio recentemente pubblicato dall’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno, che dimostra come a livello europeo le imprese brevettuali abbiano una performance economica migliore rispetto a quelle non brevettuali in termini di produttività del lavoro, occupazione e livelli dei salariali.
È lecito attendersi che tale dinamica possa riguardare anche le startup innovative oggetto della policy.
Tra le 4.206 startup innovative iscritte al 30 giugno 2015, 782 avevano avuto accesso alla sezione speciale del Registro selezionando il terzo requisito o in modo esclusivo, o in combinato con uno o due tra gli altri requisiti alternativi sull’innovazione. Sarebbe interessante misurare se questa platea ridotta presenta performance migliori rispetto alle “sorelle” che hanno selezionato altri requisiti. Oppure, quante tra le 58 startup innovative che, stando all’ultimo aggiornamento, presentano un fatturato superiore a un milione di euro hanno selezionato il terzo requisito alternativo. Grazie all’evoluzione informativa in esame, da ieri un’analisi di questo tipo è possibile.
a livello europeo le imprese brevettuali hanno una performance economica migliore rispetto a quelle non brevettuali in termini di produttività del lavoro, occupazione e livelli dei salariali
La letteratura economica dimostra che i fondi di VC prediligono le imprese brevettuali in quanto il possesso di una forma di tutela della proprietà intellettuale viene considerato come un elemento predittivo di una migliore performance finanziaria. Una ricerca fondata su questo criterio, da ieri, è molto più agevole.
2. Le startup innovative a vocazione sociale
La seconda novità consiste nel perfezionamento della procedura di riconoscimento delle startup innovative a vocazione sociale (SIAVS) introdotta nel gennaio scorso. La procedura ruota intorno alla redazione e al deposito di un Documento di Descrizione di Impatto Sociale (Linee Guida) presso la Camera di Commercio competente ratione loci: un documento leggero con cui la startup innovativa è chiamata a descrivere e ad autocertificare l’impatto sociale previsto o generato, accedendo a uno status speciale che dà diritto a maggiorazioni nei già cospicui incentivi fiscali previsti a favore degli investitori in equity che scelgono questa particolare tipologia. Alcuni impedimenti di natura procedurale frenavano la trasmissione dalla Camera di Commercio locale al sistema camerale centrale dell’informazione relativa all’attivazione dello status speciale, ma sono stati superati e da ieri il registro conta finalmente una prima schiera formata da 38 startup innovative a vocazione sociale.
Vocazione sociale: il caso MarioWay
L’interesse a mettere in luce la presenza di tale sotto-tipologia risale alla loro particolare natura di imprese capaci di combinare una logica di business ad una componente innovativa declinata al raggiungimento di un obiettivo di natura sociale. La startup innovativa a vocazione sociale MarioWay, ad esempio, nasce dall’idea di “eliminare l’asimmetria relazionale tra le persone diversamente abili e i normodotati, progettando una sedia a rotelle altamente tecnologica che consente al disabile di essere alla stessa altezza del suo interlocutore oltre ad offrire una completa autonomia di movimento”.
Da ieri startup “tech for social” come Marioway possono dare notizia di sé in modo agevole: chi negli scorsi mesi si è approcciato al tema – penso al team sulla Finanza ad Impatto Sociale guidato da Mario Calderini o al lavoro di Giancarlo Giudici al Politecnico di Milano e di Paolo Venturi di Iris Network – può ora “riavvolgere il nastro” e ripartire con le ricerche su questo interessante fenomeno.
Un dibattito pubblico empiricamente fondato, quindi istruito e oggettivo, necessita di dati: un’esigenza cui le più recenti politiche sull’innovazione condotte dal Ministero dello Sviluppo Economico hanno sempre cercato di rispondere. Quest’ultima espansione del dataset informativo porta le policy sulle startup e le PMI innovative ad abbracciare in modo ancora più stretto e deciso la filosofia “evidence-based” che ne ha ispirato la creazione.