Quali sono gli errori tipici di chi fa un pitch? Robert Herjavec (Shark Tank USA) li elenca per Business Insider secondo la sua esperienza. Da leggere
Alcuni sono eccellenti. Altri sono destinati ad essere dei flop. Oltre 6 stagioni di Shark Tank USA e altrettante presenze nel canadese Dragon’s Den, Robert Herjavec, 52 anni, imprenditore e investor croato-canadese, ne ha visti di pitch. Video che durano meno di 10 minuti e devono riuscire a dire tutto della startup che presentano. O almeno il necessario per convincere un investitore a dire di sì. Nel suo libro The Will to Win e in un’intervista a Business Insider Uk Herjavec ha spiegato quali sono i quattro errori più comuni che gli startupper commettono quando preparano un pitch.
- Non sono d’impatto.Il segreto è creare nei potenziali investitori il timore di perdere una grande opportunità che solo tu sei in grado di dare. Se non sei in grado di farlo in due minuti, allora è quasi certo che non ci riusciresti nemmeno con un’ora a disposizione. «Come tutto nella vita, se non sei in grado di vendere te stesso, non sarai mai in grado di vendere la tua impresa», spiega Herjavec, «quello che cerchiamo e qualcuno che sappia attirare l’attenzione. Il pitch deve essere imediatamente d’impatto».
- Non valutano la startup in maniera realistica.Un po’ di aggressività serve, secondo Herjavec, quando si tratta di vendere i meriti della propria azienda. Ma la valutazione di un’impresa si basa su ricerche e performance. A Shark Tank i pitch presentavano troppo spesso delle valutazioni irreali, racconta Herjavec. E ciò significa due cose: o gli imprenditori non sanno di cosa stanno parlando oppure si stanno comportando in maniera avida. «Si dimenticano che noi investitori siamo degli “squali” perché misuriamo e stiamo davvero attenti a come spendiamo i soldi. Siamo realistici riguardo ai profitti che speriamo di avere. Siamo più tirchi che spendaccioni».
- Non ascoltano.Gli investitori più saggi apprezzano chi si prende del tempo per provare e riprovare un pitch, magari memorizzando dei dati o dedicandosi alle prove pratiche del prodotto. Il fatto, però, è che tutte queste cose dovrebbero arrivare naturalmente e non dopo ore di prove. Herjavec racconta di aver spesso visto imprenditori così irrigiditi dalla loro “recita” da non essere in grado di attirare l’attenzione degli investitori o, ancora peggio, da non riuscire a rispondere alle loro domande. «Capisco il nervosismo e so anche quanto sia difficile stare in piedi di fronte a noi a spiegare perché i loro aggeggi o le loro società non falliranno, ma devono superare l’ansia, ascoltare le nostre domande con attenzione e capire come noi prendiamo le loro risposte».
- Cercano qualcuno che gli dia una mano.
Herjavec è cresciuto in Canada tra Halifax e Toronto ed è figlio di immigrati partiti dalla Croazia negli anni ’70. Da adulto, racconta, ha fondato la sua prima azienda di IT, la BRAK Systems, per pagare il mutuo dopo aver perso il lavoro. Uno dei valori più importanti che gli ha insegnato il padre, ricorda, è quello di non elemosinare mai nulla, neanche quando le difficoltà economiche sono tante.
Herjavec vorrebbe che tutti gli imprenditori capissero che chi investe non vuole aiutare qualcuno a realizzare il suo sogno, ma è alla ricerca di una soluzione che faccia guadagnare entrambi. Per questo non si fida di chi si presenta in modo apatico o sembra prendere la cosa come un gioco. Sono imprenditori «che mi danno l’impressione di non voler lavorare sodo per fare delle proprie idee dei successi». Un atteggiamento improduttivo, sostiene: «Mio padre diceva spesso che lavorare sodo non ti garantisce la ricchezza, ma non lavorare sodo significa restare sicuramente povero».