6 su 10 cercano personale ma non lo trovano. In pochi vogliono lavorarci. Ed è una questione culturale che grava sull’ecosistema. L’esperienza di chi con le startup ci lavora ogni giorno
C’è un dato curioso nel report pubblicato martedì da Unioncamere sullo stato di salute dell’ecosistema italiano delle startup. Perché se sappiamo che il numero delle startup innovative è in crescita (3.200), come sappiamo anche che molte di loro si autofinanziano con risorse finanziarie proprie (4 su 10) e che quelle che cominciano a fatturare sono in buona maggioranza (l’80% con un fatturato tra i 25 mila e i 250 mila euro), meno noto era che addirittura 6 su 10 sarebbe disposto ad assumere qualcuno. Così hanno risposto al questionario dell’unione delle camere dei commercio. Nell’Italia del lavoro impossibile quindi, ci sono migliaia di società neonate che cercano professionalità nel proprio percorso di crescita. Non per uno stipendio da manager, ovvio. Una startup difficilmente potrebbe permetterselo. Ma per uno stipendio sì. Eppure niente. Abbiamo provato a capire meglio perché con Roberto Magnifico, amministratore della società di investimento LVenture, e cofondatore di Innovaction Lab, ha ben chiara questa tendenza: «Con le nostre startup la viviamo ogni giorno, molte cercano personale senza trovarlo. Assumere delle persone adeguate e motivate è complicatissimo». E non è solo una questione di profili tecnici. O politici. Ma soprattutto culturale.
Sembra un paradosso, le startup vogliono assumere ma…
Ma c’è poco rischio a lanciarsi in una sfida rappresentata da un’azienda in fase di startup. I ragazzi che escono dalle università pensano che l’unico sbocco lavorativo sia una grossa azienda, con un grosso stipendio. Ma evidentemente non è più così. E’ questo che provoca un mismatch tra domanda e offerta. C’è tantissima domanda, e c’è anche tanta offerta disattesa.
Perché lavorare in una startup spaventa?
Lavorare in una startup vuol dire vivere quella startup. Ci vuole molto più impegno, più ore di lavoro magari, molto sacrificio. Capirne il business model. Ed essere disposti a guadagnare molto meno rispetto ad una grande società. Ma pochi hanno voglia di farlo. Pochi hanno voglia di contribuire alla crescita di una società che in prospettiva può diventare grande. E’ una questione di mentalità da un lato, di come è visto il mondo dell’imprenditoria. Specie in Italia. E’ visto come un mondo fermo, dove gli imprenditori sono figli di imprenditori. E questo frena molto la fiducia nel lavoro. Ma frana anche il senso di appartenenza all’impresa.
Eppure le startup innovative in questo caso sparigliano le carte.
Oggi chiunque ha un’idea può aprire un’impresa. E chiunque può diventare imprenditore. Hai una buona idea, dei venture magari credono in te, nel tuo business model, nel tuo team, e scommette sulla tua crescita. E’ un mondo nuovo. Forse siamo ancora impreparati. Ma soprattutto c’è ancora molta distanza tra università e mondo del lavoro. Il nuovo mondo del lavoro.
In Italia le politiche del lavoro sono al centro di una riforma che vorrebbe andare in questo senso, ma hanno centrato il punto?
In parte, ma solo in parte. Il Jobact aiuta ma è comunque meno competitivo rispetto alle legislazioni del lavoro per le nuove imprese di Stati Uniti e Regno Unito. Assumere stagisti è complicato, troppi vincoli di numero e di persone. E per una startup è necessario non avere vincoli, di incrementare o diminuire in relazione alle necessità del momento. E’ una libertà che chi fa impresa in questo settore deve avere per poter crescere.