Ha raggiunto i 62 milioni di utenti e 2 miliardi di messaggi. Il progetto di Pavel Durov, lo Zuckerberg di Russia, comincia a fare paura a Whatsapp, garantendo privacy e sicurezza. Lo abbiamo incontrato a Helsinki
Cammina per le strade di Helsinki stretto in un cappotto nero. Come nero è il cappellino da baseball che tiene schiacciato sugli occhi. Il viso smunto, pallido. Lo sguardo freddo ma gentile, rivolto a terra. La testa ricurva che quasi si appoggia alle braccia che tiene conserte. Facile immaginarselo in quella posizione mentre scriveva le righe di codice di VKontakte. La sua prima azienda lanciata poco più che ventenne. Anno 2006. Il social network che lo ha reso famoso come lo Zuckerberg di Russia celebrato da una famosa copertina di Bloomberg News. E miliardario dopo un’exit fatta di cifre mai rese note e intrighi politici.
Se la sua storia non bastasse a renderlo un personaggio fuori dal comune, Pavel Durov, nato a Leningrado 30 anni fa, sa come apparire tale. Total black di ordinanza, la scelta di vivere da apolide poco dopo aver venduto le quote rimanenti dell’azienda che ha fondato, gli aneddoti che lo raccontano come eccentrico e imprevedibile. E la sua lotta, sincera, rivoluzionaria e agiata, per le libertà individuali. «L’Occidente è meno libero oggi di quanto è abituato a essere. Siamo più vicini al 1984 di Orwell di quanto non lo fossimo nel 1984». Ha dichiarato eterna gratitudine a Edward Snowden, l’informatico statunitense che ha rivelato i programmi di sorveglianza di massa del governo americano e britannico. Oggi le sue priorità sono privacy e sicurezza nello scambio di informazioni. E’ per questo che ha lanciato nel 2014 Telegram, ed è per questo che Snowden è la sua musa ispiratrice.
Cosa ha di speciale Telegram
Telegram non è un’azienda ma un progetto. «A global project». Umanitario, per certi aspetti. Un servizio di messaggistica in tutto simile a Whatsapp, ma con un sistema di copertura e criptaggio dei dati che, a detta di Durov, lo rende invulnerabile. Nessuna traccia dei messaggi rimane sui server, nessuna possibilità di inoltrarli, e accesso ai messaggi passati sul cloud solo dai device dai quali sono partiti. Con in più la possibilità di scambiare senza limiti foto, video e documenti, da smartphone a desktop.
Oggi ha raggiunto 62 milioni di utenti mensili e 30 attivi ogni giorno che scambiano due miliardi di messaggi. Il doppio rispetto a 5 mesi fa. Il suo punto di forza è la sincronizzazione perfetta di tutti i device usati dall’utente. Chi lo usa? «Soprattutto persone influenti, alti profili, politici e uomini d’affari. Molti in Russia e Italia. Persone che insomma hanno qualcosa da nascondere» scherza Durov. Nessuna pubblicità, nessun modello di business, nessuna volontà di farci dei soldi. Telegram è «fatto per renderci il nostro diritto alla privacy. E’ un regalo a chi vuole uscire dal regime di sorveglianza».
L’infanzia in Italia, poi la guerra con Putin
Dopo l’incontro con i giornalisti ci accompagna per mangiare qualcosa in un ristorante libanese. Ordina dei felafel a cui non sembra troppo interessato. Comincia a mangiarli distrattamente una mezz’ora buona dopo che gli sono arrivati. Li accompagna con del te nero.
Racconta della sua infanzia, gran parte trascorsa a Torino: «Mio padre insegnava lì filologia. Ho dei bei ricordi dell’Italia. Torino è bellissima. Ricordo la neve. La neve, l’inverno del nord, è la cosa che più mi manca da quando ho lasciato la Russia». Come suo padre si laurea in filologia a San Pietroburgo. Anarchico, libertario. Vegano, si racconta che ispiri le sue mosse e la sua filosofia di vita ai pricipi del Tao. Ha all’attivo un saggio anarco-capitalista su come migliorare la situazione economica globale. Tornato in Russia nel 2001 impara a programmare e scrivere codici. Nel 2006 lancia VKontakte. L’ispirazione di Facebook è chiara. Diventa il primo social network russo.
Nel 2011 i primi screzi col governo di Putin che gli chiede di cancellare le pagine dei suoi oppositori. Si rifiuta in un primo momento.
Nel 2013 decide di premiare con un bonus due manager di VK. «Complimenti, siete ricchi ora». «Non ci importa di essere ricchi, le idee sono più importanti» rispondono. «Ah si, gettateli via allora» e centinaia aeroplani fatti di banconote da 5mila rubli (90 euro circa) cominciarono a volare dalla finestra dell’ufficio di San Pietroburgo. «Uno dei momenti più divertenti della nostra azienda» ha commentato poi Durov a Tech Crunch Berlin del 2014. Curiosità. L’aeroplano lo ritroveremo come icona di Telegram qualche mese dopo essersi liberato di VK.
Pochi mesi più in là dopo un primo tentativo da parte di un’azienda russa vicina a Putin di comprarsi un pezzo di VK, Durov risponde su Twitter facendosi un selfie con un dito medio davanti la camera.
A gennaio 2014 vende una quota del 12% di VKontakte mentre l’azienda è per gli analisti al massimo della sua valutazione, in una forchetta tra i 300 e i 500 milioni di dollari. Lo annuncia con un post in cui scrive: «Ciò che possiedi prima o poi ti possiede». Sotto pressione del Cremlino, 16 aprile 2014 nega al governo russo informazioni sui ribelli ceceni. Nel board di VK è il caos. Oramai la maggioranza sta dalla parte di Putin.
5 giorni dopo si dimette da Ceo e lascia che l’azienda venga acquisita da uomini d’affari vicino a Putin. «Potevo scegliere un compromesso, ma coi compromessi non è facile vivere. Prima o poi si sarebbero presi comunque la mia azienda». E di ciò che cominciava a possederlo non gli rimane più niente. Se non un gruzzolo considerevole. Pochi giorni dopo lascia la Russia e comincia una vita da apolide, tra San Francisco, Berlino, Helsinki e New York. «Sto bene ovunque, a Londra come a Berlino. Non voglio dipendere da nessuna nazione né da nessun governo». Ad agosto 2014 lancia Telegram.
La vita da apolide e il rifiuto di fornire dati su sospetti Isis
I critici gli dicono che non si sia inventato niente di che. Anzi, proprio niente. Ha copiato Facebook agli inizi di Facebook, replica Whatsapp cercando di eroderne il mercato. «Ma la differenza più grande è che non ci vogliamo fare soldi. Conosco centinaia di celebrità che lo usano e non abbiamo mai pensato di usarli per pubblicità. Non ci interessa. Ho speso i miei soldi per farlo e voglio che rimanga libero da ogni interesse privato».
Nessuna voglia di tornare in Russia. «Lì le regole del gioco non sono chiare, non si può avere un’azienda che lavori in Internet in un paese instabile, con una moneta fragile e dove le regole cambiano continuamente». E se con Telegram ha avuto problemi analoghi in Occidente a quelli avuti con Putin in Russia risponde: «Si, il governo britannico ci ha chiesto delle informazioni su sospetti militanti dell’Isis, ma sono informazioni che semplicemente non potevamo fornire».
Telegram è la sua nuova missione: «Vogliamo creare un tipo di azienda diversa, che non sia finalizzata a massimizzare i profitti ma a creare valore per l’intera società». Alzare il livello della comunicazione tra le persone, farlo rifiutando Vc perché «il nostro imperativo è rimanere indipendenti». «I messaggi liberi e sicuri dovrebbero essere un diritto per tutti. Mettere messaggi pubblicitari mentre le persone comunicano tra loro in un certo senso è immorale» ha dichiarato in un’intervista a Wired Uk lo scorso marzo. «Noi vogliamo migliorare la comunicazione umana online, in termini di velocità, sicurezza e versatilità».
Non ha mai nascosto le sue preferenze politiche. Spesso a destra, purché in governi che garantiscono diritti e libertà alle persone. Durante le elezioni britanniche ha pubblicamente sostenuto il conservatore David Cameron «la cui politica economica ha molto più senso». Colto, parla poco e con un filo di voce emessa lentamente. Cita Epicuro a chi gli chiede se non ha paura di essersi fatto nemici troppo potenti e di morire come è capitato ai dissidenti russi. «Quando la morte c’è, noi non ci siamo più».
Come fa Telegram a garantire la privacy
Durov dice di non aver mai rivelato a nessun governo nemmeno un byte di dati di utenti in due anni. «Come ci riusciamo? Criptaggio completo dei messaggi, che si auto distruggono, insieme ai profili utenti. Questo ci consente di sapere pochissimo di chi usa Telegram. Inoltre Telegram si muove al contempo su diverse giurisdizioni (anche se la sede legale è a Berlino, ndr) il che ci evita il più delle volte di essere soggetti a richieste di dati da parte dei governi. E comunque non cediamo alle minacce. Non avendo niente da guadagnare perché non siamo alla ricerca di investitori o accordi particolari, le minacce semplicemente non ci interessano».
Eppure un modello di business in fondo c’è. Perché prima o poi Telegram dovrà essere auto sostenibile finanziariamente. «L’idea è di creare app collegate a Telegram, esterne, e a pagamento, ma che abbiano un modello a sé».
Il legame agli anarchici russi (e a Matrix)
Il nero dei vestiti lo avvicina un po’ allo stile degli anarchici del 19esimo secolo. Ai russi e a quelli italiani, che avevano fatto del fiocco nero un simbolo di riconoscimento. Ma lo avvicina anche a Neo, il protagonista di Matrix, di cui non ha mai nascosto di essere un grande fan. Un pantheon di rivoluzionari accomunati dall’istanza di liberare l’umanità dal controllo. Del potere, della matrice, della sorveglianza.
Difficile dire se un’app di messaggistica possa avere le stessa forza rivoluzionaria dell’ideale anarchico. O della fiction. Ma di certo un po’ di quell’ideale vive in Telegram, che a suo modo è un servizio che se dovesse davvero battere Whatsapp sui numeri cambierebbe davvero i paradigmi della comunicazione via app. E a Durov non mancano i numeri e i mezzi per poterlo far vivere. Spizzica solo un po’ i felafel, poi li lascia nel piatto. Svuota le tasche e prende una banconota da 50 euro accartocciata tra le altre. La lascia cadere sul tavolo senza badare a dove vada a finire. I numeri della sua exit non sono mai stati dichiarati. Ma i numeri non sono un problema.
Arcangelo Rociola
Twitter: @arcamasilum