Intervista al presidente del Fondo italiano d’investimento Innocenzo Cipolletta che spiega come funzionerà il fondo avviato su iniziativa di Cassa depositi e prestiti. Obbiettivo: muovere sul mercato dei venture 600 milioni
«Il nostro è un fondo privato. Certo, ha una quota istituzionale che ci porta a guardare anche cosa è bene per il paese. E sappiamo che sulle startup innovative l’Italia si gioca una parte del proprio futuro. Ma i nostri sono investimenti mirati. E i capitali che investiamo vanno remunerati». Innocenzo Cipolletta, romano, classe 1941, è il presidente del Fondo italiano d’investimento che ha appena annunciato la nascita di un fondo da 50 milioni (estendibile a 150 milioni) da investire nel mercato del venture capital per rivitalizzarlo. Nato nel 2009, il Fondo ha un portafogli di 1,2 miliardi e ne fanno parte (con una quota del 12,5%) il ministero dell’Economia, Confindustria, 5 banche sponsor, l’associazione bancari e Cassa depositi e prestiti (finanziaria all’81% del ministero dell’Economia).
Cos’è e come funziona un fondo di fondi
Lo strumento pensato per investire nel mercato dei venture è un fondo di fondi. Cos’è? Un fondo di fondi è un fondo di investimento che investe a sua volta in altri fondi di investimento. In questo caso fondi che investono in startup. I soldi della società presieduta da Cipolletta (e quindi delle banche e delle istituzioni che ne fanno parte) saranno usati per investimenti fatti insieme a 4 fondi di venture capital (che a loro volta investono soldi di banche, investitori privati, fondi pensione eccetera) in startup innovative. I 4 fondi sono Caravella, Stark Venture One, Primomiglio e Innogest Capital II (qui i dettagli sulla loro composizione). Gli investimenti del Fondo italiano avranno una quota del 25% sull’investimento totale. Il restante 75% verrebbe dai venture. Per esempio, su un investimento di 10 milioni in una startup, 2,5 saranno del Fondo italiano, 7,5 saranno dei venture selezionati.
Questo vuol dire che quei 50 milioni potrebbero muovere investimenti pari a 200 milioni. E se il fondo dovesse estendersi a 150 milioni (Cdp ne metterebbe altri 50 se il Fondo riuscisse a raccoglierne da privati altri 50, «e ci siamo quasi» fa sapere Cipolletta) il portafogli dei venture potrebbe muovere un mercato complessivo da circa 600 milioni di euro. Una manna. «Sappiamo che il rischio di investire in startup è alto» dice Cipolletta «ma se su 10 investimenti 2 ne vanno bene e le startup crescono tanto ripagheremo il rischio, e remuneremo i nostri capitali. E’ questa la nostra sfida».
Cipolletta: «Con le startup l’Italia si gioca un pezzo di futuro»
Perché con Cdp avete deciso di investire in startup?
Sappiamo che le startup sono soprattutto aziende dove si fa innovazione. Lo vediamo in altri paesi che non solo le supportano ma attraggono investimenti. L’Italia ha un grande bisogno di innovare la propria economia. E’ questo il motivo che ci ha spinto a creare questo fondo con Cassa Depositi e Prestiti.
50 milioni che potrebbero diventare 150. Cosa determinerà l’estensione?
Il Fondo italiano d’investimento ha aperto al proprio interno un altro fondo dedicato al mercato dei venture capital. Oggi la disponibilità della Cassa Depositi e Prestiti è di 50 milioni, ma potrebbero arrivare a 100 a patto che si riescano a convincere altri investitori a metterne altri 50. Il nostro fondo a quel punto avrebbe una disponibilità di 150 milioni di euro.
Come funzionerà il fondo?
Noi investiremo in fondi che investono in startup. Vogliamo consolidare il mercato dei venture. Sappiamo che l’innovazione è una sfida per il paese, ma sulle startup non abbiamo competenze nostre. Quindi abbiamo deciso di affidarci a chi è già nel settore. Per ora ne abbiamo selezionati tre. Mentre uno lo abbiamo creato noi con il fondo europeo. E’ il fondo Caravella ed è un po’ particolare. Lo abbiamo creato con il Fondo eruopeo per gli investimenti con 15 milioni ciascuno per un totale di 30 milioni. Investe nella fase ancora precedente alla fase seed. Fa quello che farebbe un business angels, una persona capace di trovare idee di impresa su cui scommettere. E di fatto si affianca ad esso. Se un business angels investe 500 mila euro, noi raddoppiamo l’investimento con altri noi ne mettiamo altrettanti 500 mila.
Entrando più nel dettaglio, come avverranno gli investimenti?
Una volta raccolti i 150 milioni, faremo investimenti in una proporzione del 25% rispetto all’investimento complessivo. E’ questa la condizione dei nostri investimenti. Questo per fare in modo che si muovano complessivamente capitali per circa 600 milioni di euro per il mercato delle startup. Noi per un quarto, l’altro 75% da parte delle società di investimento. Buona parte dei soldi che fanno il Fondo italiano di investimento sono soldi privati. E i soldi privati vanno remunerati. Quindi l’obbiettivo è trovare strumenti di investimento che siano profittevoli. Che facciano fare utili a noi e ai nostri investitori, al pari di tutti quelli che ci hanno investito.
Come avete selezionato i venture con cui avete iniziato a lavorare?
Abbiamo guardato al mercato, studiato gli attori principali e avviato i contatti. Abbiamo studiato la squadra, se ci fossero persone competenti che hanno dimostrato risultati nel tempo, che abbiano una buona organizzazione, un comitato di investimenti.
Pensate di coinvolgere altri fondi e holding private?
Trovare altri venture capitalist è uno dei nostri obbiettivi. Siamo solo all’inizio. Abbiamo selezionato questi per presenza sul mercato e fama. Ma li valuteremo tutti. Purché abbiano una buona squadra e siano indipendenti.
Pensa che questo strumento possa bastare per colmare il gap che ci divide dai maggiori paesi europei?
E’ un primo passo, ma col tempo colmeremo le distanze. Noi siamo un fondo privato, con una competenza istituzionale. Quindi dobbiamo fare soldi, guardando anche al bene del paese. Ed è importante per l’Italia tornare ad essere competitiva. E la competitività in questo momento passa anche dal mercato di chi investe in società ad alto potenziale di crescita come le startup.