L’anno secondo la startup che ha partecipato a 500 Startup, convinto investitori, Intesa Sanpaolo, ma che è ostacolata dalla lobby degli architetti in Parlamento. Una storia simbolo per l’ecosistema italiano
Per CoContest, la startup che ho fondato un’paio di anni fa insieme a mio fratello Filippo (architetto) e Alessandro (amico da sempre), il 2015 è stato senza dubbio un anno speciale. Siamo riusciti a fare un ottimo fundraising coinvolgendo diversi investitori internazionali, siamo stati selezionati e abbiamo partecipato a 500 Startups, spostando così parte del nostro team in Silicon Valley per consolidare la nostra crescita sul mercato americano. Inoltre, grazie a fondi raccolti, siamo stati in grado di strutturare il nostro team, potendo assumere le figure professionali necessarie a gettare le basi della crescita della nostra azienda.
Negli ultimi 12 mesi la nostra piattaforma è diventata sempre più internazionale. Oggi infatti quasi il 50% dei nostri clienti proviene dall’estero, una gran parte dei quali proprio dagli Stati Uniti, dove rapidamente si sta sviluppando un mercato di nuove startup, supportate economicamente dai VC della Silicon Valley, che si prefiggono la missione di rivoluzionare il mercato della progettazione e dell’interior design attraverso il web e con modelli di business innovativi. Questa tendenza conferma la vision che abbiamo avuto quando abbiamo fondato CoContest, con l’idea che il mercato dell’interior design si sarebbe spostato progressivamente online, trasformando un settore storicamente geolocalizzato e basato su dinamiche prettamente relazionali in un mercato dinamico, internazionale e meritocratico.
La partecipazione full-time a piattaforme di crowdsourcing professionale rappresenta una alternativa seria e strutturale ai modelli tradizionali del mercato del lavoro
Infatti, grazie a servizi come CoContest, sempre più designer (soprattutto giovani) stanno sfruttando l’opportunità di trovare nuovi clienti anche al di fuori della propria città o del proprio network relazionale, rompendo così le barrire geografiche. Il tutto lavorando direttamente da casa propria, padroni dei propri orari di lavoro, senza obblighi di presenza, senza costi economici ed ecologici. Tutto questo è stato ben sottolineato da uno studio effettuato sui dati di CoContest dal CEPS (Centre for European Policy Studies), un think thank legato alla Comunità Europea. Lo studio spiega come nei paesi in via di sviluppo come la Serbia, l’Ucraina, l’India e così via la partecipazione full-time a piattaforme di crowdsourcing professionale può già rappresentare una alternativa seria e strutturale ai modelli tradizionali del mercato del lavoro, permettendo ai professionisti al contempo di guadagnare salari superiori alla media mensile pro-capite della categoria e di ridurre quasi a zero i costi marginale di esercizio della professione.
Inoltre, da questo studio si può evincere come in un futuro con l’affermazione di questi modelli ed il conseguente incremento dei premi in palio per i professionisti partecipanti, anche nei paesi del primo mondo le piattaforme di crowdsourcing diventeranno serie alternative al lavoro tradizionale. La nostra esperienza sembra confermare queste analisi, infatti CoContest ha sperimentato un incremento costante sia del numero di contest lanciati sia del valore medio dei premi che è passato dai 200 euro del 2013 agli 800 euro del 2015 (+ 400%).
Sempre quest’anno siamo riusciti a siglare una partnership veramente importante per noi con Intesa Sanpaolo Casa, la real estate di Banca Intesa Sanpaolo, la più grande banca in Italia con oltre 11 milioni di clienti. Infatti, da qualche mese, il nostro sevizio è accessibile online direttamente dal sito di Intesa Sanpaolo Casa, così che tutti i clienti della banca possano usufruire del nostro innovativo servizio di progettazione.
In un paese come l’Italia estremamente conservatore, dove le startup che hanno l’obbiettivo di cambiare modelli di business consolidati e non semplicemente replicarli sul web vengono spesso ostacolate più che supportate, la volontà di Intesa Sanpaolo di scommettere su startup come la nostra e come Habitissimo rappresenta un gesto di coraggio e al contempo mostra una visione di sviluppo dei mercati e della società futura per nulla scontata per una grande banca italiana. Iniziative di questo genere, che vedono coinvolte grandi corporate e giovani aziende innovative, non rappresentano solo un messaggio positivo per il nostro embrionale ecosistema di startup web, ma potrebbero rappresentare un volano nel processo di digitalizzazione in corso nel nostro paese, velocizzando e semplificando l’accesso ai servizi web 2.0 anche per le persone più anziane e riducendo così il digital divide che caratterizza la nostra società.
Ma l’evento che più di ogni altro mi ha colpito, e solo in parte sorpreso, in questo 2015 è stata la fortissima resistenza di carattere corporativista messa in atto dall’Albo Nazionale degli Architetti e da alcuni architetti parlamentari contro CoContest.
Si parla di soggetti istituzionali, non di qualche utente scontento, che con la scusa di difendere i diritti della propria categoria stanno sistematicamente e con ogni mezzo cercando di precludere a CoContest l’accesso al mercato, con grave danno sia per i consumatori italiani (è facile intuire la riduzione della concorrenza che da ciò deriverebbe, senza nemmeno parlare della pericolosità del precedente) che per gli stessi professionisti che già lavorano proficuamente sulla nostra piattaforma.
Infatti in diversi casi il modello di CoContest determina uno spostamento di risorse economiche da clienti stranieri a designer italiani che altrimenti non sarebbe in alcun modo possibile; mi rifiuto di pensare che in un mercato come quello italiano dove opera un numero sproporzionato di professionisti della progettazione (i soli architetti italiani sono circa il 10% degli architetti al mondo) alle istituzioni responsabili del settore sia sfuggito un dettaglio del genere! Per queste ragioni non posso non sottolineare la contraddizione ontologica insita nella denuncia di CoContest all’Antitrust da parte dell’Albo Nazionale, dove CoContest è accusata di violare le norme della concorrenza quando proprio le resistenze messe in atto da Albo e architetti parlamentari stanno avendo l’effetto di ridurre drasticamente la concorrenza potenziale insita in un servizio innovativo e pro-consumatore come quello di CoContest.
La situazione sta migliorando a vista d’occhio e il nostro ecosistema sta finalmente (anche se lentamente) iniziando crescere
Questo genere di vicende, negative in qualsiasi contesto economico, rischia di essere dannoso in un ecosistema come quello italiano già notevolmente attardato nello sfruttamento dei cambiamenti e delle potenzialità insite nella rivoluzione della digital economy. Basta soltanto un dato per fare il quadro della situazione nel nostro ecosistema startup web: in Italia nel 2015 sono stati investiti in totale 133 milioni di euro in startup hi tech. Ammontare che rappresenta più o meno il valore di un investimento medio in un Serie C Round negli Stati Uniti, per esempio solo Zenefits.com un software online per la gestione delle risorse umane ha raccolto da sola 4 volte quanto tutte le startup in Italia. In un quadro di questo genere, dove gli investimenti mancano e continueranno a mancare e dove la mentalità degli operatori finanziari specializzati nel settore è lontana anni luce da quella degli investitori internazionali, la resistenza di categoria supportata dalle stesse istituzioni pubbliche può rappresentare un ostacolo finale davvero impossibile da sormontare.
La situazione sta migliorando a vista d’occhio e il nostro ecosistema sta finalmente (anche se lentamente) iniziando crescere, ma senza un cambiamento profondo nella percezione delle startup web da parte degli investitori, delle imprese e soprattutto delle istituzioni il rischio che tutto si trasformi in un ennesima piccola bolla mediatica è più che concreto. Il rischio più grande, infatti, non sta nel non sfruttare a pieno il volano della digital economy, trovandosi tra un decennio sorpassati da economie che nel frattempo sono state in grado di valorizzare le proprie imprese innovative, ma piuttosto nel aver illuso le migliaia di ragazzi oggi occupati (il più delle volte gratis) nelle nostre oltre 5000 startup, che invece di ritrovarsi imprenditori di successo rischiamo di risvegliarsi a 30 anni con un società in fallimento e poche, pochissime prospettive per il futuro.
Federico Schiano di Pepe
Cofounder di Cocontest