Francia, Inghilterra, Germania. Ma anche Spagna e Irlanda nella classifica delle 50 startup europee che sono cresciute di più negli ultimi tre anni. Nessuna italiana. Per Cantamessa «Paghiamo i ritardi nello sviluppo dell’ecosistema»
Shazam, Skyscanner e Scytl (startup che sviluppa soluzioni per il voto elettronico), sono i vincitori del premio per le più innovative società tecnologiche d’Europa. Il riconoscimento è stato consegnato a Losanna, al termine di Tech Tour Growth, competizione giunta alla seconda edizione e all’interno del quale è stata anche presentata una lista delle 50 startup innovative europee con la maggiore crescita degli ultimi tre anni. L’hanno stilata assieme Tech Tour, società che si è data il compito di fare da raccordo fra investitori, imprenditori e addetti ai lavori, e i consulenti finanziari di Go4Venture Advisers. Alcuni dei nomi individuati sono piuttosto noti: nomi come Transferwise, Soundcloud, Spotify, Shazam e Skyscanner. Altri, come Scytl, Tradeshift e Talend, sono sconosciuti al grande pubblico.
Tutti, in ogni caso, possiedono dei requisiti che hanno consentito loro, in primis di entrare a far parte dell’elenco originale di 144 startup individuate da Tech Tour e soci, elenco che poi è stato sfoltito fino ad arrivare ai 50 finalisti. Tali requisiti erano:
- aumento del 50% delle vendite fra inizio 2012 e fine 2014,
- valutazione di almeno 100 milioni di dollari,
- e ammontare di fondi raccolti non inferiore a venti (milioni di dollari).
Il fatturato annuale, inoltre, doveva superare i dieci milioni di dollari. Dalla ricerca emergono diversi spunti interessanti. Vediamone alcuni.
Distribuzione geografica e settori interessati
Il Regno Unito domina la classifica quanto a nazionalità delle startup coinvolte, con il 38% del totale; seguono a distanza Francia e Germania (14% entrambe), tallonate dalla Svezia. Il settore in cui si concentrano maggiormente le società esaminate, è quello dell’e-commerce B2C (46%), seguito dai servizi per l’IT e dalle applicazioni per il business. All’interno della categoria più numerosa, domina il retail (che comprende un po’ di tutto, dagli ottici, alla moda, alla cura degli animali domestici), seguito dal fintech e dalla musica.
Investitori: 3/4 sono venture capitalists
Tre quarti degli investitori (72%) sono VC, al secondo posto ci sono i finanziamenti diretti da parte di singole aziende, che sono molto più comuni rispetto a quelli erogati tramite qualche fondo di corporate venture capital. I business angel rappresentano soltanto all’incirca il 2% della torta.
In tutto, nelle 50 startup hanno investito 223 soggetti, nel 58% dei casi con sede in Europa. Forte ad ogni modo anche la presenza dei gruppi statunitesi: c’è almeno un investitore americano in 47 delle 50 società totali. Si nota comunque una certa dispersione del capitale: solo 19 investitori hanno messo fondi in tre o più società. Fra i più presenti, Accel Partners, Index Ventures e Balderton Capital.
Nessuna italiana, siamo in ritardo
Le società analizzate ci hanno messo in media tre anni e sei mesi per ottenere un primo round di finanziamento, ma nei 47 mesi successivi (poco meno di 4 anni) ne hanno raccolti, sempre in media, altri tre.
Infine, nota forse minore ma di interesse per noi “provinciali”, fra le 50 società europee a maggiore tasso di crescita, non ce n’è neanche una italiana. Come mai? “La risposta è molto semplice – afferma Marco Cantamessa, presidente dell’incubatore I3P del Politecnico di Torino – il settore delle startup è partito in ritardo in Italia, e come emerge dalla ricerca, occorre un po’ di tempo alle aziende europee per iniziare a scalare”.
“Inoltre – aggiunge Cantamessa – nei paesi elencati c’è maggiore disponibilità di capitali che da noi. In questo, l’Italia è molto indietro”. La questione che si pone quindi, è se tale scarsità di capitali dipende da semplice cecità da parte degli investitori, oppure se sia il nostro mercato ad essere scarsamente attrattivo”. È probabile che la seconda ipotesi sia quella più vicina al vero. “Spesso i servizi prodotti dalle startup innovative – sottolinea l’esperto torinese – non interessano alle nostre aziende. E, senza domanda, è normale che vi siano esitazioni da parte dei potenziali finanziatori”. Il Politecnico e altri soggetti stanno lavorando per cambiare tale stato di cose, organizzando incontri fra imprese innovative e soggetti tradizionali, cercando di innescare cortocircuiti virtuosi. Ma non è facile.