Cosa succederebbe se si desse la possibilità a chi lo usa di fare recensioni sul proprio partner? Una riflessione su Tinder, Karma e relazioni umane
Lo confesso. Ho fatto uso di Tinder.
Per i pochi che ancora non lo conoscono, si tratta di un’app mobile basata sul servizio di localizzazione che permette di incontrare persone nelle immediate vicinanze. La sua velocità di utilizzo soddisfa l’imperativo alla base di quello che ormai sembra essere diventato un bisogno primario: “No time to flirt”. Perché viviamo di corsa, perché siamo stressati, perché pranziamo alle quattro di pomeriggio e ceniamo alle dieci se tutto va bene, e perché non abbiamo tempo per gli amici, figuriamoci per rimorchiare. E allora c’è Tinder, che arriva negli smartphone con la stessa logica della lavatrice negli anni ‘50: per semplificarci la vita. Trenta secondi per scaricarlo, pochi minuti per sfogliare delle foto (dove la reminiscenza delle figurine Panini è la parte più romantica) e un solo istante per decidere a chi regalare chance sotto forma di cuori, sperando che qualcuno ricambi in fretta, mosso da altrettanta serendipity.
L’uso smoderato di Tinder permette di liquidare chiunque nel giro di pochi secondi, una manciata di minuti, una settimana, a libero arbitrio. Fin qui tutto ok. La morale l’abbiamo abbandonata in partenza. Finché qualcuno non ha pensato di chiedere alle sue ex di farsi recensire come partner su Tinder. E qui l’ipotesi del dott. Davide Marchi, su un TripAdvisor per il genere umano, ha cominciato a farsi meno fantascientifica e paurosamente più vicina.
Ora, è vero che oggi un feedback non si rifiuta a nessuno. E che recensire un locale, un film, o un ospite sgradito non fa poi tanta differenza. Eppure, non so voi, ma l’idea di veder recensito il mio bungee jumping sentimentale mi procura un discreto livello d’ansia. Se è vero che il Karma è il principio che regola tutte le nostre azioni – che comincia dal pensiero e cresce nel tempo attraverso i sentimenti, gli atteggiamenti, le parole, le azioni e le relazioni – la legge del Karma può essere vista come l’equivalente spirituale della terza legge del moto di Newton, secondo cui ad ogni azione sul piano fisico c’è una reazione uguale e contraria. Switchiamo dal piano fisico a quello spirituale e avremo la legge del Karma. Ciò che diamo riceveremo. Se siamo gentili riceveremo gentilezza. Se siamo arroganti riceveremo arroganza. In altre parole, qualsiasi emozione provochiamo in un’altra persona, prima o poi diventerà anche nostra.
L’ansia si infittisce.
Senza scomodare ipotetiche vite passate, la legge del karma ci obbliga a considerare il fatto che ogni nostra azione causa un ritorno, una conseguenza. Un po’ come un boomerang. Per cui qualsiasi situazione ci troviamo a vivere è conseguenza di pensieri, azioni, e decisioni che abbiamo preso in precedenza. Niente a che vedere con il fatalismo però. Il karma non è un alibi per crogiolarsi in una sfiga presente attribuendola a una sfiga passata. Ci ricorda semplicemente che se il passato ha creato il presente, il presente creerà il futuro. Questa logica è quanto di più lontano dall’autocommiserazione. Averne consapevolezza può contribuire a rivoluzionare la nostra visione di concetti come responsabilità e giustizia. Solo se interrompiamo il ciclo di azioni dannose, ci assumiamo la responsabilità del nostro passato, e iniziamo a mettere in pratica azioni positive nel presente, la legge del karma darà i suoi risultati.
Il famoso studio sui gradi di separazione di Stanley Milgram ha dimostrato che bastano 5 passaggi per arrivare a qualunque persona desideriamo raggiungere nel mondo. Facebook ha abbassato questa media a 3,74. Spostandoci dai social network alla vita reale, sono convinta che se riflettessimo di più su quanto siamo strettamente interconnessi, avremmo un atteggiamento diverso gli uni con gli altri.
Un esercizio tibetano invita a guardare chiunque incontriamo come qualcuno che in una vita precedente – nella serie di infinite incarnazioni – è stato nostra madre. Ok è bizzarro. Ma la verità, incarnazioni a parte, è che un simile atteggiamento mentale può trasformare realmente il nostro modo di vedere e interagire con gli altri. Siamo portati a vedere la gentilezza come qualcosa di scarso impatto. Per alcuni è una questione morale, per altri formale educazione. Non siamo abituati a pensarla come a un insieme di qualità sinergiche tanto potente da trasformare noi e l’intero sistema in cui siamo immersi.
Sincerità, perdono, calore, appartenenza, contatto, fiducia, empatia, attenzione, umiltà, pazienza, generosità, rispetto, flessibilità, lealtà, memoria, gratitudine, servizio, gioia. Sono tutte qualità racchiuse nella gentilezza. E non solo. Essere gentili ci aiuta a scoprire chi siamo. Obbligandoci alla domanda: “cosa ho da offrire?”, ci porta a scoprire risorse che nella maggior parte dei casi neppure sapevamo di avere. Da questo punto di vista, essere gentili con gli altri ed esserlo con se stessi, non fa una grande differenza.
Ma ci vuole umiltà: di fronte agli eventi inattesi e a quanto sfugge al nostro controllo.
Ci vuole rispetto: verso tutto e verso tutti. E verso noi stessi, prima di tutto.
Ci vuole consapevolezza: delle nostre azioni, una volta che abbiamo compreso che queste hanno un seguito.
E ci vuole pazienza: perché con il karma è meglio non avere fretta. Forse gli effetti non saranno immediati, ma prima o poi arriveranno. Magari a distanza di anni. O in un’altra vita. Ma se non altro avremo migliorato il nostro presente. E chissà che non ci saremo risparmiati una pessima recensione su “HumanAdvisor” (dott. Marchi et al.).
La prima cosa che facciamo è fare un respiro. Poi dobbiamo renderlo.
Questo è il ritmo della vita.
Questa è la legge naturale della reciprocità
Che riguarda tutto e tutti.
Si comincia con il prendere ciò che si finisce per dare.
Questa legge non scritta riguarda ogni azione che si compie.
Questa è la legge della giustizia perfetta.
Ci viene sempre restituito ciò che diamo.