E’ un grande passo avanti. Agevolare chi investe in ricerca e sviluppo è bene, ma il credito d’imposta in Europa è diverso, e funziona meglio. Luci e ombre di un’opportunità che l’Italia aspettava da tanto
Per l’Italia è stata una grossa novità, quasi una rivoluzione. Ma il “bonus ricerca” (ne abbiamo parlato qui) declinato nelle diverse forme di credito d’imposta, deduzioni e super-deduzioni in molti altri Paesi è ormai una realtà consolidata.
Le agevolazioni fiscali destinate a chi investe in ricerca e sviluppo – introdotte dalla legge di stabilità 2015 (che è andata a modificare il precedente provvedimento previsto dall’art. 3 del decreto legge “Destinazione Italia” mai entrato in vigore) – sono al momento in attesa del decreto interministeriale che ne stabilisca le modalità operative.
“Si tratta sicuramente di un utile strumento”, commentano Alessandro Lualdi e Ranieri Villa, soci di STS Deloitte, che proprio per valutarne la validità e l’efficacia hanno realizzato uno studio comparato sulle principali caratteristiche degli incentivi alla R&S disponibili in altre legislazioni europee ed extra-europee ormai in vigore da molti anni.
Il credito d’imposta non è per sempre
Sono molti, infatti, gli Stati che dispongono già di crediti d’imposta, o comunque di altre forme di agevolazione fiscali rivolte alla R&S, a carattere strutturale e non limitate nel tempo come quello italiano. E’ il caso per esempio di Francia, Spagna e Regno Unito, Paesi che hanno dato la giusta importanza a un elemento che per gli esperti non è da sottovalutare, visto che le imprese e le multinazionali in particolare attribuiscono a questo aspetto una rilevanza notevole quando si trovano a dover pianificare gli investimenti a lungo termine, ossia proprio quelli che tipicamente riguardano le attività di R&S.
Da questo punto di vista, rispetto alle precedenti agevolazioni di durata molto limitata, secondo Lualdi e Villa “l’Italia ha compiuto un passo in avanti importante”, ma non ancora definitivo vista la durata – per ora quinquennale – della norma. A questo punto, gli esperti fanno notare come sia auspicabile che nel corso del tempo e valutandone gli effetti “ne venga prolungata l’efficacia proprio per dare un segnale di stabilità alle multinazionali che vogliono stabilire o potenziare nel nostro Paese i loro centri di ricerca”.
La versione italiana de credito d’imposta è dettata da questioni di budget e non da una vera strategia
In cosa è diverso il credito d’imposta in Italia
Altra evidente differenza fra la versione italiana e quelle internazionali è il carattere puramente “incrementale” del beneficio. Ossia, vengono incentivate solo le spese effettuate “in più” rispetto alla media del periodo 2012-2014. Mentre, Francia e Canada offrono ormai da molti anni un credito d’imposta “volumetrico”, che premia quindi gli investimenti in ricerca effettuati a prescindere dal fatto che appresentino un incremento rispetto agli anni passati.
Diverso invece il caso della Spagna che ha scelto un credito d’imposta “misto”. Si tratta di un sistema che premia con percentuali diverse sia le aziende che investono sistematicamente in attività di R&S sia quelle che si impegnano a incrementarla nel tempo.
La scelta italiana di voler premiare solo gli investimenti in R&S “incrementali” sembra secondo i professionisti di Sts Deloitte “dettata solo da esigenze di budget, anziché da una vera strategia di incentivo alle aziende”, e fanno notare come in questo caso si corra il rischio di agevolare soprattutto le aziende che investono in attività di ricerca in modo sporadico e discontinuo rispetto a quelle che le effettuano in maniera sistematica e costante.
Nota positiva: nessun limite di compensazione
C’ è qualcosa di positivo che il credito d’imposta italiano ha e gli altri no. Si tratta della possibilità di utilizzo in compensazione senza alcun limite, né temporale né di ammontare massimo annuale. In Spagna, per esempio, sono previsti limiti all’utilizzo in compensazione del credito d’imposta che se inutilizzato è riportabile in avanti fino a 18 anni.
In conclusione, gli esperti di Sts Deloitte affermano che la normativa sul credito d’imposta italiana “ha saputo cogliere alcune best practice in essere in altri Paesi europei e non, che già la applicano da tempo in modo strutturale, ma sono ancora numerosi i dubbi che il decreto dovrà chiarire”. I professionisti si riferiscono soprattutto alla mancanza di un termine per l’emanazione del decreto interministeriale, situazione che secondo loro potrebbe determinare le stesse problematiche sorte con il credito d’imposta previsto dal decreto legge “Destinazione Italia”, anche per questo mai entrato in funzione.
Servono però tempi più certi sull’attuazione
La paura è che l’assenza di certezza nei tempi e di stabilità possa far cambiare idea a chi vuole intraprendere nuovi investimenti, compresi quelli in R&S. All’estero, soprattutto in materia di agevolazioni alla ricerca, “ci si avvale di una solida programmazione, che consente agli operatori di valutare in anticipo le proprie scelte d’investimento”, sottolineano Lualdi e Villa, d’altronde se le agevolazioni e i contributi hanno l’obiettivo di incentivare gli investimenti, “è necessaria un’adeguata programmazione che consenta di pianificare le scelte con anticipo, altrimenti saranno solo una forma di sostegno e non di incentivo a favore di quei soggetti che avrebbero comunque effettuato gli investimenti”.