L’etichetta della Silicon Valley raccontata da Romain Serman che descrive un canovaccio di comportamenti basati non solo sull’esperienza, ma anche sul buon senso
Oggi c’è ancora qualche donna che si lamenta di quando un tempo gli uomini tenevano aperte le porte alle signore, cedevano il passo o facevano il baciamano. C’è ancora qualche uomo che ricorda di quando si bussava ad una porta prima di aprirla o si dava del “lei” ad uno sconosciuto. Oggi questi uomini e queste donne parlano delle buone maniere di una volta come delle mezze stagioni: non ci sono più.
A queste persone le nuove generazioni risponderanno come loro stessi avevano fatto con i loro predecessori: i tempi sono cambiati. Oggi viviamo in un mondo in cui il biancore dell’incarnato è segno non di nobiltà ma, molto più spesso, di ore passate in ufficio. In questo mondo l’etichetta e le maniere di comportarsi sono mutate. Sono cambiate nel nostro paese come dall’altra parte dell’oceano Atlantico.
Nella Silicon Valley, la patria delle startup, le maniere e l’etichetta contano ancora, si sono solo modificate. Si sono tenute al passo con i tempi e le necessità della vita quotidiana lavorativa. Se avete in programma un soggiorno nella Valley, se aspirate a lavorare in quel fazzoletto hi-tech di assolata California, è bene conoscere quali sono le regole di base.
E rispondere ad una domanda. In un luogo dove sono state sdoganate le felpe con cappuccio, le sneakers – se non addirittura i calzini bianchi di spugna – quale sarà la giusta maniera di comportarsi e relazionarsi a potenziali clienti, investitori e manager?
Romain Serman descrive un canovaccio di comportamenti basati non solo sull’esperienza, ma anche sul buon senso.
I sette anni in Silicon Valley di Romain Serman
Serman ha trascorso 7 anni nella Valley e il suo inizio non è stato dei migliori. Quella che per noi è la norma di un incontro istituzionale, nella Valley può diventare la fonte di malintesi e imbarazzanti crolli di immagine. Al suo primo meeting in Google, Serman indossa la canonica cravatta e i googlers lo scambiano per un canonico autista di limousine.
Questo non significa che nella Valley non ci sia un’etichetta, una maniera adeguata di fare le cose. Semplicemente non sono gli abiti di alta sartoria a dimostrare le vostre potenzialità o l’importanza dell’interlocutore.
Sebbene per noi italiani sarà sempre un po’ difficile separarci dall’idea che l’outfit non sia indice dell’ “infit”, un certo Mark Zuckrberg dovrebbe averci insegnato qualcosa su monaci, abiti e una quantità di milioni di dollari per cui non basterebbero di certo le tasche di un saio.
Le regole dell’etichetta della Valley
La prima regola nella Valley non è non parlare della Valley ma, più banalmente, che il tempo è denaro. Questa abusata affermazione si traduce nell’importanza dell’essere in tempo.
Nulla che riguardi l’esistenzialismo di Heidegger o “la persona giusta al momento giusto”. Semplicemente arrivare in orario, non perdere tempo e non farlo perdere agli altri.
Non essere in tempo, arrivare in ritardo ad un appuntamento dice di noi diverse cose:
1) non siamo organizzati. Abbiamo orologi dappertutto: cellulare, tablet, laptop – al polso se siete dei nostalgici -, pali per strada da poter usare come gnomoni di meridiane improvvisate, e nonostante tutto arriviamo in ritardo. Se avete un appuntamento alle 10 e non siete già nel luogo dell’incontro alle 9:55 siete già in ritardo. Proiettarsi nel futuro è anche immaginare quanto tempo ci vorrà per arrivare in un posto.
2) arrivare in ritardo dice alla persona che incontreremo che non è poi così degno di considerazione, che qualcos’altro di più importante ci ha trattenuto.
3) aver preso un appuntamento con qualcuno è aver stipulato un primo accordo: ci vedremo in quel posto a quell’ora. Non rispettarlo non vi rende affidabili.
Ma se dovesse capitarvi un imprevisto che vi impedisca di arrivare in orario e riuscite a prevedere un ritardo che si aggira tra 1 e 10 minuti, Serman consiglia di avvisare con un semplice messaggio di scuse. Se invece il ritardo supera i 10 minuti aggiungete alle scuse la proposta di una riprogrammazione dell’incontro. Non è detto che la persona che vi aspetta avrà così tanto tempo per attendervi.
Ad ogni modo, questa non sarà mai la maniera giusta per spiegare il vostro ritardo:
L’importanza dell’organizzazione dei tempi.
L’organizzazione dei tempi è fondamentale: non solo per arrivare in orario, ma anche per programmare meeting, riunioni e appuntamenti telefonici. Nella Valley c’è chi suddivide la propria agenda di incontri in slot da 15 minuti (come fa ad esempio Vinod Khosla, fondatore di Sun Microsystems e Khosla Ventures).
Perciò le telefonate per organizzare un meeting o fare una discussione di problematiche non fondamentali non devono superare i 15 minuti. Per le riunioni invece ci si può muovere all’interno di un arco temporale che oscilla tra i 30 e i 60 minuti. Se superate l’ora di riunione o avete scoperto la cura per il cancro e volete divulgare la notizia o non riuscite ad essere concisi.
Come parlare
Il dono della sintesi è imprescindibile per sfoltire le informazioni che forniamo ai nostri interlocutori. Eliminate iperboli e definizioni ridondanti: non sono indispensabili. Ciò che è necessario sono i dati. Se la vostra idea è buona, se il vostro prodotto è migliore di altri, se la vostra startup ha le carte in regola per poter riscuotere il successo che voi presagite, contano solo i dati. I dati sono oggettivi, sono comparabili, comprensibili e danno la reale dimensione della vostra proposta.
Non siate automi però. I dati contano ma non siete dei calcolatori, siete persone che parlano davanti a persone che ascoltano. E a chi non piace una bella storia? Fate uno storytelling del vostro prodotto, di voi stessi. Lasciate che gli ascoltatori si appassionino all’evolversi della vostra storia, che vogliano scoprire come prosegue, e magari farne parte. Dovrete essere gli Hemingway della Valley, senza fronzoli inutili. Raccontate i fatti, quello che conta è lo stile.
La seconda regola: le email
Anche nei tempi di risposta alle email c’è un’etichetta. Rispondere nello stesso giorno è la norma, lo svantaggio delle email è che non c’è l’attenuante del postino indolente. Rispondere il giorno dopo è accettabile, fusi orari, lavoro convulso, hackeraggio del vostro account di posta sono previsti e tollerati.
Superare le 24 ore per rispondere significa che non siete abituati ai tempi della Valley. Per la celerità di risposta alle email valgono le stesse considerazioni sull’importanza di colui che vi scrive come per colui che vi aspetta ad un appuntamento.
Le email non hanno un codice prescritto, un’etichetta formale, ma subiscono le inevitabili conseguenze dei tempi della Valley. Se sarete i sopracitati Hemingway dello storytelling sarete concisi, chiari e non farete perder tempo al vostro lettore. Suddividete la mail in punti chiave (3 dovrebbero essere sufficienti, al massimo 5 righe). È importante comunicare:
- A: cosa fate
- B: perché dovrebbe interessare chi legge
- C: cosa volete
La terza regola è un po’ più pragmatica e riguarda le relazioni personali. È fondamentale nella Valley farvi introdurre. Se dovete incontrare qualcuno, se volete ottenere un appuntamento, se pensate che un investitore possa essere interessato alla vostra startup, fatevi presentare da qualcuno.
Serman la chiama double opt-in intro. Ovvero la raccomandazione all’americana con consenso delle parti. Non più la raccomandazione del tipo: è mio cugino, ha bisogno di lavorare. Ma: questa persona ha questa idea, può esser utile, proficua, potrebbe interessarti. Se l’interlocutore acconsente, si organizza l’incontro. Presentare qualcuno a qualcun altro è sempre il risultato di consensi che convergono verso un interesse comune.
La Valley potrebbe così apparire una landa desolata di manager ipertecnologici fissati con gli orari e le email sintetiche.
Serman però apre uno spiraglio di misticismo. Per lui l’essenza della Silicon Valley è il Good Karma. Ovvero che se si fa qualcosa di buono, qualcosa di buono ci capiterà. Esser d’aiuto agli altri, disponibili, interessati a ciò che gli altri hanno da dire e da dare, ci ripagherà in qualche modo.
L’ultima “regola” della Valley è un’ovvietà, ma forse non per tutti. Parlare inglese.
Non ci si riferisce alla dizione o all’accento. Nella Valley la presenza di stranieri, di immigrati, è significativa quindi non c’è problema se non vi confonderanno con qualcuno nato a Compton (negli USA il 52% degli unicorni hanno un co-fondatore non “indigeno”). Il problema sarà quando non riuscirete a cogliere le sfumature nei discorsi, quando il vostro esprimervi non sarà la fonte del vostro successo nel descrivere ciò che volete, ma la causa dello sbadiglio del vostro interlocutore che si sarà stancato di cercare di capirvi.
Loro non vi hanno insegnato nulla?