Intervista a Paolo Anselmo, presidente dell’asociazione italiana di business angel IBAN sui dati del report 2014 degli investimenti effettuati
«Il numero dei finaziamenti cresce. E cresce insieme al numero delle startup innovative in cui è possibile investire e alla qualità delle startup stesse». Paolo Anselmo, ingegnere, 57 anni, è presidente di Iban (Italian Business Angel Network), l’associazione che dal 1999 riunisce i business angel (170 persone che sommando gli appartenentii ai “club deal” salgono a 600). E’ tra i principali protagonisti dell’angel investment in Italia, tra quelli che ne hanno fatto crescere il numero. E il portafogli. I dati diffusi dalla sua associazione raccontano che nell’ultimo anno gli investimenti sono saliti del 45% a 46 milioni nel 2014. Un buona crescita, dettata anche da «una migliore qualità delle analisi e dei dati raccolti». Business angel abbiamo detto, ma anche una sorta di pioniere perché, quando negli anni 80 l’Italia liberalizzò il mercato del traffico aereo, aveva dato vita alla Air Vallèe, la compagnia di Aosta che nel 1987, aveva cercato di far concorrenza ad Alitalia sulle rotte secondarie a basso costo. Una specie di Ryanair aostana.
Qui il rapporto Survey di Iban con tutti i numeri dell’angel investing in Italia nel 2014.
Presidente Anselmo, gli investimenti dei business angel hanno registrato un buon incremento nel 2014, a cosa è dovuto?
Le digital startup sono sempre state le aziende che più hanno attirato investimenti, un po’ ovunque e ora anche in Italia. Certo, presentano un fattore di rischio alto, ma incentivano la voglia degli investitori richiedendo meno capitali innanzitutto, e poi sono più facili da gestire a livello manageriale, il fatto che se ne parli molto poi facilita il tutto. Serve una buona informazione sulle startup, sul loro potenziale, su cosa voglia dire investirci. Per un investitore scaltro è un po’ come cercare di fare un piumino di successo indossabile in tutte le stagioni.
Qual’è il ruolo degli angel investor per lo sviluppo delle startup e del mercato digitale in Italia?
Il digitale rappresenta sempre un 50% abbondante degli investimenti, anche per un business angel. Oggi chi investe lo fain sinergia con fondo di VC privato o pubblico. I business angel portano competenze specifiche e migliorano il team che sta dietro la startup, rafforzano il capitale e le competenze. Il nostro ruolo quindi è anche quello di sopperire quando un team ha qualche mancanza di esperienza nel business. Nel nostro report emerge come più della metà dei business angel intervistati dicono di essere impegnati molto nello sviluppo delle società che adottano.
Vc privati e pubblici, ora ne abbiamo uno. Come valuta l’operazione di Invitalia e del suo fondo di venture?
Bene. Può aiutare come ogni intervento mirato a far crescere l’ecosistema migliora.
Nel 2013 avete nominato Marco Bicocchi Pichi Business angel dell’anno. Oggi è diventato presidente di Italia Startup.
Stabilire un premio al miglior business angel è qualcosa di cui andiamo fieri. Come siamo contenti per la sua nomina oggi. In generale c’è da parte degli angel italiani una certa riluttanza nel dichiarare gli investimenti che vengono fatti. Ma secondo noi il nominare un business angel dell’anno permette di diffondere bene questo tipo di cultura, come avviene negli altri paesi. Nel Regno Unito c’è sul sito dell’agenzia delle entrate una sezione dedicata apposta a chi investe, quanto e come. Da noi sistema non ancora così aperto ancora non c’è, è un aspetto culturale. Sul nostro sito abbiamo i nomi, i cognomi, ma non i dati specifici, il numero da contattare. Questa svolta culturale servirebbe a tutti, e pensiamo che quel premio contribuisca a fare uscire anche i piccoli angel fuori dall’ombra.
Arcangelo Rociola
Twitter: @arcamasilum